L’Occidente sta andando verso la «democrazia totalitaria»?

Dichiarazione-dei-diritti-delluomodi Leonardo Salutati · Stiamo assistendo oggi ad una grave situazione di crisi degli ordinamenti giuridici civili nel loro rapporto con l’ordine dei valori morali e spirituali. L’origine di tale situazione è da rintracciarsi nella separazione, progressivamente sempre più ampia, tra la morale e il diritto positivo, tra l’etica e l’attività legislativa e conseguentemente giurisprudenziale ed esecutiva di governo.

Indubbiamente l’aspetto più importante della moderna scienza giuridica e delle legislazioni democratiche è stato lo sviluppo dottrinale e normativo sui diritti fondamentali dell’uomo maturato nella “Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo” del 1947, che ha messo al centro della realtà giuridica il suo vero protagonista, non lo Stato ma la persona umana con la sua inalienabile dignità e libertà.

Paradossalmente però, negli ultimi anni, stiamo assistendo al prevalere nelle leggi ordinarie di numerosi ordinamenti civili occidentali del principio giuridico-positivo, frutto del relativismo morale, secondo cui in una società democratica la razionalità delle leggi dipenderebbe soltanto e unicamente da quello che viene stabilito, permesso o proibito dalla maggioranza dei voti, con scarsa se non nulla attenzione alla corrispondenza della norma con la natura umana. Siamo di fronte a quella che è stata chiamata una “deriva totalitaria” della democrazia (J. Talmon, 1952), ovvero un sistema in cui, come ai tempi dell’assolutismo monarchico, si pretende di attribuire al legislatore, che rappresenta in parlamento il “popolo sovrano”, un potere illimitato, assoluto, capace sia di limitare i diritti innati e inalienabili dell’uomo, sia di inventarsi “nuovi diritti”, sulla base di teorie che sovente si trasformano in ideologie. Basti pensare alla legislazione permissiva dell’aborto, alle leggi che liberalizzano la droga, che facilitano il dilagare della pornografia, che indeboliscono la famiglia come istituzione naturale, che permettono l’eutanasia, la manipolazione eugenetica dei geni e degli embrioni e altri attentati contro la dignità dell’essere umano; fino alle leggi che vogliono equiparare a chi commette o incita a commettere «violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi», le opinioni diverse dal “mainstream” riguardo a “identità di genere” e “orientamento sessuale”. È il caso per esempio di quanto successo nel 2014 all’arcivescovo di Malaga (Spagna), card. Fernando Sebastián Aguilar, che fu indagato penalmentecq5dam.thumbnail.cropped.750.422 (1) perché, sulla premessa che la sessualità è orientata alla procreazione, faceva presente che all’interno di una relazione omosessuale tale finalità era preclusa; è anche il caso di quanto potrà succedere in Italia se verrà approvato il Ddl Zan-Scalfarotto contro i reati di omotransfobia, in discussione in questi giorni in parlamento.

Al riguardo una nota della CEI del 10 giugno scorso metteva in guardia sul fatto che l’approvazione di un tale ddl rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui più che sanzionare la discriminazione, comunque già adeguatamente tutelata dall’ordinamento vigente, si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione, limitando di fatto la libertà personale, le scelte educative, il modo di pensare e di essere, l’esercizio di critica e di dissenso.

Già nel 1993 Giovanni Paolo II, parlando al mondo accademico in occasione della sua visita in Lituania, metteva in guardia dal rischio dei regimi democratici «di risolversi in un sistema di regole non sufficientemente radicate in quei valori irrinunciabili, perché fondati nell’essenza dell’uomo, che devono essere alla base di ogni convivenza, e che nessuna maggioranza può rinnegare senza provocare funeste conseguenze per l’uomo e per la società», ricordando che «totalitarismi di opposto segno e democrazie malate hanno sconvolto la storia del nostro secolo» quando non si è più vincolata la razionalità delle leggi alla corrispondenza della norma con la natura umana, con la verità oggettiva sulla dignità dell’uomo, con i valori morali oggettivi e permanenti, che invece il diritto dovrebbe difendere e tutelare per poter ordinare rettamente i comportamenti sociali, proteggere istituzioni basilari ed evitare il progressivo sviluppo di una società selvaggia.

Purtroppo dagli anni ’60 del secolo scorso ad oggi, ideologie varie fondate sul relativismo morale, nel togliere alla democrazia il suo fondamento di principi e di valori oggettivi, hanno sfumato pericolosamente i limiti della razionalità e della legittimità delle leggi, indebolendo profondamente l’ordinamento giuridico democratico di fronte alla tentazione di una libertà senza i limiti, veramente liberatori, della verità oggettiva sulla dignità e i diritti inalienabili dell’uomo e della donna.

Sempre Giovanni Paolo II, in una allocuzione del 1992, ricordava che la democrazia «non implica che tutto si possa votare, che il sistema giuridico dipenda soltanto dalla volontà della maggioranza e che non si possa pretendere la verità nella politica. Al contrario bisogna rifiutare con fermezza la tesi secondo la quale il relativismo e l’agnosticismo sarebbero la migliore base filosofica per una democrazia, visto che quest’ultima per funzionare esigerebbe da parte dei cittadini l’ammettere che sono incapaci di comprendere la verità. […] Una tale democrazia rischierebbe di trasformarsi nella peggiore delle tirannie».

Tutto questo senza considerare le tante contraddizioni in cui incorre sfacciatamente il “pensiero dominante contemporaneo” in quanto, come ha chiaramente denunciato Benedetto XVI: «Si assiste oggi a una pesante contraddizione. Mentre, per un verso, si rivendicano presunti diritti, di carattere arbitrario e voluttuario, con la pretesa di vederli riconosciuti e promossi dalle strutture pubbliche, per l’altro verso, vi sono diritti elementari e fondamentali disconosciuti e violati nei confronti di tanta parte dell’umanità» (CV 43).