“Il Patto delle Catacombe”: il testamento segreto del Concilio Vaticano II

537 378 Stefano Liccioli
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bettazzidi Stefano Liccioli • E’ stato pubblicato sull’ultimo numero de’ “La Civiltà Cattolica” dello scorso dicembre un interessante articolo, a firma di Giancarlo Pani, che ricorda il “Patto delle Catacombe”, un accordo che cinquantasette Padri conciliari sottoscrissero il 16 novembre 1965 nella basilica delle Catacombe di Santa Domitilla. Precisa Pani:«Non fu un incontro organizzato, ma un insieme di vescovi che, uniti da legame di amicizia, intesero riunirsi per celebrare l’Eucarestia, per impegnarsi a vivere lo spirito del Concilio come “Chiesa dei poveri”, per essere testimoni di una Chiesa “serva e povera”, come l’aveva desiderata Papa Giovanni un mese prima che iniziasse il Vaticano II». Mons. Charles Himmer, vescovo di Tournai, nell’omelia pronunciata durante questa concelebrazione illustrò alcuni impegni che i vescovi presenti erano chiamati ad assumere. In sostanza l’idea era quella di una Chiesa povera, che doveva testimonare il messaggio cristiano con la propria vita, prima che con la parola. Il luogo, le Catacombe di Santa Domitilla, probabilmente non furono scelte a caso dal momento che circa due mesi prima papa Paolo VI vi si era recato per celebrare una liturgia durante la quale aveva affermato:«Qui il cristianesimo affondò le sue radici nella povertà, nell’ostracismo dei poteri costituiti, nella sofferenza d’ingiuste e sanguinose persecuzioni; qui la Chiesa fu spoglia d’ogni umano potere, fu povera, fu umile, fu pia, fu oppressa, fu eroica. Qui il primato dello spirito, di cui ci parla il Vangelo, ebbe la sua oscura, quasi misteriosa, ma invitta affermazione, la sua testimonianza incomparabile, il suo martirio».

Il Patto, che fu firmato sull’altare dell’Eucarestia durante la concelebrazione, si articolava in tredici punti, fortemente radicati nel Nuovo Testamento. Senza analizzarli in dettaglio, vale la pena mettere in risalto l’invito a condividere lo stile di vita ordinario del proprio popolo ed a vivere in povertà, rinunciando ad ogni forma di ricchezza ed anche ai titoli, ai privilegi del potere, per essere più vicini ai poveri. Compito dei vescovi deve essere quello di dedicarsi al servizio apostolico e pastorale dei deboli e dei diseredati, si direbbe scegliere l’opzione preferenziale per i poveri. Significativo il riferimento contenuto nel Patto alla collegialità dei vescovi ed alla responsabilità evangelica che essa porta con sé.

I cinquantasette firmatari del Patto provenivano da quindici paesi diversi: ventisette dall’America Latina, dieci dall’Africa, nove dall’Asia, uno dal Canada, dieci dall’Europa tra cui quattro dalla Francia e uno dall’Italia (Mons. Luigi Bettazzi, tuttora vivente ed all’epoca il più giovane vescovo al concilio). Proprio Bettazzi ha rivelato che il testo del Patto fu scritto da Mons. Hélder Câmara che però non lo sottoscrisse quel 16 novembre perché impegnato in una riunione per la redazione finale della Gaudium et Spes.

Nel suo articolo Giancarlo Pani ricorda che il 7 dicembre 1965, vigilia della conclusione del Concilio, il Patto fu consegnato a tutti i Padri conciliari (senza le firme dei sottoscrittori) così come una volta tornati nei loro Paesi i vescovi firmatari lo fecero conoscere anche ad altri. Fu così che alle cinquasette firme iniziali se ne aggiunsero altre cinquecento, tra cui quella di Oscar Romero, ora beato.

Il Patto delle Catacombe fu recapitato anche a Paolo VI dal cardinale Lercaro. In questa ottica Pani osserva come due passi della Populorum progressio, l’enciclica di papa Montini pubblicata nel 1967, riflettano proprio alcuni auspici espressi nel Patto.

L’articolo si conclude sottolineando come lo stesso spirito che animava il Patto delle Catacombe caratterizzi il pontificato di Papa Francesco (al quale due vescovi dell’America Latina hanno consegnato in un’udienza privata una copia del Patto) la cui peculiarità è proprio nel rifarsi alla “Chiesa dei poveri”.

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Stefano Liccioli

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