Diritto e ordinamento statuale nella Riforma luterana

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LuteroBolladi Francesco Romano • Nella ricorrenza del quinto centenario della Riforma di Lutero molte iniziative celebrative dell’evento hanno voluto sottolineare i progressi fatti dal movimento ecumenico e in altri casi offrire una rilettura storica complessiva tra luci e ombre. Oltre all’interesse prevalentemente teologico, sociologico, culturale degli effetti prodotti dalla Riforma che sono stati diffusamente spiegati, noi vogliamo qui evidenziare un aspetto molto particolare che riguarda la relazione tra la novità dell’esperienza religiosa e la riforma del fenomeno giuridico che essa ispira nella concezione del diritto e dell’ordinamento statuale.

La Riforma protestante segnò fin dagli inizi il punto di irreversibile discontinuità con l’età medievale per quanto rappresentava il mondo religioso e politico, ma non poteva rimanere fuori da questo processo portato avanti dalla Riforma la nuova esperienza giuridica di netta cesura con l’esperienza canonistica che per quattro secoli Pontefici e giuristi avevano realizzato a partire dalla metà del secolo XII con il Decretum Gratiani dando vita a collezioni canoniche che confluiranno nel Corpus Iuris Canonici.

E’ significativo che nel rogo del 10 dicembre 1520 sul sagrato della cattedrale di Wittenberg Lutero mandasse alle fiamme anche il Corpus Iuris Canonici. Con questo gesto Lutero voleva significare la sua riprovazione per il diritto e al tempo stesso la presa di distanza da ciò che lo strumento giuridico significava in quanto potere, struttura gerarchica, scadimento della Chiesa di Roma in una realtà di carattere nettamente temporale che aveva perso di vista la sua specifica finalità trascendente e la funzione salvifica che si esprime e riassume nella legge suprema della carità.

Nel rogo di Wittenberg finì anche la Summa Angelica, cioè un manuale per confessori molto in uso dalla fine del ‘400, compilato dal francescano fra Angelo Carletti. Una scelta simbolica non casuale con cui Lutero sanciva con il fuoco il fallimento del sistema penitenziale della Chiesa che nel fissare lo sguardo sui singoli peccati aveva perso di vista la natura dell’uomo interamente corrotta e in questo senso bisognosa di un perdono radicale. Con la giustificazione per la fede, “il giusto vivrà per fede”, commentando l’Epistola ai Romani, secondo Lutero Dio giustifica per pura grazia e l’uomo è rigenerato attraverso la fede nella grazia divina e non per la giustizia della legge, cioè per le opere compiute in osservanza della legge. Solo la legge di Cristo è per il cristiano l’unica regola interiore e cogente. Nei veri cristiani interiormente rigenerati dalla grazia vi è la rinuncia dell’umanità naturale contaminata dal peccato. Di conseguenza viene meno il bisogno del principe, della spada e del diritto.

La rivolta dei contadini finita nella cruenta repressione del 1525 segnò in Lutero una svolta nella visione ideale di una comunità cristiana spirituale liberata dal diritto che non fosse la legge di Cristo. Accanto al Regno di Cristo, vi è un mondo di malvagi che formano il regno terrestre. Ispirandosi al cap. 13 della Lettera ai Romani, per Lutero il potere mondano è istituito da Dio per organizzare la società e per reprimere i peccatori in conformità al Decalogo e alle leggi divine positive rivelate nelle Sacre Scritture. L’utilità del diritto risiede secondo Lutero nell’essere strumento di repressione dei peccatori e di garanzia dell’ordine.

Su questa base prende l’avvio la nuova esperienza giuridica all’interno della Riforma. Il diritto non si preoccupa più delle fonti da cui ha origine, ovvero la legge giusta o ciò che è giusto, in quanto la vera giustizia è quella del Regno di Cristo, la giustizia della fede, non la giustizia della legge. La corruzione della natura umana non permette alla ragione di conoscere il diritto naturale. Riecheggiando San Paolo nel cap. 13 della Lettera ai Romani: “Non c’è autorità se non da Dio […]. I governanti non sono da temere quando si fa il bene […]. L’autorità è al servizio di Dio per la giusta condanna di chi opera il male”, per Lutero il diritto ha come finalità di essere solo uno strumento di ordine e repressione messo nelle mani dell’autorità temporale che porta la spada per questo fine secondo la volontà di Dio.

La visione negativa che Lutero aveva del diritto, quale strumento voluto da Dio per governare i malvagi, ma non concepito per i veri cristiani, portò alla destrutturazione di quel sistema di regole che la Chiesa aveva sapientemente elaborato durante il medioevo, raccolte nel corso di quattro secoli nel Corpus Iuris Canonici.

Se il potere mondano viene da Dio per governare un’umanità corrotta fatta di peccatori, la figura del principe, come esce fuori dalla pace di Augusta del 1555, assume un ruolo non solo di natura politica, ma anche religiosa secondo il principio cuius regio eius religio. Il principe sceglie di adottare la religione protestante o cattolica, mentre i sudditi, che hanno l’obbligo di seguire la religione del principe, divenendo “religione di Stato”, hanno la libertà di migrare verso un altro territorio dove il principe ha adottato la sua religione. Quindi la regola del cuius regio eius religio in sostanza determina in quelle regioni tedesche il principio della territorialità del diritto in maniera rigorosa.

Nell’XI secolo la Chiesa lotta per rivendicare la sua autonomia dal potere imperiale. Il potere temporale deve rimanere subordinato al potere spirituale esercitato dal pontefice. Gregorio VII nel Dictatus papae rivendica la superiorità sull’imperatore e su qualsiasi sovrano fino al diritto di approvare o revocare la loro nomina.

Con la svolta luterana si ha una discontinuità rispetto all’organizzazione politica e religiosa medievale, ma al tempo stesso assistiamo a una concentrazione del potere dei principi protestanti in ambito confessionale per il significato spirituale che veniva loro riconosciuto come mediatori e ministri di Dio, chiamati a legiferare in materia di religione, a custodire l’integrità della retta dottrina, a punire gli eretici ecc.

Il principe della Riforma rende concreto ciò che il rogo di Lutero aveva reso simbolico mandando in fumo il Corpus Iuris Canonici e concependo una Chiesa come comunità spirituale che attinge solo alla legge del Vangelo e non ha bisogno di altro diritto per giustificare il potere e l’apparato ecclesiastico. Nei territori in cui i principi adottarono il protestantesimo la secolarizzazione non lasciò alcuno spazio alla Chiesa cattolica, i suoi beni furono confiscati, i riti e le pratiche devozionali furono soppressi lasciando ben presto un vuoto normativo in ambiti anche di rilevanza sociale come il matrimonio, l’istruzione, la pratica assistenziale.

Il gesto di mandare al rogo il Corpus Iuris Canonici in nome della legge del Vangelo ebbe per effetto il crollo delle istituzioni cattoliche e il vuoto negli apparati amministrativi, rendendosi evidente la necessità di sostituire molto presto la competenza dell’autorità ecclesiastica con il potere civile nell’opera di emanazione di norme riguardanti la fede e la morale. L’autorità civile legifera ispirandosi ai valori della Rivelazione, in modo particolare al Decalogo di cui la prima tavola indica la relazione tra Dio e gli uomini, mentre la seconda tavola la relazione fra gli uomini.

Per la Riforma il principe è mediatore e ministro di Dio con il compito di organizzare lo Stato di diritto, uno Stato in cui la norma si ispira al diritto divino. Come un padre di famiglia per i suoi figli, il principe è coadiuvato da funzionari di varia competenza, ma soprattutto uomini di fede e tenuti in grande stima. Progressivamente, ma anche speditamente, si ha una fioritura di codici in materia di religione come compendi che includono riti, liturgie, preghiere ecc., ma anche norme disciplinari e sanzioni per i trasgressori.

Insieme ai libri mandati al rogo Lutero volle simbolicamente cancellare il diritto canonico rappresentato dal Corpus Iuris Canonici e con esso il complesso di regole giuridiche della Chiesa medievale con le quali aveva creato una struttura gerarchica a sostegno del potere temporale nel quale era totalmente caduta.

In breve tempo, con lo sviluppo della Riforma fin dalla sua fase iniziale insieme allo sforzo organizzativo sostenuto da Filippo Melantone, strettissimo collaboratore di Lutero, assistiamo all’estinzione del potere ecclesiastico e al sorgere del giurisdizionalismo protestante con il rafforzamento del potere politico del principe e dei suoi funzionari che viene investito di competenze in re spirituali vissute come una missione nel legiferare su temi che toccano la fede, la morale, la liturgia, il matrimonio ecc. Al Lutero che riteneva il cristiano affrancato da ogni legge se non quella evangelica succedeva la Chiesa di Stato in cui al principe toccava regolare l’organizzazione ecclesiastica, assicurare l’ordine ed esercitare misure coercitive.

Nelle università tedesche il diritto e i giuristi recuperano il loro prestigio. Numerosi trattati scientifici che delineano i principi generali fanno la loro comparsa e offrono criteri teorici per dare sistematicità alla massa voluminosa di norme scaturite da casi concreti. Il parere dei professori di diritto diventa vincolante per i giudici che di prassi si rivolgono a loro per risolvere casi complicati.

La Riforma luterana passando molto presto dalla Germania ai paesi europei si rivelò pertanto anche una riforma del diritto e degli ordinamenti statuali.

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Francesco Romano

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