Le povertà e la povertà

POVERTAdi Andrea Drigani • La celebrazione della Giornata Mondiale dei Poveri, avvenuta il mese scorso, offre la possibilità di riflettere su due elementi fondamentali ed inseparabili della cultura cristiana: l’impegno contro le povertà ed il valore della povertà. Nella dottrina teologica e canonica, si distinse, sin dai primi secoli, la povertà per necessità («paupertas ex necessitate») dalla povertà volontaria («paupertas voluntaria»). La prima è lo stato di chi è privo di mezzi per la propria sussistenza, tale povertà (detta anche «indigenza» o «miseria») non è voluta né direttamente né indirettamente, ed è ritenuta un male. Mentre la povertà volontaria è la condizione di coloro che si rendono liberamente poveri per amor di Dio. Sin dall’antichità cristiana la legislazione ecclesiastica accoglie il precetto della carità, per rendere concreto, attraverso delle specifiche norme, la missione di ridurre, sensibilmente, la drammatiche conseguenze della «paupertas ex necessitate». Basterebbe ricordare le disposizioni dei Papi San Gelasio I (492-496), San Gregorio Magno (590-604) e San Gregorio II (669-731) sull’obbligo di destinare una parte dei beni della Chiesa per i poveri. Nel secolo IX diversi Concilii particolari stabilirono che presso i monasteri e le cattedrali fosse costituito l’«hospitale», che perciò diviene «locus venerabilis», nel quale vengono accolti non solo i malati, ma pure le «personae miserabiles»: vecchi, vedove e orfani. Va notato che le opere di beneficienza ed assistenza non sono state svolte soltanto dal clero e dagli ordini religiosi, ma anche, e soprattutto, dai laici, in particolare attraverso le confraternite. E’ stato rilevato che le associazioni e le fondazioni laicali aventi finalità caritative, con gli statuti confermati dall’autorità ecclesiastica, erano largamente diffuse a cominciare dalle più piccole comunità parrocchiali. La tutela dei diritti dei poveri, oltre l’espletamento delle iniziative assistenziali, si amplia a partire dall’Enciclica «Rerum Novarum» pubblicata nel 1891 da Papa Leone XIII, e dai successivi interventi pontifici e conciliari, coll’affermazione del diritto al lavoro, e pur ribadendo il dovere dell’elemosina e la continuità nella prosecuzione delle opere caritative, si richiama al necessario impegno per lo sviluppo della giustizia sociale, anche attraverso le formazioni politiche e le organizzazioni sindacali. E’ quanto mai opportuno rammentare quanto stabilisce il vigente Codice di Diritto Canonico al can. 222 : « § 1. I fedeli sono tenuti all’obbligo di sovvenire alle necessità della Chiesa, affinchè possa disporre di quanto è necessario per il culto divino, per le opere di apostolato e di carità e per l’onesto sostentamento dei ministri. § 2 Sono anche tenuti all’obbligo di promuovere la giustizia sociale, come, pure memori del comandamento del Signore, di soccorre i poveri con i propri redditi». Circa il valore della povertà il Concilio Vaticano II, nella Costituzione «Lumen Gentium» al n.39, sulla base di una consolidata ed antica esegesi, ha ribadito che la santità della Chiesa è in modo speciale favorita dai molteplici consigli, che si sogliono chiamare evangelici, tra i quali quello della povertà, che il Signore nel Vangelo propone ad ogni fedele (Mt 19,21). Tutti i cristiani sono chiamati alla perfezione che può essere raggiunta in ogni stato di vita. La professione dei tre consigli evangelici (povertà, castità e obbedienza) ha una sua dimensione istituzionale, nel senso che tale professione deve essere liberamente assunta in un istituto di vita consacrata, ma può sussistere anche in una dimensione extraistituzionale, di pertinenza del foro interno. Il can.600 del Codice di diritto canonico dice: «Il consiglio evangelico della povertà, ad imitazione di Cristo che essendo ricco si è fatto povero per noi, oltre ad una vita povera di fatto e di spirito da condursi in operosa sobrietà che non indulga alle ricchezze terrene, comporta la dipendenza e la limitazione nell’usare e nel disporre dei beni, secondo il diritto proprio dei singoli istituti». Quanto asserito in questo canone, ad eccezione delle parole finali («secondo il diritto proprio dei singoli istituti»), può considerarsi una grande regola morale valida per tutti i cristiani, da realizzarsi in modo esistenziale e personale. La codificazione canonica del 1983, in piena sintonia con la tradizione cristiana, ha recepito e regolato sia l’impegno contro la «paupertas ex necessitate» che la scelta della «paupertas voluntaria», e questo è un importante incentivo perché nel popolo di Dio cresca la consapevolezza e la responsabilità di praticare la carità, di impegnarsi per la giustizia sociale e di distaccarsi dall’idolatria della ricchezza.