Due libri recenti su teologia e diritto

200 300 Francesco Vermigli
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cop_ecclesiologia_e_canonisticadi Francesco Vermigli • A distanza di pochi mesi sono usciti due libri dedicati ai rapporti tra la teologia e il diritto: S. Dianich, Diritto e teologia, Bologna 2015 e C. Fantappié, Ecclesiologia e canonistica, Venezia 2015. Chi scrive queste righe è stato attratto dalla somiglianza dei titoli e ha pensato di leggere i due libri assieme, con l’idea di verificare se davvero questa somiglianza trovasse riscontro nel loro rispettivo contenuto.

Conoscendo la formazione e l’attività didattica degli autori, ci si poteva aspettare che vi fosse almeno una differenza fondamentale: quella consistente nel punto di vista diverso con il quale Dianich e Fantappié guardano al medesimo tema. E non ci siamo sbagliati, perché – come prevedibile – Dianich guarda al tema dei rapporti tra la teologia e il diritto a partire dalla prima, mentre Fantappié lo fa dal punto di vista del secondo. Paradossalmente c’è una cosa in comune che rende possibile cogliere meglio le differenze tra i due autori: entrambi, infatti, raccolgono nelle loro pubblicazioni quasi sempre materiale già edito, ritornando spesso su temi che sono loro cari, e così facendoci apprezzare meglio i loro tratti diversi. Un lettore critico dirà dunque che i libri sono ripetitivi, nonostante i tentativi dichiarati nelle rispettive introduzioni di sfuggire a questo pericolo. Ma allo sguardo benevolente di chi legge un libro con lo scopo di cogliere le preoccupazioni principali che muovono gli autori, è apprezzabile vedere una certa stabilità degli snodi tematici, all’interno di studi usciti anche a distanza di anni. Ma quali sono tali snodi tematici e tali preoccupazioni?

Il libro di Dianich è coerente alla generale impostazione della sua ecclesiologia, che coglie nell’atto comunicativo legato alla fede nel Cristo Risorto il principio che origina la Chiesa e le relazioni di questa con il mondo. L’obiezione principale che Dianich fa al codice del 1983 è di veicolare ancora un diritto canonico introverso, cioè incapace di cogliere la dimensione dinamica della Chiesa nel suo costitutivo slancio missionario. A questa osservazione fondamentale se ne aggiungono altre che insistono tutte su alcuni snodi tematici che paiono all’autore chiaramente emergenti dalla temperie conciliare: l’inadeguatezza di un diritto che pensa l’appartenenza alla Chiesa solo a partire dal sacramento del battesimo – senza prendere pienamente in carico il senso della fede come atto personale e libero – e la persistente marginalizzazione dei laici dai procedimenti decisionali. La critica al diritto canonico come mera regola della vita interna della Chiesa – e non come normativa della natura missionaria di essa – pare intercettare l’immagine della “Chiesa in uscita”, che ha strutturato l’attuale pontificato fin dagli inizi. Ma, a ben vedere, sono anche altri i luoghi di una certa consonanza con la stagione ecclesiale attuale: la riedizione di alcuni saggi vertenti sul tema della sinodalità nella Chiesa – specialmente di quella che Dianich chiama “collegialità intermedia” tra papa e vescovo – permette di cogliere ciò in modo particolare. In generale si può affermare che il libro presenta una relazione tra diritto e teologia di fatto unidirezionale; laddove al diritto è chiesto un adeguamento ai guadagni e alle conquiste principali della teologia postconciliare e alla vita della Chiesa degli ultimi anni.

Fantappié appare in generale interessato al modo con cui nel tempo si sono costruite le relazioni tra il diritto e la teologia. Alla fase della simbiosi e della sintesi ha fatto seguito quella della distanza e della parcellizzazione, che viviamo oggi. A suo giudizio, questo è accaduto da un lato a causa di una tendenza – sempre incombente nel diritto canonico codiciale – a imitare il positivismo giuridico della civilistica, dall’altro in ragione di un pregiudizio piuttosto radicato nella teologia postconciliare contro gli aspetti istituzionali e giuridici della comunità ecclesiale. A partire da tale pregiudizio deriva anche la tendenza a considerare negativamente la storia della Chiesa, spesso attraverso letture ideologiche del passato dove prima alla “svolta costantiniana”, quindi alla Riforma gregoriana, infine al concilio di Trento e al Vaticano I viene imputata la degenerazione istituzionale della Chiesa, a paragone della purezza delle sue origini. In generale, Fantappié istituisce tra teologia e diritto relazioni reciproche, riconoscendo tra di essi complementarietà: se la teologia dirige e legittima le statuizioni ecclesiastiche, si deve anche riconoscere il diritto canonico come locus theologicus, poiché esso si pone domande (si pensi alla disciplina del matrimonio canonico, al rapporto tra sacramento e giurisdizione…) che le altre discipline spesso non si pongono, perché esorbitanti dalle loro competenze.

Entrambi i libri hanno il pregio di mettere a tema un problema radicale e di grande attualità. Ma se Dianich pone l’attenzione sull’opportunità che il diritto si faccia portatore degli sviluppi della teologia e della nostra stagione ecclesiale, Fantappié coglie in questa stessa stagione il pregiudizio antigiuridico che, a ben vedere, dovrà essere superato; se si vuole che il diritto contribuisca alla riforma della Chiesa.

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Francesco Vermigli

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