Europa: la lezione di Atene ed il gigante (Germania) senza autorità

753 500 Antonio Lovascio
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ristampamanifestodi Antonio Lovascio  Forse ha ragione un filosofo inquieto ma ficcante nelle sue disamine come Massimo Cacciari, che molto ha tratto dalla lunga esperienza di sindaco a Venezia e di parlamentare: la crisi greca ed ancor più quella che sta attraversando la costruzione dell’unità politica europea, se non altro ci fanno comprendere che le relazioni tra popoli e culture investono problemi leggermente più complessi di quelli che sono in grado di affrontare non solo banche e ragionerie centrali, ma anche diplomazie e politici di professione. Il “realismo degli stenterelli” lascia qualche varco a considerazioni, per così dire, metapolitiche – di natura teoretica e pratica – indispensabili per interpretare la visione che un Paese ha di se stesso e dei suoi rapporti con gli altri. Certo, la storia insegna poco, poiché tutto muta (fuorché l’uomo), ma può tuttavia orientarci.

E non ci sarebbe nemmeno bisogno di scomodare Machiavelli e Guicciardini per spiegare una verità lampante, che è sotto gli occhi di tutti: la Germania nella Ue ha raggiunto con la pace l’obiettivo (già fallito scatenando due guerre mondiali) di conquistare l’egemonia in Europa. Vuole recitare la parte del gigante che comanda, ma i Trattati non le danno questa autorità. E così, come hanno giustamente rilevato molti osservatori – e tra questi l’autorevole Eugenio Scalfari, che fa opinione nel popolo della variopinta Sinistra italiana- da qualche tempo sta aleggiando sul Vecchio Continente uno spirito decisamente anti-tedesco. Che è aumentato dopo il caso-Grecia. Ci sono due componenti che fanno lievitare l’antipatia verso la Merkel e Schäuble, il falco del rigore: l’europeismo che si sente tradito e l’anti-europeismo che vede in Berlino il vero pilastro d’una Europa dittatoriale.

Ma non mancano altri segnali preoccupanti: c’è uno spirito anti-europeo che domina sempre di più l’opinione pubblica teutonica, che auspica una Germania sola, autosufficiente e autoreferente, “Hüber alles”, come recitava l’inno nazionale hitleriano. Ora fortunatamente Hitler non c’è più, ma a volte scopriamo una realtà amara: chi vive in quella terra quasi snobba gli abitanti delle altre Nazioni che fanno parte della Comunità europea, se si escludono quella che una volta si chiamava Inghilterra e la Francia, avversario storico per quasi un millennio, partner di summit ristretti sull’asse Parigi-Berlino che partoriscono solo soluzioni inadeguate.

La lezione di Atene (dopo che il “NO” alle prime condizioni poste da Bruxelles ha vinto il referendum irritando ancora di più gli altri 18 Paesi di Eurolandia) è chiara e, soprattutto, non va sprecata. Ma il conto del semestre “pueblo unido” del duo Tsipras -Varoufakis, e della carovana internazionale corsa a supportarli, è pesantissimo. In cifre aride: una manovra da 12 miliardi (il “grande no” richiesto a Tsipras valeva 8,5 miliardi di sacrifici) , oltre il 6 per cento del PIL in due anni. E’ come se l’Italia eseguisse un “aggiustamento” di Bilancio da 100 miliardi di euro entro la fine del 2016: una Finanziaria “lacrime e sangue” tipo quella varata nel 1992 dal governo Amato!

A pagare oggi questo “salasso” – nonostante l’immissione di liquidità della BCE di Mario Draghi – saranno i greci, costretti a subire riforme radicali. Non gli armatori o i magnati con i soldi al riparo nei cosiddetti paradisi fiscali; ma i pensionati, gli studenti, i poveri, il variegato fronte che ha sostenuto Syriza e i suoi alleati della destra nazionalista, ha votato No alla consultazione popolare, e ora subisce un piano molto più punitivo di quello che avevano ottenuto i vecchi, screditati partiti. E il conto dei populismi rischia di essere altrettanto salato in altri Paesi. A cominciare dal nostro. Pure un premier intimorato come Renzi (ha appena detto a Bruxelles di “non fare la maestrina”) si sta accorgendo che la battaglia contro l’austerity e per la crescita passa attraverso una tela faticosa di alleanze internazionali, di riforme interne, di tagli alla spesa (finora finiti nelle slides e nei nei libri più che nei bilanci), e infine attraverso un confronto durissimo con una Cancelliera che ha vinto tre elezioni, si appresta ad affermarsi nella quarta (2017) e dietro ha una grande coalizione e un Paese solido.

Ora tutta l’Europa, a rischio di default, paga il prezzo dell’incertezza ed è di fronte ad un bivio, a due scelte ineludibili: o mantiene le attuali regole dell’Unione, accettando il rischio che l’eurozona si ridurrà in un futuro non lontano ad una unione tra Germania e Paesi nordici; oppure chiarisce il contenuto del più ambizioso progetto di Europa politica – uno Stato Federale – elaborato con il Manifesto di Ventotene (1941). Progetto, di cui la Francia è altalenante paladina, rifiutandosi di cedere la necessaria sovranità nazionale. Oltre a dotarsi di nuove regole, l’Ue ha bisogno più che mai di coinvolgere i cittadini – lo ripete spesso Papa Francesco – in un processo che renda visibili i vantaggi e non solo i costi dell’integrazione. Deve chiarire dove (e perché) vuole andare, tracciando un percorso realistico e condiviso, senza farsi trascinare dall’iniziativa di Stati più forti. Lo saprà fare, pur vivendo una imbarazzante crisi di leadership in molte sue Nazioni? Soprattutto saprà convincersi rapidamente che  dopo l’avventura greca, non potrà più essere la stessa? Noi europei dobbiamo soprattutto sperare che si avveri la previsione di Romano Prodi, già presidente della Commissione Ue: <A salvare l’Europa sarà una forza esterna che ci costringerà ad un compromesso». Gli Stati Uniti? La Cina ? Washington e Pechino temono entrambi un evento deflagrante. Hanno paura che uno sfaldamento progressivo dell’euro provochi una nuova tempesta in tutto il sistema economico e politico mondiale. Ancora una volta, come è accaduto in Iraq, in Ucraina e in altri scenari, l’Europa vedrà condizionate le sue decisioni da spinte esterne: americani e cinesi faranno di tutto per salvare la nostra moneta. Ma sarà l’ulteriore dimostrazione che l’Europa ha perso la sovranità su se stessa.

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Antonio Lovascio

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