Il per-dono via alla libertà

200 150 Alessandro Clemenzia
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resizerdi Alessandro Clemenzia È sempre più vicino l’8 dicembre, giorno che ricorda il cinquantesimo della chiusura del Concilio Vaticano II e segna l’inizio dell’anno giubilare straordinario: la vicinanza di tale evento è avvertita non soltanto per lo scorrere del tempo che accorcia le distanze, ma anche dai gesti di Papa Francesco che richiamano a volgere lo sguardo verso quella misericordia di Dio, di cui la Chiesa è e deve essere sacramento, cioè segno e strumento. Da qui si comprende la triplice missione della Ecclesia: predicare, celebrare e praticare la misericordia, come ha affermato il cardinale Walter Kasper nella lectio magistralis tenuta nell’ultima inaugurazione dell’anno accademico dell’Università Vita-Salute San Raffaele (Milano).

È proprio all’interno di questa autocoscienza ecclesiale che trova la sua contestualizzazione più profonda il discorso che Papa Francesco ha tenuto al Centro di Rieducazione Santa Cruz – Palmasola, in occasione del suo ultimo viaggio apostolico in Bolivia, lo scorso 10 luglio.

In quell’incontro, alla presenza di un numero considerevole di detenuti con le loro famiglie, la misericordia di Dio è stata predicata, celebrata e praticata soprattutto attraverso le profonde testimonianze di chi sperimenta nel quotidiano una mancanza di libertà; di fronte ad esse il Santo Padre si è presentato come colui che ha fatto esperienza di essere perdonato: «Quello che sta davanti a voi è un uomo perdonato». Nessuno può arrivare a perdonare se stesso o gli altri se prima non ha fatto esperienza di essere perdonato a sua volta.

L’uomo deve lasciarsi determinare in modo così radicale dalla misericordia del Padre, vale a dire da Cristo, da riuscire a guardare tutta la realtà che lo circonda con un occhio nuovo, anche quando il luogo, oggetto dello sguardo, è “significato” dagli errori commessi. Afferma ancora Francesco: «Quando Gesù entra nella vita, uno non resta imprigionato nel suo passato, ma inizia a guardare il presente in un altro modo, con unaltra speranza».

L’atto del perdono di sé, dunque, nasce dalla consapevolezza di essere stati perdonati, e non attraverso un atto esterno e dall’alto, ma attraverso un atto interno e dal basso: si ha a che fare infatti con «un amore che ha preso sul serio la realtà dei suoi». Questo «prendere sul serio» ha sicuramente un significato morale, ma anche ontologico: può anche fare riferimento, infatti, a quell’assunzione della natura umana da parte del Verbo divino. E proprio in quanto assunta, tutta lumanità viene “guarita”, “perdonata”, “rialzata” e “curata” dal di dentro (tutti verbi utilizzati dal Papa): attraverso questa entrata nell’umano del divino viene restituita all’uomo la propria identità perduta, «una dignità che possiamo perdere in molti modi e forme».

Questa coscienza di essere perdonati porta a sua volta a “perdonare” se stessi come vero e proprio atto di libertà personale, in quanto è la via di uscita dell’uomo da ogni possibile isolamento: è ciò che lo rende idoneo ad essere-dono-di-sé, e dunque aperto.

Un atto legislativo di con-dono, emesso da una qualsiasi autorità competente, può raggiungere la sua pienezza quando chi lo riceve ha fatto un’autentica esperienza del per-dono.

Non è, tuttavia, solo levento dell’incarnazione a fungere qui da chiave di lettura per comprendere in cosa consista il perdonare; viene recuperato anche levento del Golgota: è al Crocefisso risorto infatti che Papa Francesco chiede di volgere lo sguardo, a Colui che non solo ha assunto la realtà dei suoi, ma ne ha anche condiviso la piaga, manifestando in tal modo la “misura senza misura” della misericordia del Padre.

Anche il perdono, in realtà, ha l’intensità e la forza che manifesta il Crocefisso: una “misura senza misura”. Jacques Derrida, nel suo saggio Perdonare. L’imperdonabile e l’imperscrittibile, in risposta a un testo del filosofo Vladimir Jankélévitch, Perdonare?, in cui affermava che non si può in alcun modo arrivare a perdonare certi crimini contro l’umanità, come le atrocità naziste, dice proprio che il perdono ha sempre a che fare con l’imperdonabile, in quanto è al di là di ogni logica di scambio, ed implica una modalità di relazione totalmente gratuita.

Una tale presentazione di sé da parte del Papa come uomo perdonato funge da bussola per i carcerati, che ogni giorno subiscono le conseguenze dei loro atti, a vivere da subito l’esperienza della libertà come via di uscita dall’isolamento, che porta a perdonare prima di tutto se stessi, sapendo distinguere l’io dalle proprie scelte. A cominciare da questo riconoscimento, un carcere può divenire luogo di rieducazione e riammissione alla vita sociale.

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