Giobbe, “santo pagano” in Giovanni Crisostomo

349 482 Carlo Nardi
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1470119649907-356212286di Carlo Nardi • Giovanni Crisostomo (Antiochia, 350 circa – Comana nel Ponto, 407) avvia il suo Commento al libro di Giobbe con una considerazione, che mi ricorda un vecchio libro del cardinale Jean Daniélou dal titolo I santi pagani dell’Antico Testamento (1956; trad. ital. 1964.1988). Del Commento do pertanto una mia traduzione dal greco in corsivo, dal testo pubblicato nelle Sources Chretiennes (vol. 345, pp. 78-79), traduzione che interrompo via via per spiegare quello mi pare intendesse dire il Crisostomo. Dopo l’intestazione al trattato, probabilmente ad opera di un antico amanuense, Il santo padre Giovanni Crisostomo, arcivescovo di Costantinopoli. Commento a Giobbe, Giovanni dice: Prima di tutto è bene ricercare quando sia vissuto il personaggio in questione (prologo 1). Si denota con un senso della filologia e della storia appreso in giovinezza nelle scuole di Antiochia, pagane e cristiane.

Alcuni sostengono Giobbe che sia anteriore a Mosè e quinto dopo Abramo, perché nella Genesi c’è una genealogia: Abramo, Isacco, Esaù, Reuel (Gen 36,10), Zerach (Gen 36,13) e Yobab, che sarebbe il nostro eroe sofferente. Giobbe vi appare come discendente da Esaù e non dal di lui fratello Giacobbe, detto anche Israele, capostipite del popolo che dall’antenato prende il nome e le promesse divine. Mi vien da dire: il bisnonno era quel tontolone di Esaù e non quel furbacchione di Giacobbe, ragion per cui fu involata la benedizione a Esaù e a tutti i discendenti compreso Giobbe che fu un po’ “Giobbe” fin da quando venne al mondo.

E il Commento continua: Altri collocano Giobbe nel tempo della Legge di Mosè con l’alleanza fra Dio e il suo popolo con la promulgazione dei dieci comandamenti. Quindi questione storica era tutt’altro che appurata, sicché il Crisostomo raccomanda: Non andiamo a fare dichiarazioni, finché dalla specifica scienza storica non abbiamo certezze circa l’una o l’altra cronologia della sua vita.

E ancora: No, questo stato di cose non costituisce per noi una questione di poco conto in rapporto alla cognizione della virtù del personaggio. Il Crisostomo ha ben chiaro nella mente che la duplice cronologia comporta a sua volta due valutazioni sull’intensità della virtù di Giobbe. Nel caso della cronologia alta, vuol dire che Dio ha dato legge naturale ai progenitori – ma poi quanto offuscata! – e la fede a Abramo e Isacco, fede in un Dio unico e personale garante di una moltitudine di figli, come stelle del cielo: situazione ben diversa dall’aver ricevuto sul Sinai la legge positiva – quello che è scritto si legge! O si dovrebbe leggere … – che ci fa popolo, il popolo di Dio, con il culto pubblico, per una vita scandita nel timore e nell’amor di Dio che dovrebbe facilitare la virtù morale.

Ora, nel pensiero di Giovanni, se fosse certa la cronologia alta, Giobbe sarebbe stato nella situazione dell’“l’arameo errante”, anteriore al popolo costituito a norma di legge: ma proprio per questo svantaggio, secondo il Crisostomo, è più virtuoso che ma. Ma ascoltiamo il commentatore. Non è infatti la stessa cosa: che Giobbe sia così, così virtuoso e ammirevole, se usufruiva dei precetti di Mosè, nel caso della cronologia bassa, e invece che sia prima dell’esortazione ne proviene dai precetti di Mosè, ed abbia dato una prova di fortezza d’animo così grande, nel caso della cronologia alta.

E che il personaggio era un grande, lo provano i fatti in sé e per sé e lo attesta anche Iddio, quando dice: “Se ci sarà al mondo un Noè, un Giobbe e un Danel – personaggio misterioso di cui parla il profeta Ezechiele, a cui il Crisostomo sembra riferirsi (Ez 14,14.29) –, non c’è pericolo che tolgano di mezzo i loro figli e le loro figlie”.

Morale della favola che non affatto favola. Il Crisostomo, pensando al suo Giobbe, esprime la passione, anzi il patema per la salvezza degl’infedeli, come si diceva, o dei lontani o periferici. Mi pare, tra tanti altri, in compagnia di Giustino, filosofo e teologo, con Clemente di Alessandria con il suo problematico “testamento dei greci”, la filosofia, con la matrona Proba, e con Dante da qualsiasi punto lo legga e il Concilio Vaticano II con la sua liturgia riformata, per cui si prega “per tutti coloro di cui solo Iddio” conosce o “ha conosciuto la fede”.

Un’impressione. Se, come filologo e neppure come ministro della Chiesa, il Crisostomo non si sbilancia in favore dell’una o dell’altra ipotesi, sembra optare per la cronologia remota che più esalta la virtù della fortezza nel suo Giobbe, pronipote del rozzo e poco raccomandabile Esaù. Sono le ragioni del cuore? Del cuore di un pastore d’anime intento a incoraggiare? Paradossalmente, anche in questo caso, come ministro della Chiesa.

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