Concilio e post-Concilio. Un discorso di Paolo VI al Pontificio Seminario Lombardo

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di  Francesco Vermigli • Non è solo la riconoscenza che chi scrive queste righe deve al collegio che lo ospita a Roma, che spinge a recuperare un discorso del 1968 tenuto ai membri del Lombardo da Paolo VI: piuttosto è la densità di quello che disse il papa ora prossimo alla beatificazione (19 ottobre), a rendere opportuno che ci si soffermi su quelle parole. In verità, i discorsi che Paolo VI tenne ai membri del Pontificio Seminario Lombardo dei SS. Ambrogio e Carlo in Urbe (secondo la denominazione completa) furono ben tre in pochi anni: il primo dell’11 novembre 1965 – in occasione dell’inaugurazione della nuova sede in Piazza Santa Maria Maggiore – il secondo del 7 dicembre 1968, l’ultimo del 24 settembre 1970, che fu tenuto dal papa davanti agli ex-alunni del collegio romano – di cui egli stesso all’inizio degli anni ’20 era stato alunno – nel suo giubileo sacerdotale.

Concentriamoci sul secondo dei tre discorsi – nella ricorrenza liturgica, poi, di sant’Ambrogio – perché ci permette di attingere a piene mani al problema della recezione conciliare nella Chiesa cattolica: un tema che valeva in quegli anni giovani e turbolenti, ma vale ancora per l’oggi della Sposa di Cristo. Dopo aver espresso quale significato egli leggesse nella presenza degli alunni del Lombardo a Roma – collocando la loro permanenza romana dedicata allo studio nell’ambito della contemplazione più generale del mistero di Cristo e della Chiesa – il papa con uno scarto non forzato passa a chiedersi cosa tali alunni vedessero in lui; essendo la prima parte dell’intervento di Paolo VI dedicata piuttosto a ciò che egli vedeva in loro. Risponde che essi avrebbero dovuto vedere nel papa un signum contradictionis, un segno di contraddizione e di contrapposizione rispetto ad un modo di pensare la Chiesa, presente anche all’interno dei confini della medesima. Quasi inevitabilmente il suo pensiero scivolava poi verso il senso e l’importanza del Vaticano II nella Chiesa: la temperie conciliare, diceva, ha fatto conoscere alla Chiesa una fioritura. E tuttavia in base al vecchio adagio bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu, non si può non notare anche l’aspetto doloroso. Se non siamo ai livelli estremi e ai toni chiarissimi di un altro suo e ben più celebre discorso – sancito dalla frase «attraverso qualche fessura il fumo di Satana è entrato nella Chiesa» – è quello stesso realismo post-conciliare che guida il papa. Queste considerazioni – circa la necessità di accogliere l’assise conciliare non con l’ingenua sicumera di un automatico progresso nella Chiesa – aprono ad ulteriori sviluppi del suo pensiero che sono degni di nota e che aiutano a cogliere, mi pare, il senso attualissimo delle sue parole. La Chiesa è ferita nella sua realtà più intima, il dolore colpisce innanzitutto colui che è chiamato a guidarla, come Vicario, ma il suo sentimento è di gioia e di fiducia: di gioia, perché è ritenuto degno di soffrire per il nome di Gesù; di fiducia, perché vive nella consapevolezza che la Chiesa è di Cristo.

Proseguiva Paolo VI: «tanti si aspettano dal papa gesti clamorosi, interventi energici e decisivi», ma egli non riteneva di dover seguire altra linea, se non quella della confidenza in Gesù Cristo, a cui preme la sua Chiesa più che a qualunque altro. Sarà Lui a sedare la tempesta… La tempesta post-conciliare non sarà sedata se non da Colui che della Chiesa è il Capo; le tensioni ecclesiali che hanno scosso la barca di Pietro dopo il Concilio saranno placate, confidava papa Montini, solo da Colui che ne è il Signore e il Pastore.

Un altro papa, in una mattina indorata da un sole tiepido non più invernale, davanti a decine di migliaia di persone pronuncerà parole assai simili: «mi sono sentito come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa, e il Signore sembrava dormire. Ma ho sempre saputo che in quella barca c’è il Signore e ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto». A distanza di oltre quarant’anni due papi sono giunti a conclusioni identiche e contrarie a quel modo moderno di pensare la Chiesa, che si rivela in ultima istanza umano, troppo umano. Hanno affermato che la via del rinnovamento autentico e della pace dentro la Chiesa è la via che solo Cristo può indicare. A distanza di anni due papi hanno anche detto che solo il Signore renderà capace la Chiesa di recepire il Concilio. Solo il Signore…

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Francesco Vermigli

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