Quel Natale che infastidisce

nativitàdi Stefano Liccioli • «Il Natale è un fastidio per tutte quelle persone che si riempiono la bocca delle assurdità del nostro tempo». L’ha scritto Gilbert K. Chesterton in un suo articolo del dicembre del 1933 che ho trovato particolarmente attuale. Ma a quale Natale si riferisce Chesterton? Non certo a quello fatto di luci, addobbi e regali così sempre tanto atteso dalle persone, oggi più che allora. Probabilmente neanche a quello che ci vede passare da una tavola all’altra per pranzi o cene luculliane.

Lo scrittore inglese si riferisce alla nascita di Gesù. Ebbene sì, mi pare ormai necessario fare questa precisazione. Stiamo infatti assistendo ad un progressivo svuotamento di senso che il consumismo e l’indifferentismo religioso del nostro mondo sta operando ai danni del Natale rendendo così opportuno e doveroso distinguerlo dalla nascita di Gesù. Se leggiamo con attenzione le pagine evangeliche che raccontano la natività, c’è poco da stare tranquilli. La vicenda di Gesù Bambino, Maria e Giuseppe che ogni dicembre torna a risuonare nelle nostre chiese dovrebbe renderci inquieti e costringerci a fare un bilancio della nostra vita, un consuntivo, come quello delle imprese, per valutare alla fine di ogni anno le perdite o i guadagni della nostra “gestione”. E’ così che Gesù che nasce per amore ci deve far riflettere sui nostri egoismi. Karl Rahner osserva che Dio, incarnandosi, ci ha dimostrato che vale la pena essere uomini e si può amarci a vicenda: avere un cuore mite, disposto al perdono, pieno di speranza, sereno, lieto, semplice e fedele. Dio stesso ha fatto la prova con questo cuore e ci ha rivelato che può funzionare.

Giuseppe e Maria che non trovano posto in albergo ci portano a pensare alla nostra disponibilità ad accogliere gli altri, ad aprire loro le porte della nostra vita, soprattutto quando hanno il volto del bisognoso, del malato e del povero.

Il Bambino deposto nella mangiatoia ci deve togliere il sonno e far pensare a tutti coloro che non hanno un letto su cui dormire.

I pastori che accorrono alla grotta ci ricorda come Gesù abbia scelto come primi adoratori dei poveri, chiamandoli a sé con la voce degli angeli. Per genitori ha voluto due semplici operai, ora degli umili pastori a rendergli omaggio, mentre i ricchi ed i potenti rimangono indifferenti. Charles De Foucauld lo spiega così:«Gesù non respinge i ricchi, è morto per essi, li chiama tutti, li ama, ma rifiuta di condividere le loro ricchezze e chiama per primi i poveri. Se per primi avesse chiamato i ricchi, i poveri non avrebbero osato avvicinarsi a Lui, si sarebbero creduti obbligati a restare in disparte a causa della loro povertà. Lo avrebbero guardato da lontano, lasciando che Lo circondassero i ricchi. Ma chiamando i pastori per primi, ha chiamato a Lui tutti. Tutti: i poveri, poiché con ciò mostra loro, sino alla fine dei secoli, ch’essi sono i primi chiamati, i favoriti, i privilegiati; i ricchi, perché da una parte essi non sono timidi e dall’altra dipende da loro il diventare poveri come i pastori, se temono che le loro ricchezze li allontanino da Lui».

Gli angeli che annunciano la pace ci devono far riflettere non solo ai tanti focolai di guerra presenti nel mondo, ma anche a tutte quelle occasioni in cui noi, proprio noi, non riusciamo ad essere operatori di pace, perdonando le offese ricevute o portando l’unione dov’è la discordia.

Sfatiamo anche il mito che a Natale si esalti l’agio familiare. Si celebra semmai il modo in cui una famiglia, restando unita, ha affrontato il disagio, un monito per tante coppie che vanno in frantumi alle prime difficoltà.

A ben guardare allora c’è poco di rassicurante nel Natale, niente di questa festa, avverte Erri De Luca, deve lusingare i benpensanti. Con le nenie, i dolci ed i doni, abbiamo provato a disinnescare la carica rivoluzionaria della nascita di Gesù, a dimenticare che Egli invece è segno di contraddizione. Siamo tentati di tenerci l’occasione commerciale, tralasciando le reali circostanze.

Ma il Natale, quello vero, rimane un atto d’accusa, si erge a giudicare il mondo e noi con esso.