L’emergenza profughi, l’Europa e l’avaro di Moliere

 

LEONARDI - PARLAMENTO EUROPEO : RIVEDERE LA BOSSI-FINI, NO PUNIZIONI A CHI SOCCORRE MIGRANTIdi Antonio Lovascio L’emergenza profughi non è solo una crisi del Mediterraneo, ormai trasformato in un gigantesco cimitero. E’ un pericolo globale. È un dramma umanitario, ed è anche una minaccia per la sicurezza di tutti. L’Europa germanocentrica – tra segnali di disgregazione e di populismo antisistema che ha saputo anche conquistarsi posizioni di governo – ha dato una prima risposta flebile. “Apprezzabile ma avara”, come l’ha definita il presidente della Conferenza Episcopale Italiana card. Angelo Bagnasco sull’onda degli incessanti appelli di Papa Francesco – che hanno rotto il muro dell’indifferenza – e delle prime iniziative concrete di Bruxelles. Quarantamila tra siriani ed eritrei arrivati dopo il 15 aprile 2015 saranno ricollocati nei prossimi due anni. Il trasferimento avverrà dall’Italia (24mila: 5.258 andranno in Germania, 4.051 in Francia e 2573 in Spagna) e dalla Grecia (16mila) in altri Stati membri sulla base di una serie di parametri. Si tratta di una ripartizione obbligatoria dei rifugiati ai quali è stato riconosciuto il diritto a godere della protezione internazionale. Ma Regno Unito e Irlanda hanno la possibilità di aderire solo se lo vorranno (hanno già detto che non lo faranno), mentre la Danimarca gode del diritto di non partecipare. Dopo il voto del Parlamento europeo (il sì sembra scontato) l’ultima parola spetta al prossimo vertice dei Capi di Stato e di Governo dei Ventotto, già convocato per il prossimo 26 giugno.

Se fallisse il piano invocato dall’Italia, sarebbe ovviamente una Caporetto per il Vecchio Continente, per la fragile Europa degli egoismi che stenta a trovare coesione sulle politiche economiche, ma ancor più sulle strategie di difesa o su quelle di soccorso ed accoglienza degli immigrati in fuga dalle guerre in Siria, in Irak, in Libia ed in altre parti dell’Africa, come dimostra il disimpegno di Gran Bretagna, Francia e Spagna ed il preoccupante sfarinamento delle leadership, incapaci di rinnovarsi ed essere in sintonia con i tempi. L’Europa perderebbe l’ultimo treno per diventare una vera potenza planetaria, il sogno che tutti gli europei più convinti vorrebbero veder realizzato! Dal modo in cui l’Onu e la Ue risponderanno all’emergenza migranti dipenderà infatti molta della credibilità di cui esse ancora godono nell’opinione pubblica e, cosa ancora più importante, dell’affidabilità che conservano presso i nostri governanti. Vedremo se,di fronte a scelte così indilazionabili, sapranno convincere e piegare i propri Stati membri a condividere sul serio, e non a parole, il peso che la solidarietà effettivamente comporta. Altrimenti saranno loro a ritrovarsi sfiduciate. Per sempre!

Questa volta, finalmente, l’Italia ha fatto la sua parte a prescindere dallo scarso sostegno ricevuto. Sicuramente ha avuto il merito di segnalare per prima la gravità della situazione. Almeno quattro governi (Berlusconi, Monti, Letta, Renzi) hanno sollevato la dimensione strutturale della crescita fuori controllo dei flussi trans-mediterranei di migranti, provando ad affrontarla con strumenti in parte diversi e in parte simili, ma ottenendo sempre la medesima risposta irritante e inconcludente dalle Nazioni Unite e dall’Unione Europea

Quest’anno sono stimati in oltre 200mila i “balzeros” che punteranno sull’isola di Lampedusa o attraverseranno il Canale di Sicilia; nel 2014 ne sbarcarono 170 mila. Di questi circa la metà potrebbe rientrare nella categoria dei profughi veri e propri, nei confronti dei quali vige l’obbligo di asilo. Chiedere che almeno un quarto di questi venga accolto anche dagli altri Paesi della Ue non significa mercanteggiare sull’umanesimo, ma renderlo concretamente possibile. Per ospitarli servono alloggi, quando ci mancano perfino le caserme. Sicché nel 2014 abbiamo speso 650 milioni nella gestione degli immigrati, nel 2015 la stima s’impenna a 800 milioni. Tuttavia l’Europa ha stanziato la miseria di 60 milioni per tutti i 25 Stati coinvolti da questa nuova Agenda sulla migrazione. Nemmeno Arpagone, l’avaro di Molière, avrebbe fatto peggio: ben l’ha spiegato il brillante editorialista del “Corriere della Sera” Michele Ainis.

La via d’uscita? Costruire campi d’identificazione in Africa, nei cinque Paesi della fascia sub sahariana. E lì respingere o accettare le richieste d’asilo, dirottando da subito i migranti nei vari Stati europei. Il governo italiano l’aveva già proposto l’anno scorso, ma l’Unione ha fatto finora orecchie da mercante. E i mercanti ora progettano un esodo di massa, o meglio un trasferimento degli immigrati da una sponda all’altra del Vecchio Continente, per rispettare quote e percentuali. Ma quanti migranti vorranno separarsi dai luoghi, dagli affetti, dal lavoro che hanno trovato nel frattempo? E quanta forza militare servirà per addomesticare i più recalcitranti? Eccola perciò la vittima di questa misura: la dignità, il rispetto che si deve a ogni individuo, come spesso ci ricorda Papa Francesco.

Certo l’operazione -Mediterraneo che sta partendo sotto la guida dell’Italia non è priva di rischi e di prospettive incerte. Pattugliare è una cosa, combattere trafficanti di esseri umani e i loro alleati jihadisti è ben altra. Si chiama “guerra”. E la si combatte – sostengono gli esperti – con gli incursori, i reparti scelti addestrati ai blitz terrestri, con un fortissimo lavoro d’intelligence fatto sul campo. Insomma, molto più di uno schema da “battaglia navale”. Perché la Libia (non è la Somalia!) è in pieno caos, ulteriormente aumentato nelle ultime settimane per i giochi delle grandi potenze (che fanno prosperare l’Isis) dietro ognuno dei due governi, quello di Tobruk e quello di Tripoli, sostenuti il primo da Arabia Saudita ed Egitto, il secondo da Turchia e Qatar; che a loro volta dipendono dagli Usa, dalla Russia e indirettamente dalla Cina. Perché i trafficanti e la filiera nordafricana dello Stato islamico sono dotati di armamenti pesanti, sottratti agli arsenali di Gheddafi, e sanno come usarli, forti dell’addestramento ricevuto in Afghanistan, Siria, Iraq, Yemen.

Ma i nodi da sciogliere, prima ancora che legati alla strategia militare, sono di natura politica. E la decisione (non rinviabile!) oltre che a Renzi, spetta soprattutto all’Onu ed all’Unione Europea. Che è a un bivio: o trova nuovo slancio operativo o – molti lo temono – autocertifica il suo fallimento.