Se lo stato non doma il fantasma del gioco d’azzardo

no-slot-basta-con-lo-spreco-del-gioco-dazzardodi Antonio Lovascio • C’è un nuovo fantasma che sta crescendo nel Paese: il gioco d’azzardo. Molti ragazzi si stanno bruciando il futuro, seguendo il cattivo esempio degli adulti. Protestano le famiglie di chi si è rovinato la vita. Insorgono le associazioni antiusura, scrivendo lettere di denuncia al Presidente Mattarella. Con i loro accorati appelli Papa Francesco ed il presidente della Cei card. Bagnasco hanno dato forza alla lodevole campagna che “Avvenire” – unico giornale in Italia – sta portando avanti da almeno un paio di anni. Finalmente si sono svegliati dal letargo anche le Regioni ed i Comuni, ormai ridotti a delle Las Vegas in miniatura da chi insegue un sogno rutilante e figurine colorate che ingannino la dea bendata. Tutto inutile: per arginare questo vizio dilagante nei bar e on-line ci vorrebbe un miracolo. Invece si paga l’ennesima furbata all’italiana. Quando nessuno se l’aspettava, è spuntata una circolare-beffa sulle slot-machine che ne autorizza 40 mila in più, sdoganando e mettendo in circolazione quelle custodite nei magazzini, in barba ad una legge che annunciava una riduzione del 30 per cento in quattro anni. Così il numero è cresciuto del 10,6% in quattro mesi, salendo a 418.210.Tre per ogni esercizio pubblico. Dal 2007 al 2014 gli italiani indigenti sono aumentati da 7,5 milioni a oltre 10. Uno su sei.

Mentre la soglia della povertà si spalancava per il 16,6% della popolazione, il business dell’azzardo lievitava del 350%, fino a 84 miliardi. Saliti nel 2015 – ha ricordato il quotidiano cattolico – a 88,2 miliardi. Più quelli del gioco clandestino, che fattura non meno di 23 miliardi e offre alle varie criminalità organizzate colossali possibilità di riciclaggio di denaro. L’avrete capito: sono cifre da rabbrividire, che dovrebbero tappare la bocca ai difensori dell’azzardo quando affermano che buona parte dei soldi tornano a chi gioca. Vero. I miliardi persi dagli italiani, però, sono oltre 17. Cioè 284 euro a testa. E non c’è da sorridere, come si vede in tanti spot televisivi che vantano l’allegria della “puntata”; una pubblicità immorale che il Garante (l’ AGCOM) dovrebbe fermare essendo di fronte ad una vera e propria emergenza sociale. Lo spiega un’inchiesta del “Corriere della Sera” condotta da Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, che riprende uno studio Espad (il monitoraggio europeo sulle dipendenze dall’alcol e altre droghe) curato da Sabina Molinaro del Cnr: i soggetti “ad alto rischio” che dipendono dall’azzardo sono circa un milione. I giocatori “patologici” almeno 256.000. E l’orizzonte è sempre più fosco: nel solo primo trimestre di quest’anno gli incassi statali per questo affare infetto sono cresciuti di altri 413 milioni: il doppio di quanto il governo abbia stanziato nel 2015 per la disoccupazione di lunga durata.

La ludopatia “non è solo un fenomeno sociale, ma una vera e propria malattia, che può portare a rovesci finanziari e compromettere i rapporti familiari; procurare la perdita del lavoro, sviluppare la dipendenza da droghe o da alcol fino al suicidio”, come recita una campagna informativa del ministero della Salute, ossia lo Stato. Lo stesso che di quei 17 miliardi buttati dagli italiani schiavi delle “macchinette”, delle scommesse o dei poker on-line incassa 8,7 miliardi. Il resto va alla cosiddetta “filiera”, dai baristi ai gestori: e ai concessionari. Una lobby così influente, questa, da essere in grado di cambiare perfino il corso delle leggi. Con il gioco delle tre carte, da nessuno smentito, consumato tra l’ottobre ed il Natale scorso, pare ad opera dell’Agenzia delle dogane. A dispetto della scelta di Renzi di firmare anni fa la proposta di legge di iniziativa popolare contro lo “Stato biscazziere” ed i segnali contrari del Quirinale.

Ora sono scese in campo le Regioni, ma faticano a creare un fronte comune, per fare rete contro l’azzardo e gestire in modo coordinato il nuovo Fondo nazionale per il gioco patologico, istituito con la legge di stabilità 2016 e con una dotazione finanziaria di 50 milioni. Non sarà facile arrivare ad una norma governativa che regolamenti il settore trovando un punto di equilibrio tra le diverse esigenze. Perché c’è già chi sostiene che con le politiche di contrasto potrebbero fallire 159 aziende produttrici di slot-machine, 1.000 aziende di gestione, mettendo a rischio 6 mila posti di lavoro. Le condizioni delle “vittime” passano quasi in secondo piano. In attesa che il premier prenda in mano con decisione il dossier, non possiamo che incoraggiare Regioni e comuni a fare la loro parte. Vanno nella giusta direzione campagne ed iniziative di prevenzione come quelle che, ad esempio, la Toscana vuole rafforzare. Anche se rischia di essere una limitazione evanescente e priva di efficacia il divieto di apertura di sale-gioco nei pressi delle scuole, visto che i giovani possono liberamente “puntare” on-line sul proprio smartphone o direttamente da casa, collegati in rete. Intanto sarebbe opportuno introdurre la defiscalizzazione per gli esercizi commerciali che eliminano le “slot”, aumentando invece le tasse regionali per chi decide di installarle.

Ma la regolamentazione complessiva del settore è una partita che si gioca a Roma (tocca infatti a Palazzo Chigi ed al Parlamento legiferare ) e non a Milano, Torino, Palermo, Reggio Calabria o Firenze. Ora occhio alla prossima legge di stabilità. Ormai tutti sanno che a fine 2019 le “macchinette rovina-famiglie” non potranno essere più di 265 mila. Una ogni 225 italiani.

Non poche (in Spagna ce n’è una ogni 245 residenti e in Germania una ogni 261). Ma è inutile ripetere che noi amiamo sempre stare sopra le righe del buonsenso e della decenza.