La Jihad di Erdogan: Una ripresa del genocidio armeno?

284 177 Mario Alexis Portella
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Mario Alexis Portella Il presidente Trump invitò il leader turco, Recep Erdogan alla Casa Bianca il 16 maggio 2017, con il progetto di combattere il terrorismo islamico diffuso nel mondo. Nel loro incontro, Trump ha detto: «Oggi affrontiamo un nuovo nemico nella lotta contro il terrorismo e cerchiamo, ancora, di combatterlo insieme». Trump sembra aver preso una posizione diversa dal suo predecessore, Barak Hussein Obama, che appoggiova i governi e gruppi fondamentalisti, ad esempio, la Repubblica dell’Iran, la Fratellanza Musulmana e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina che è amministrata dal partito terrorista di HAMAS. Nonostante lo sforzo della nuova amministrazione statunitense, Trump, oltre alla vendita delle armi (350 miliardi di dollari per i prossimi dieci anni) che ha fatto con l’Arabia Saudita – il regime più pericoloso nel mondo musulmano – continua ad aiutare le politiche jihadiste dei sunniti – in maniera più clandestina, quella di Erdogan.

Quello che Trump ed Erdogan non hanno messo in discussione sono le minacce che Erdogan pone alle minoranze etniche religiose in Turchia e Siria: i cristiani, i kurdi e gli yazidi, oltre a scatenare una guerra santa nei confronti dei suoi vicini sciiti in Medio Oriente. Tutto questo non è altro che una ripresa del genocidio fatto dagli ottomani contro gli armeni durante la 1° guerra mondiale, che in realtà fu una jihad.

Lo sterminio di un milione e mezzo di cristiani armeni fu un compimento di una jihad che è iniziata nel 1071, quando i turchi Seljuk sconfissero i Bizantini nella battaglia di Manzikert. Dopo aver conquistato le province armene dell’Impero bizantino, essi imposero norme basate sulla sharia ai cristiani, in quanto gli armeni rifiutarono collettivamente di convertirsi all’Islam.

I Seljuk, fino al XIV secolo, hanno eseguito il trasferimento illegittimo di beni armeni, la dispersione della loro popolazione rurale e gli hanno costretti all’emigrazione dalla loro patria. Sotto il regno di Murad I (1362 – 1389), per soddisfare la richiesta crescente di manodopera da parte delle loro truppe, i turchi hanno imposto una tassa speciale (su tutti i soggetti cristiani dell’impero), la “devshirme” (o la jiyza), che richiedeva una raccolta forzata e l’islamizzazione dei bambini cristiani. In questo, come altri islamisti, essi furono ispirati dal Corano e, specialmente su ciò che i giuristi musulmani hanno promulgato riguardo ai metodi di tirannia sui non musulmani: il sistema “dhimmità”.

La “dhimmità” era un sistema politico per governare le popolazioni conquistate dalle guerre sante islamiche, che comprendevano gli aspetti demografici, etnici e religiosi. La struttura di questo “governo” era un misto tra l’oppressione e la collaborazione attraverso regole e obiettivi ben definiti tra una minoranza militarista di conquistatori e una maggioranza “civile” molto sviluppate con lo scopo d’impedire loro di sviluppare qualsiasi risorsa per gli armeni. Ecco perché, ad esempio, sotto la dhimmità, i turchi musulmani hanno creato i patriarcati armeni a Gerusalemme e Costantinopoli, per “regolare” la loro religione. A proposito, questi patriarcati non erano e non sono ancora accettate dalla gerarchia della Chiesa apostolica armena, tanto più che l’obiettivo dei turchi non era quello di promuovere la libertà religiosa, ma piuttosto scoraggiarla mantenendo si di essa una continua sorveglianza.

Il genocidio armeno, in linea con la dottrina jihadista, ha cercato di ristabilire la dominanza turca dopo che i russi si sono ritirati dalle terre occupate in Armenia. Il declino continuo del potere turco ottomano e le loro costanti perdite territoriali a fronte delle insurrezioni balcaniche alla fine dello XIX° hanno isolato i cristiani armeni in una situazione molto precaria. La rivolta degli armeni sasuni nel 1904 contro la crescente violenza e l’oppressione è stata soppressa dalle autorità ottomane con nuovi massacri. Per porre fine al misfatto ottomano nelle province armene, le grandi potenze dell’Europa orientale e occidentale hanno spinto il governo turco a introdurre riforme amministrative. L’ansia crescente dell’élite turca ha portato alla ricerca di avversari interni come spiegazione per il continuo declino ottomano. In questo periodo sono emersi piani preminenti per eliminare definitivamente la popolazione armena. Questa mentalità fu ereditata dai “Giovani Turchi” (le nuove forze dirigenti dello Stato durante la 1° guerra mondiale), la cui attiva pianificazione su questa materia ha portato alla politica genocida che è stata perpetrata in modo completo contro gli armeni e le altre popolazioni cristiane.

Il sultano-califfo ottomano, Abdul Hamid II (1876-1909), nel tentativo di assicurare e perpetuare il dominio turco nei territori dell’impero, ha avviato un programma di pulizia etnico-religiosa attraverso l’uccisione barbara di migliaia di armeni. Questo annientamento, deliberato e sistematico, la dislocazione e la confisca di proprietà turche ai musulmani fecero parte dell’annuncio di guerra santa da parte del Sultano Mehmed V all’inizio della 1° guerra mondiale. Poiché gli ottomani avevano bisogno di un sostegno totale e incontrastato della popolazione musulmana per vincere la guerra contro le grandi potenze, il fanatismo religioso è stato istigato per raggiungere quest’obiettivo. Di conseguenza, sono stati pubblicati cinque “fatwa” (proclamazioni giuridiche) dallo Shiek Ul-Islam Mustafa Hayri Efendi, chiedendo una jihad dopo la dichiarazione di Mehmed. Anche la popolazione musulmana all’interno dell’impero russo fu chiamata a partecipare a questa guerra santa. In sostanza, ciò sollecitava ulteriormente l’animosità religiosa dei musulmani nei confronti dei loro concittadini cristiani dell’impero: gli armeni, i greci e gli assiri.

Sotto l’impulso del nazionalismo islamico-turco, Erdogan, continua a incoraggiare la stessa politica dei predecessori, cioè di implementare l’hakimiyyat Allah: il regno di Allah sulla terra. E questo lo sta facendo, nonostante i negoziati avanzati con l’UE per i suoi ottanta milioni di cittadini per viaggiare senza visto, pur avendo la milizia più numerosa, dopo gli Stati Uniti, nel Patto Atlantico. Tutto questo è stato affrettato dopo il falso colpo di stato nel Luglio dell’anno scorso, che si è dimostrato un contro colpo di stato con migliaia di prigionieri militari, giornalisti, Rettori delle università, molti poliziotti, il sequestro di chiese, tra cui la chiesa ortodossa siriana della Madonna a Diyarbakirc – una chiesa dal 4° – Aprile del 2016. E solo cinque mesi dopo “il colpo”, il quotidiano pro-turco Akşam pubblicò un articolo in prima pagina accusando il patriarca ecumenico Bartolomeo I di collaborare con la CIA e la Fethullah Güllen nel “colpo di stato” contro Erdogan. Tutto questo è stato provocato dal nuovo “Califfo di Istanbul” che persegue lo stesso obiettivo: la realizzazione di uno stato turco interamente islamico sotto la guida di Erdogan. E siccome il paese “più potente” del mondo, l’America, continua a negare il fatto storico del genocidio armeno, conseguenza di una jihad, la situazione nel Medio Oriente e in tutta l’Europa è diventata molto più delicata.

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Mario Alexis Portella

Tutte le storie di: Mario Alexis Portella