Vent’anni di leggi, ma la strage di donne continua

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25-nov-2014di Antonio Lovascio • Lo chiamano “femminicidio”. Questa brutta parola (proprio non mi piace: come se il ‘genere’ venisse prima dell’essere, una donna, persona) è purtroppo diventata frequente nel nostro lessico , nei telegiornali, sulla stampa. Dove si discute più dei numeri (impressionanti!), anziché trovare soluzioni per prevenire la violenza cieca che spinge tanti uomini a compiere delitti efferati e vili. Le statistiche registrano in Italia un fenomeno ormai costante: undici omicidi al mese, così si arriva alla soglia delle 140 vittime all’anno. L’aspetto più sconvolgente ? Che sia il marito o il convivente, il padre dei figli, il fidanzato quello che può arrivare a uccidere. E non in un raptus, come leggiamo spesso, ma il più delle volte al culmine di una serie di minacce, gelosie ossessive, maltrattamenti o botte fino a quel momento tollerati. Subiti in silenzio spesso per amore: perché quella donna ama ancora quell’uomo, perché spera che le cose migliorino, perché non vuole dividersi, o per il bene delle creature più piccole, che pure stanno a guardare. Al passo della denuncia molte arrivano solo dopo anni, per paura che la scelta renda più aggressivo il partner.

Purtroppo è una tragedia che non risparmia nessun Continente. Per questo non dobbiamo stancarci di ricordarla e combatterla, cominciando a contrastare l’idea che si tratti di una questione da risolvere dentro le mura di casa. Negli Stati Uniti ha fatto e fa tuttora più morti che i soldati caduti in Iraq, Afghanistan, Medioriente. Nell’Unione Europea non c’è nessun Paese che possa considerarsi esente : l’Agenzia europea per i diritti fondamentali, nella più completa indagine finora realizzata, ha reso noto che il 33% delle intervistate sopra i 15 anni ha subito violenza fisica e/o sessuale. Una su tre. Un dato sconvolgente, perché tradotto in cifre assolute riguarderebbe 62 milioni di donne europee. E stiamo parlando delle zone più civili della Terra.

Non basta quindi celebrare il 25 novembre la Giornata internazionale voluta nel Duemila dall’Onu. I “drappi rossi” esposti ai balconi come simboli di sdegno sono encomiabili, ma a questo punto servono solo fatti concreti. Le leggi ci sono , ma manca tutto il resto: niente fondi, centri costretti a chiudere, piano antiviolenza mai decollato, vittime senza tutela e un esercito crescente di bambini o giovani che si ritrovano improvvisamente orfani: sono almeno 1600 in Italia i figli di questo “olocausto familiare” (censiti da un coraggioso progetto europeo) che vorrebbero veder riconosciuti i loro diritti.

E’ altrettanto indispensabile un cambiamento di cultura e mentalità, di presa di coscienza specie da parte degli uomini. E quest’opera di ri-educazione deve partire dalla famiglia, dalle aule scolastiche e degli atenei. Dovrebbero essere finalmente pronte e scattare da settembre le “ Linee guida” del Ministero dell’Istruzione per prevenire la violenza di genere e tutte le discriminazioni: sono state elaborate in base a quanto previsto dal comma 16 della Legge 107/2015 di riforma “La Buona Scuola”. Ovvio: ci vorranno anni per vederne gli effetti. Ma intanto la nuova emergenza del “femminile” potrebbe essere attenuata dall’ampliamento reale degli spazi di presenza e di partecipazione attiva delle donne nelle diverse espressioni della vita culturale, sociale e politica.

Anche nella Chiesa – come ha spiegato domenica 19 giugno su “Il Sole-24 Ore” l’arcivescovo monsignor Bruno Forte, segretario speciale dell’ultimo Sinodo- si è ormai fatta strada una rinnovata coscienza del femminile. Sta alimentando varie forme di “teologia dell’integralità” umana. Partendo da Giovanni XXIII, passando per Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI fino a Papa Francesco, il Magistero ha evidenziato la reciprocità uomo- donna come condizione dell’armonico sviluppo della persona. Si è denunciato ogni atteggiamento che releghi il gentil sesso in un ruolo regressivo e mortificante. C’è stata la riscoperta di Maria, la madre di Gesù, come “tutt’altro che passivamente remissiva o di una religiosità alienante”. In questa luce, è emersa la storia spesso oscurata del protagonismo femminile all’interno della comunità cristiana. Si è delineato in tutta la sua rilevanza il ruolo esercitato, tanto a livello di vita consacrata quanto nelle più diverse espressioni della vita familiare e sociale.

In un prossimo futuro questa “coscienza rinnovata” dovrebbe tradursi in un maggior coinvolgimento nelle responsabilità e nelle decisioni della Chiesa. Per questo Bergoglio ha aperto all’idea di creare una commissione di studio, convinto che “il pensiero della donna è importante, più della sua funzione” perché “pensa in un altro modo di noi uomini”: quindi “non si può prendere una decisione buona e giusta senza sentirla”. Ora, lo ha detto ai giornalisti nel viaggio di ritorno dall’Armenia, il Papa aspetta che si rifaccia il dicastero dei laici per continuare questa riflessione, ma intanto ribadisce:”La Chiesa è donna. Non è una donna zitella, è una donna sposata con il figlio di Dio”.

La via è dischiusa ( come giustamente hanno commentato affrontando il tema delle diaconie padre Antonio Sciortino su “Famiglia Cristiana” e Stefania Falasca su “Avvenire”) e lascia intuire ulteriori progressi che potranno essere rilevanti per tutti. Non solo per la comunità cristiana, che proprio in questo campo potrebbe avere un ruolo di promozione e di stimolo all’intera società. La Chiesa corre avanti nel segno dei tempi: può quindi dare il suo contributo educativo anche per fermare lo spargimento di sangue femminile ed arginare una deriva di malvagità.

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Antonio Lovascio

Tutte le storie di: Antonio Lovascio