Il significato cristiano del digiuno

500 333 Gianni Cioli
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foto-panedi Gianni Cioli • «Allora gli si avvicinarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: “Perché noi e i farisei digiuniamo molte volte, mentre i tuoi discepoli non digiunano?”. E Gesù disse loro: “Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno”» (Mt 9,14-15).

In questo brano emerge che il digiuno cristiano ha significato come segno di una mancanza e quindi di un desiderio. Il bisogno di fare digiuno è il segno della mancanza dello Sposo.

I discepoli hanno fatto drammaticamente l’esperienza di questa mancanza quando Gesù è stato arrestato e ucciso sulla croce. Il digiuno cristiano è innanzitutto memoria di questo.

Certo, dopo la risurrezione egli ha detto loro «io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Ma egli è presente e assente al contempo. Proprio quando i discepoli di Emmaus riconoscono Gesù mentre spezza il pane egli sparisce dalla loro vista (cf. Lc 24,31).

Anche noi, come i discepoli dopo l’Ascensione, abbiamo la compagnia del Signore. Pur non potendo godere della sua presenza fisica, abbiamo la sua parola, abbiamo l’eucaristia che è la sua presenza reale, abbiamo lo Spirito Santo. Tutte queste realtà sono sufficientemente forti da farci stare uniti al Signore e al tempo stesso possono essere abbastanza deboli da permetterci di sentirci lontani o di rimanere lontani da lui. La felicità umana perfetta sarà vedere il Signore faccia a faccia, ma finché viviamo su questa terra lo pertcepiamo soltanto in maniera velata. Il digiuno allora è distaccarsi dalle cose per ricordare e desiderare il Signore più intensamente. In questo desiderio intenso c’è già un’anticipazione reale dell’incontro con lui. Questo forse è il significato profondo del digiuno in preparazione alla comunione che, a mio avviso, andrebbe riscoperto.

Questo aspetto del digiuno cristiano lo chiamerei “digiuno come preghiera”. Esso mira a produrre nella persona un vuoto che l’aiuti a percepire la nostalgia del Signore e la disponga a lasciarsi riempire da lui.

Un altro aspetto che la tradizione cristiana ha sempre considerato è quello del digiuno come carità verso il prossimo: il sapersi privare di qualcosa di nostro per essere concretamente solidali con chi è nel bisogno. Anche questo per il cristiano è un modo per cercare e per ritrovare il Signore. Infatti, come sappiamo, il Signore si è identificato con i poveri (Cf. Mt 25,31-46).

C’è ancora un altro aspetto, collegato ai precedenti, ed è quello del digiuno come penitenza, cioè come memoria della morte del Signore per i nostri peccati e come volontaria presa di distanza dal peccato attraverso la temporanea rinuncia a un bene essenziale qual è il cibo. Il peccato in effetti ci separa dal Signore; ci toglie lo Sposo. Se spesso sentiamo il Signore tanto lontano, nonostante che egli abbia promesso di essere sempre con noi, è perché forse ci siamo allontanati da lui. Se è vero che la felicità perfetta non esiste su questa terra è vero però anche che il peccato esaspera la nostra infelicità. In fondo il peccato è la ricerca disperata della felicità là dove non la si può trovare.

Rinunciare temporaneamente alla gioia del cibo, che è un bene fondamentale, ci aiuta a considerare la fondamentale ambiguità di ogni bene materiale e a ricordare che solo nel Signore possiamo trovare la felicità vera e definitiva: «non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4; cf. Dt 8,3).

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