Papi e Padri; a venticinqu’anni dall’Istruzione vaticana sullo studio della patristica (10 novembre 1989)

335 274 Carlo Nardi
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11disputano di Carlo Nardi • Papi e Padri. Intendo dire i papi in rapporto ai Padri della Chiesa, scrittori cristiani dei primi sei/sette secoli, di retta fede, santi – i santi Padri – e riconosciuti dalla Chiesa che ne è nel contempo madre e discepola.

Tra papi e Padri un rapporto c’è. Lo dicono le parole: papa da cui l’ormai italianissimo “papà”, dall’uso greco e poi latino è il vezzeggiativo affettivo di “padre”, come il toscano “babbo”. Questo rilievo alla buona spiega il perché tra papi e Padri c’è una “corrispondenza d’amorosi sensi”. Spesso e volentieri i primi hanno parlato dei secondi. Non solo. Nel magistero più recente i papi hanno dedicato encicliche ed altre lettere, anche molto belle, a singoli Padri. Facendosi vivi nel contesto culturale attento alle vicende del cristianesimo antico, i pontefici, da fine Ottocento in poi, hanno fatto lavorare anche le congregazioni romane, incaricandole di studi e memorie.

Mi domando: sarebbe possibile uno studio della patrologia, avvalendoci delle lettere papali sui singoli Padri? Ho l’impressione che il programma non sarebbe coperto, che non sarebbe messa in piena luce la genesi storica del pensiero nel drammatico contesto del tempo, che si correrebbe il rischio di uno studio oleografico per medaglioni. Sarebbe il rischio di un approccio con l’assunto di una continuità univoca a tutti i costi e in tutti i punti, secondo me spia di uno zelo poco accorto capace di far danno alla Chiesa nei suoi figli vivi di mente, di cuore, di spirito, anche di perplessità ed ironia.

Pur con questo mio mettere le mani avanti, eccomi ad esortare alla lettura di quei documenti con semplicità filiale. Difatti, intendono farci conoscere e amare i Padri, e pertanto sono anch’essi testi amabili, pur con le loro pesantezze, come del resto quelle di cui i Padri non erano affatto esenti. Sono scritti amabili soprattutto perché, facendoci i Padri vicini, ci avviano a sperimentare una grande cattolica compagnia, riflesso della comunione dei santi anche nella concretezza dell’umile carta scritta.

Mi vengono in mente alcuni di quei documenti che ho avuto fra mano, e li enumero con piacere: eccoci incontro ai papi che ci parlano dei Padri.

Leone XIII nel 1874 illustra san Giustino, filosofo e martire, esempio di autentica sapienza e di vera libertà.

Pio X nel 1904 delinea san Gregorio Magno nel tredicesimo centenario dalla morte e nel 1907 addita san Giovanni Crisostomo come pastore d’anime nel quindicesimo dalla morte.

Benedetto XV nel 1920 dedica un’enciclica a san Girolamo, raccomandandolo al popolo cristiano per la lettura amorosa della Sacra Scrittura, e proclama s. Efrem siro dottore della Chiesa con particolare attenzione all’Oriente cristiano.

Giovanni Paolo II nel 1980 con due lettere commemora rispettivamente san Basilio e san Benedetto, e nell’1986 la conversione di san Agostino.

Benedetto XVI nel 2007 celebra il sedicesimo centenario della morte del Crisostomo con una lettera d’invito allo studio appassionato della sua persona ed opera. Tra lo stesso anno e il seguente il papa dedicò agli antichi scrittori cristiani una serie di catechesi, essenziali e incisive.

È utile anche la lettura di documenti papali commemorativi di eventi dell’antichità. Sono da considerere le memorie dei Concili ecumenici dell’età patristica: quello di Efeso (431) da parte di Pio XI nel 1931, di Calcedonia (451) da parte di Pio XII nel 1951, ambedue da parte di Giovanni Paolo II nel 1981. Quegli scritti sono fonti di una teologia patristica tramite il magistero.

Sulla patristica in generale nel 1975 Paolo VI stilava una lettera grata alla memoria e all’opera dell’abate francese Jacques Paul Migne, editore nell’Ottocento delle due Patrologie, la collana greca e quella latina, raccolte di testi in solenni volumi ancora indispensabili.

Cinque lustri fa la Congregazione per l’educazione cattolica emanava un’Istruzione sullo studio dei Padri della Chiesa nella formazione sacerdotale nella significativa data del 10 novembre, la memoria di san Leone I papa.

Quel testo, che incoraggiava ad un tempo al rigore storico della filologia e al senso pleniore della teologia, fin da subito, autunno 1989, suscitò a Firenze l’attenzione del Centro di studi patristici con le sue mensili Letture patristiche, conversazioni atte a ravvivare un filiale “intelletto d’amore” per l’antica letteratura cristiana.

Non solo: una domanda. L’abbinamento papi Padri non potrebbe essere lo spunto per anime buone, generose e competenti – e per giunta dotate di mezzi – per imbastire e realizzare un nuovo Enchiridion patristicum? Un “prontuario pontificio patristico”, capace di accogliere ed offrire al lettore gl’interventi del magistero pontificio sui Padri, i quali, dopo gli apostoli, sono fonti di quella stessa dottrina romana e cattolica? Vivant somnia, soleva dire il promotore del Centro patristico, don Mario Naldini. Chissà che qualcuno non li trasformi in realtà.

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