La «Dei Verbum» e un’osservazione di Ratzinger

449 370 Francesco Vermigli
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dei-verbumdi Francesco Vermigli • Cinquant’anni fa, il 18 novembre del 1965 il Concilio promulgava la Dei Verbum, la costituzione dogmatica dedicata alla divina rivelazione (Constitutio dogmatica de divina revelatione). Essa si distingue piuttosto chiaramente dalle altre tre costituzioni conciliari – rivolte alla liturgia, alla Chiesa in sé e nel rapporto con il mondo – ma il suo esatto profilo talvolta non viene colto in maniera precisa. Giustamente la Dei Verbum viene salutata – per così dire – come la punta di diamante di un lungo processo di riscoperta della Scrittura nella vita della Chiesa cattolica: essa è, da un lato, a valle di sollecitazioni dei decenni precedenti (si pensi alla Divino afflante Spiritu di Pio XII), dall’altro, a monte e all’origine di quel grande movimento di formazione biblica che ha contraddistinto il periodo postconciliare. Questa interpretazione può facilmente poggiare sui capitoli che la seconda parte della Dei Verbum dedica alle tematiche più direttamente bibliche – cosa significa l’Antico Testamento per i cristiani, l’origine apostolica e il carattere storico dei Vangeli – o al posto della Bibbia nella vita della Chiesa e nella pastorale. Tuttavia una serie di elementi ci conducono a pensare che questa interpretazione, pur vera, sia anche parziale.

A ben vedere, infatti, la costituzione tratta propriamente della rivelazione divina, non della Scrittura. Si potrebbe ipotizzare che i due elementi coincidano, per cui dire Scrittura e dire rivelazione sarebbe affermare la stessa cosa. Ma tanto la struttura generale del testo conciliare, quanto la storia della formazione dello stesso mostrano come questa coincidenza tra Scrittura e rivelazione divina non possa essere dichiarata. La costituzione prima parla della rivelazione (nn. 1-6), quindi – solo dopo aver accennato al fatto che Dio dispose che rimanesse integro ciò che aveva rivelato – viene a trattare (n. 7) della formazione dei Vangeli; per poi ben presto passare alla Tradizione e ai rapporti di essa con la Scrittura. Allo stesso modo, la storia della formazione della costituzione ci mostra come la Dei Verbum raccolga il problema della relazione tra Scrittura e Tradizione che riceveva dallo schema cosidetto De fontibus Revelationis, ma per ripensarla in radice. In questo ripensamento sta il punto che ci permette di capire quale sia realmente l’oggetto della Dei Verbum.

Nel rifiuto dello schema delle due fonti della rivelazione, la costituzione vuol far passare l’idea che c’è qualcosa che ad un tempo precede e unisce Scrittura e Tradizione: ciò che le tiene unite e le precede, è la libera e misericordiosa volontà divina di farsi conoscere all’uomo e di salvarlo. Questo significa che il termine rivelazione ha un riferimento trinitario, dal momento che è nell’interno più profondo di Dio – nella sua predestinazione dall’eternità – che trova origine e si spiega la stessa rivelazione all’uomo. In un vecchio e densissismo libretto scritto a quattro mani con Rahner, Ratzinger – nella parte del testo di propria competenza – trattava della Tradizione e del suo rapporto con la Scrittura, per come erano state intese al concilio di Trento; ben presto deviando su considerazioni di più ampio respiro, che prendevano spunto anche dal Vaticano II appena concluso. Scriveva Ratzinger: «occorre risalire indietro oltre le fonti positive di Scrittura e Tradizione, fino alla loro sorgente intima: la rivelazione, la parola vivente di Dio, da cui sgorgano Scrittura e Tradizione e senza la quale queste due non sono comprensibili nel loro significato, ch’esse hanno per la fede. Il problema di “Scrittura e Tradizione” rimane insolubile finché non si amplia e diventa il problema della “Rivelazione e Tradizione” e viene inserito nel contesto più ampio cui appartiene» (J. Ratzinger, Un tentativo circa il problema del concetto di Tradizione, in K. Rahner – J. Ratzinger, Rivelazione e Tradizione, Brescia 1970, p. 35). Qualcosa del genere ricompare in un breve inciso all’interno dell’esortazione apostolica postsinodale Verbum Domini del 30 settembre 2010, pubblicata dallo stesso Ratzinger, ora papa Benedetto XVI: «sebbene il Verbo di Dio preceda ed ecceda la sacra Scrittura, tuttavia, in quanto ispirata da Dio, essa contiene la Parola divina (cfr 2Tm 3,16) “in modo del tutto singolare”» (n. 17).

Questi due brani di Ratzinger teologo e poi pontefice possono essere lo spunto per meglio contestualizzare la Dei Verbum. Come detto all’inizio, la costituzione sulla rivelazione divina si distingue dalle altre che sono state promulgate dal Concilio: la rapida precisazione dell’oggetto principale su cui essa si struttura, può aiutare a capire anche il posto che la Dei Verbum tiene tra i maggiori documenti conciliari. Se intesa correttamente, essa ha un primato, per così dire, assiologico all’interno di tutta la produzione conciliare: prima della liturgia – azione di grazie rituale del popolo di Dio – e dell’esistenza della stessa Chiesa – considerata in sé o nei rapporti con il mondo – sta la predestinazione alla salvezza dell’uomo; sta il mistero santo e imperscrutabile di Dio che dall’eternità vuole comunicare la propria stessa vita.

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Francesco Vermigli

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