Se lo stato “gioca” e diventa biscazziere

1436364808-renzi-legge-stabilitadi Antonio Lovascio Ci mancava di vedere anche questa: lo Stato che diventa biscazziere. Come ? Il piatto appetitoso è stato servito alle lobby del malaffare addirittura dalla Legge di Stabilità, anche se qualcuno sostiene – viste le prime retromarce e correzioni – che la partita non è finita e che il Parlamento potrebbe mettere un ulteriore “stop”, dopo l’altolà imposto alla pubblicità ed i maggiori poteri riconosciuti ai comuni. Intanto stiamo ai fatti. La Manovra riguarda non solo (con ritocchi fiscali di qualche rilievo) l’intero settore dell’azzardo – una sorta di Far West – ma anche (e pesantemente) le scommesse legali. Per “fare cassa” si aprono infatti le porte a 15 mila sale da gioco (ne erano previste 22 mila) sparpagliate sul territorio nazionale; che vanno ad aggiungersi agli angoli-bisca prosperati nei bar e nei più diversi locali pubblici, che ospitano già 400 mila slot-machine, una ogni 150 abitanti, il numero più alto del mondo. Il governo promette di ridurli del 25 per cento, ma intanto a Roma si mormora che per far salire la “febbre della puntata” si vorrebbero addirittura concedere le concessioni per quattro casinò. Allora si capisce perché in Italia vengono giocati ogni anno circa 90 miliardi, vale a dire quasi un decimo della spesa complessiva delle famiglie. Ma si tratta di stime approssimative, che tra l’altro non tengono conto del “nero” gestito da società straniere e dalle mafie invisibili che condizionano la vita quotidiana.

Ha ragione don Luigi Ciotti, quando tuona: «Basta, basta, basta! Non ne possiamo più di queste ipocrisie!». Stavolta il fondatore di “Libera”, da anni in prima linea nella lotta contro le cosche, non è stato lasciato solo. Per fermare “Azzardopoli” si è alzata subito la voce della Cei, per bocca di un qualificato esponente della Commissione episcopale per i problemi sociali, il vescovo di Faenza-Modigliana mons. Mario Toso: con forti motivazioni ha contestato il fatto che si punti su questi “bluff” tossici anziché su serie politiche del lavoro, visto che qualche milione di giovani ha infoltito l’esercito dei disoccupati. E’ sceso in campo anche “Avvenire”. Da alcuni anni svolge una meritoria “campagna”, denunciando l’indifferenza degli altri giornali. Infatti la parola “scommesse” trova spazio solo sulle agenzie di stampa, e annega nelle cronache, fino a scomparire. Il termine specifico, “azzardo”, ancora una volta sembra essere diventato insignificante, anzi inesistente. <Se proprio si deve evocare – osserva giustamente il direttore Marco Tarquinio – si parla di “gioco” (una menzogna travestita da troppo tempo in “modo di dire”: l’azzardo non è mai un gioco, avvelena, massacra e usura la vita di persone, famiglie e imprese> .

Con il “muro del silenzio” si pensa così di non intaccare il profilo riformatore e moralizzatore con cui l’esecutivo di Matteo Renzi vuole accreditarsi nell’opinione pubblica. Per fortuna si è dissociato dalla stampa pigra o compiacente un editorialista attento e pignolo come Gian Antonio Stella (“Corriere della Sera”), che si è chiesto: ma non fu proprio Renzi a firmare due anni fa, ancora sindaco di Firenze ma già segretario del Pd, la proposta di legge di iniziativa popolare dell’Italia dei Valori contro lo «Stato biscazziere»? E non fu lui a bacchettare i parlamentari pd che avevano votato un emendamento punitivo verso i Comuni che, frenando il dilagare delle slot machine, avevano rinunciato agli incassi del gioco d’azzardo? Vibrante d’indignazione commentò: «È pazzesco, allucinante>.

Quante parti in commedia! Nel teatrino della politica brilla anche il ministro della Sanità Beatrice Lorenzin, che si è dimenticata di riferire al premier ed ai suoi colleghi di governo quanto gli esperti vanno ripetendo da tempo, e che il sito del ministero della Salute riporta testualmente: «La ludopatia non è solo un fenomeno sociale, ma è una vera e propria malattia, che rende incapaci di resistere all’impulso di giocare d’azzardo o fare scommesse». Di più: «La ludopatia può portare a rovesci finanziari, alla compromissione dei rapporti e al divorzio, alla perdita del lavoro, allo sviluppo di dipendenza da droghe o da alcol fino al suicidio». Parole chiare. Eppure ci si guarda bene dal fermare il Ministero dell’Economia ed i Monopoli, attuando urgentemente una regolamentazione del settore per ridurre il gioco e combattere l’illegalità.

Ma in Italia si vuole veramente combattere gli illeciti ? Aumentano i dubbi, esaminando un’altra decisione annunciata dal premier: quella di alzare l’utilizzo del contante a quota 3.000 euro. Il governo la spiega così: c’è la necessità di uniformare il limite agli altri Paesi, non serve a contrastare l’evasione, dà impulso al turismo, ne beneficiano i commercianti. Invece gli esperti (compreso il capo dell’Autorithy anti-corruzione Raffaele Cantone) sostengono che è un errore. Un anno fa il ministro Pier Carlo Padoan (economista con un passato all’Ocse e al Fmi) disse che il limite al contante accompagnato da incentivi all’uso di pagamenti tracciabili ha prevedibili effetti positivi sui consumi. L’Agenzia delle Entrate (nel caos dopo che 400 funzionari hanno fatto causa a Palazzo Chigi ed ai vertici del Fisco) ha ribadito più volte che l’uso eccessivo del contante aumenta ancor più l’evasione. Tutte le organizzazioni mondiali dicono che criminalità organizzata, riciclaggio e corruzione proliferano senza limiti all’uso di monete.

E’ troppo comodo rifarsi all’Europa. Ma il Trattato di Maastricht prevede solo che,nel caso di un’eccessiva circolazione di contante, ogni Paese possa decidere come e quanto limitarne l’uso. Dobbiamo uniformarci agli altri ? Bisogna vedere con chi; e soprattutto non si può prescindere dall’evasione (l’Italia è seconda solo alla Grecia) e soprattutto dalla cosiddetta “economia sommersa”: un’inchiesta di Milena Gabanelli dice che in Italia è del 21%; mentre in Francia è del 10,8, in Inghilterra del 9,6, in Germania del 13,3, in Spagna del 18. Vuol dire che i cittadini di questi Paesi sono tendenzialmente un po’ più onesti, e le loro Amministrazioni finanziarie in grado di esercitare un miglior controllo.

E’ poi ancora tutto da dimostrare che l’aumento del contante possa aiutare il turismo e favorire la ripresa. Si vogliono inoltre incentivare i consumi di chi ha grosse cifre in contanti, ma non un conto in banca ? Stiamo attenti al fenomeno denunciato nel 2014 dalla polizia del Canton Ticino: da quando gli Istituti di credito svizzeri si rifiutano di gestire denaro “sporco”, sono sorte come funghi società fiduciarie – spesso non elvetiche e non autorizzate – che offrono cassette di sicurezza, dove depositare contanti, a clienti perlopiù italiani. Portando il “tetto” a 3 mila euro, questi “pendolari dell’evasione” potranno spendere più agevolmente il contante in Italia. Faranno rientrare capitali esportati all’estero, senza pagare la tassa della Voluntary Disclosure. Altro che equità fiscale e lotta all’illegalità!