Le Leggi di Cesare e la Legge di Dio

205 175 Andrea Drigani
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gesu con apostolidi Andrea Drigani • «Date a Cesare quello che è di Cesare, ma a Dio quello che è di Dio» è uno dei detti più famosi di Gesù. Qualcuno ha sostenuto che con questa frase nasce il problema dei rapporti tra Chiesa e Stato. In effetti prima di Cristo in tutte le società, da quella greca a quella romana, da quella orientale a quella ebraica, la comunità politica era ritenuta un tutt’uno con la comunità religiosa. Queste parole di Gesù sono pertanto una delle novità evangeliche che hanno fatto fare un passo avanti nella coscienza del genere umano. Nella bimillenaria storia del cristianesimo, non sempre questa espressione di Gesù è stata ben capita da tutti, ma, come dice il Concilio Vaticano II, cresce nella Chiesa, col dono dello Spirito Santo, la comprensione, tanto dei fatti quanto delle parole trasmesse, sia con la riflessione e lo studio dei credenti, sia con l’esperienza data da una più profonda  intelligenza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione apostolica hanno ricevuto un carisma sicuro di verità. La Chiesa, com’è noto, nel corso dei secoli tende incessantemente alla pienezza della verità divina, finché in essa vengano a compimento le parole di Dio. La prima volta che, nel magistero pontificio, si trova il termine «laicità dello Stato» è in un discorso pronunciato, il 23 marzo 1958, da Papa Pio XII che commentava quell’espressione di Gesù. «Vi è in Italia chi si agita – affermava il Pontefice – perché teme che il cristianesimo tolga a Cesare quel che è di Cesare. Come se dare a Cesare quello gli appartiene, non fosse comando di Gesù ; come se la legittima sana laicità dello Stato non fosse uno dei principi della dottrina cattolica; come se – continuava il Papa – non fosse tradizione della Chiesa il continuo sforzo per tener distinti, ma pure, sempre secondo i retti principî, uniti i due poteri; come, se invece, la mescolanza tra sacro e profano non si fosse il più frequentemente verificata nella storia, quando una porzione di fedeli si è distaccata dalla Chiesa». Il cristiano pertanto è tenuto ad obbedire alle leggi civili, purché non siano in contrasto con la legge divina.  Il detto evangelico di dare a Dio ciò che è di Dio ed a Cesare quel che è di Cesare si contrappone a un duplice integralismo, quello che esclude Dio e quello che esclude Cesare. L’esclusione di Dio porta ad una vera e propria «idolatria politica». Gli idoli sono, come si sa, oggetti o immagini a cui si attribuiscono caratteri o poteri divini, che estensivamente assumano anche il significato di oggetti di un’ammirazione o di una dedizione gelosa e fanatica. Una volontà politica, che si estranea dalla legge divina, corre il grave pericolo di radicarsi solo sulla forza, fosse anche quella numerica, che prevede accettazione indiscussa di decisioni. Il principio maggioritario, considerato come il fondamento pressoché unico, di un sistema democratico, rischia di condurre inevitabilmente al costituirsi di uno Stato «etico», che si edifica soltanto su un ordine giuridico esteriore. L’esclusione di Cesare provoca invece quel fenomeno che, nel I secolo d.C., lo storico Flavio Giuseppe, chiamò, per la prima volta, con riferimento all’ordinamento ebraico, «teocrazia». La «teocrazia» la si può intendere come quel governo in cui sovranità sia simbolicamente esercitata dalla divinità attraverso degli uomini ritenuti più attendibili in quanto esercitanti attività «sacrali», come purtroppo, oggi, si proclama nel riesumato «califfato dell’Isis». Nel cristianesimo, in special modo con l’insegnamento di San Giovanni Crisostomo (344/354-407), di San Tommaso d’Aquino (1225-1274) e di San Giovanni XXIII (1881-1963), si fa presente che l’autorità, intesa non come il singolo governante bensì il governare, è la facoltà di comandare secondo la retta regione. L’autorità pertanto proviene da Dio, come dice San Paolo : «Non c’è autorità se non da Dio» (Rm 13,1), ma è esercitata da uomini, legittimamente a ciò preposti, nel rispetto della legge divina. Un ulteriore conseguenza del detto evangelico di Gesù sul dare a Dio quel che è Dio e a Cesare quel che è di Cesare è reperibile pure nella codificazione canonica, sia in quella latina (can.22) che in quella orientale (can.1504), laddove si stabilisce che il diritto della Chiesa può rinviare al diritto civile la regolazione di alcune materie, che verranno dunque osservate nell’ordinamento ecclesiale con i medesimi effetti (tant’è che si parla di «canonizzazione» di leggi civili), bisogna tuttavia che tali leggi civili non siano contrarie al diritto divino.

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