Giubileo: misericordia per mafia capitale e mali d’Italia

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di Antonio Lovascio •  Il Giubileo della Misericordia sarà sicuramente un evento “straordinario”. Chiuderà una stagione ecclesiale assai intensa (il Sinodo dei vescovi sulla famiglia in ottobre, poi il Convegno nazionale Cei sul Nuovo Umanesimo in novembre a Firenze) e aprirà un lungo cammino di penitenza, conversione e (lo speriamo) pure di riconciliazione. Percorso quanto mai necessario, anzi provvidenziale. Dovrà infatti purificare le immagini di Mafia Capitale, che impietosamente da settimane stanno facendo il giro del mondo. Dai predatori affrancati alla politica, sotto processo per aver portato, tra uno scandalo e l’altro, Roma al collasso, simbolo ed epicentro della crisi italiana. Alle esequie-choc in stile hollywoodiano (sulle note del “Padrino, con carrozza, cavalli, Rolls Royce ed elicottero spargi-rose sul corteo funebre e sulla bara) del boss Vittorio Casamonica, capo di un clan con mille affiliati alleato con ‘ndrangheta e camorra, arricchitosi controllando spaccio della droga, usura, estorsioni e prostituzione. Salutato come un “re di Roma”, nell’ennesimo sfregio all’autorità dello Stato non certo all’insaputa di giudici e forze dell’ordine; in un’estate nera, contrassegnata da un vero e proprio groviglio di fallimenti tecnici, errori umani, sabotaggi e disfatte morali.

Ben diverso è lo stile che Papa Bergoglio chiede ai 25 milioni di pellegrini che, dall’8 dicembre al 20 novembre 2016, nell’antica “culla della civiltà” sfileranno in preghiera davanti alla Porta Santa e a rendere omaggio alle spoglie di San Pio da Pietralcina e San Leopoldo Mandic (un altro cappuccino di origini croate, pure lui grande confessore) eccezionalmente traslate nelle Basilica di San Pietro da San Giovanni Rotondo e da Padova, per sottolineare ancor più lo spirito francescano dell’evento di popolo che coinvolge tutta la Chiesa universale. Niente grandi opere (ben lontani i progetti realizzati nel Duemila!), solo lavori di manutenzione alla Città Eterna, peraltro indispensabili. Nessun spazio alle speculazioni: con la semplicità deve trionfare la spiritualità e – aggiungiamo noi – anche la meditazione. E’ un’occasione per riflettere in profondità, senza strumentalizzazioni, sulle gravi emergenze che sta vivendo un’Italia sempre più povera, partendo proprio dall’illegalità, ormai dilagante; per evitare che il quieto vivere diventi codardia morale.

Capitale corrotta, Nazione infetta”: scriveva Manlio Cancogni in una celebre inchiesta giornalistica che ha fatto scuola tra gli operatori dei Media. Forse oggi la metafora va rovesciata, perché è la Nazione infetta a mostrare la sua ferita più purulenta sul volto deturpato della Capitale. Gli italiani vivono con timore il futuro, c’è chi specula sulla paura: per questo la CEI , ha invitato «cattolici e italiani ad aprire gli occhi sul mondo, a non essere prigionieri d`un gioco elettorale, ma a vivere il presente con il cuore». La polemica sull’accoglienza ai profughi in fuga dalle guerre, ha rivelato un complesso rapporto tra Chiesa e Politica. Ma la vita del Paese pone questioni ineludibili e chiede risposte. Solide motivazioni per un confronto aperto le ha date lo storico Andrea Riccardi, già ministro nel governo Monti. <Vescovi, parroci e laici hanno un colloquio quotidiano con la gente. Senza gridarlo, danno vita ad una grande rete sociale e di senso: una bussola umana in un mondo fattosi grande>. La dimensione religiosa ha una visione che supera per forza i confini; mentre le istituzioni pubbliche devono muoversi nel rispetto dei limiti. Pur partendo da declinazioni diverse, Chiesa e articolazioni dello Stato – condividiamo pienamente l’analisi fatta da Marco Magatti sul “Corriere della Sera” – possono trovare forme storicamente nuove di dialogo e di collaborazione per dare soluzione alle emergenze italiane. Una dialettica non sterile e priva di pregiudizi, con buona pace dei laicisti più agguerriti dello schieramento parlamentare, che converranno almeno su questo assunto inequivocabile: non esiste una vita politica chiusa, priva di collegamenti, connessioni, scambi (talvolta anche traumatici) con l’ambiente esterno. Può affermare il contrario Matteo Salvini?

Per ripartire l’Italia deve dunque ritrovare i “valori”, perché la sua – oltre che emergenza economica – è una crisi di convivenza e regole. Troppo sovente affiora quell’anarchia surreale, che tanto ci ricorda il film “Prova d’orchestra”, girato da Federico Fellini nel 1978, nel bel mezzo degli “anni di piombo”. Colpa di una classe dirigente non adeguata, che ,collezionando discredito, ha perso credibilità ed autorità di comando sulla macchina pubblica; e più recentemente ha assunto responsabilità troppo in fretta: “propensa a pensare più agli interessi immediati, che ai progetti a lungo termine”. Il Palazzo non si offenda, non vogliamo mettere in discussione i partiti come cardini della democrazia e far crescere l’erba per il pascolo dei populismi e dell’antipolitica! Però non vanno scaricate macchie, malefatte ed errori macroscopici solo su tecnici e burocratici inefficienti e talvolta contaminati! Una sana autocritica rasserenerebbe l’orizzonte e restituirebbe fiducia ai cittadini.

Certo, anche la Chiesa può e deve fare la sua parte. “Rinnovarsi nelle sue strutture, nelle dinamiche decisionali e nelle prassi concrete”, come auspica il segretario generale della CEI monsignor Nunzio Galantino. E non a caso Papa Francesco ha convocato un Sinodo, interverrà al Convegno nazionale di Firenze ed ha indetto un Giubileo della Misericordia per segnare una svolta al suo Gregge. Per far emergere e coltivare un “cristianesimo di popolo” che sappia elaborare ed attuare una “cultura del progetto”. Abbandonando vecchi schemi pastorali e dando voce a nuovi soggetti (ecclesiastici e laici) capaci di confrontarsi con una società fluida.