Gandhi – Promotore delle persecuzioni dei cristiani in India?

gandhi 2di Mario Alexis Portella Quest’anno ricorre il 70° anniversario dell’indipendenza dell’India dalla Gran Bretagna. Essa si identifica in buona parte con una delle figure più significative del XX sec., Mohandas Karamchand Gandhi, detto “il Mahatma” (“la Grande anima”). Gandhi, il leader del movimento nazionalista, la cui dottrina, la Satyagrah, riassumeva la politica nei concetti di “non violenza” e di “lealtà verso la verità”, invitò il popolo indiano a rispondere alla repressione britannica con la resistenza passiva. Incorporando nel suo progetto politico anche una visione religiosa pluralistica, egli tentò di unificare le altre minoranze religiose del paese: i musulmani, i parsi, i cristiani e gli ebrei.

Oggi Gandhi è considerato l’icona della resistenza pacifica contro l’ingiustizia. Ma dietro questo aspetto positivo, pur volendo passare sotto silenzio il suo contributo ad uno dei più lunghi ed inconciliabili conflitti dell’epoca moderna, provocato dalla divisione tra India e Pakistan, è da sottolineare che il gran “difensore” degli oppressi è individuato da alcuni studiosi, come Mohammed Ayoob, Professore di relazioni internazionali e scienza politica dell’Università di Michigan State (Stati Uniti), e l’autore Robert Ellesber, come uno dei “responsabili” delle persecuzioni dei cristiani di oggi.

Nel 2014 si è registrato in India “almeno un incidente al giorno”, in cui persone, i leader cristiani e luoghi di culto sono stati oggetto di violenza e distruzione. Gli episodi censiti sono in totale oltre 7.000, da quelli più gravi (5 omicidi) a quelli in cui sono rimasti coinvolti oltre 1.600 donne, molte delle quali molestate e violentate, e 500 bambini. L’anno scorso, poi, la violenza si è diffusa in ventisei stati indiani. Fra le cause e gli attori della violenza si sono distinti i gruppi estremisti indù, come il “Rashtriya Swayamsevak Sangh” (RSS, “Corpo nazionale dei volontari” fondato nel 1925), promotore di una ideologia nazionalista indù che vorrebbe eliminare dal Paese le minoranze religiose. Secondo le statistiche, il RSS registra una costante crescita anche grazie alla nuova stagione politica che vede il Partito Baratiya Janata al potere nell’India, con il premier Narendra Modi: nel 2013 sono nate 2.000 nuove, tra sezioni e cellule locali, del RSS, che ha preso possesso di 60 chiese, sconsacrandole e trasformandole in proprie basi operative.

Alcuni affermano che la causa di questa animosità contro i cristiani iniziò quando il capo della Lega Musulmana e primo presidente pakistano, Muhammad Ali Jinnah, si oppose al Partito del Congresso Indiano – fondato nel 1885 – guidato dal “Mahatma”, che chiedeva la creazione di un grande stato federale che comprendesse tutta l’India; Jinnah, invece, voleva che al trenta per cento dei musulmani indiani venisse concessa la creazione di uno stato indipendente, così da non rischiare di finire oppressi dalla maggioranza indù. La “Partizione” divenne effettiva alla mezzanotte tra il 14 e il 15 agosto del 1947, il giorno in cui entrambi i paesi festeggiano l’indipendenza (il Pakistan festeggia il 14, l’India il 15). Però, della violenza contro i cristiani di oggi, ugualmente come della “Partizione”, non possono essere incolpati esclusivamente la Lega Musulmana e Jinnah, siccome all’inizio Jinnah voleva realizzare uno stato secolare per i musulmani indiani.

C’era sempre stata una corrente maggioritaria esplicitamente indù nel nazionalismo indiano che si identificava con l’induismo e definiva l’India in termini indù, ad esempio come una dea madre simile a Kali e Durga. La letteratura che questo filone di pensiero ha prodotto era esclusivamente anti-musulmana, mentre i parsi, i cristiani e gli ebrei non assumevano rilevanza in questa posizione ideologico-politica. Tale nazionalismo si formalizzò con i partiti Mahasabha ed l’RSS. Il primo era un partito indù istituito per difendere i diritti ed i privilegi della maggioranza indù; il secondo era un gruppo paramilitare proto-fascista che generò alcune organizzazioni, tra cui il Partito Bharatiya Janata, oggi al governo in India. L’RSS propagava un’ideologia militante “suprema” che definiva l’indiano musulmano “l’altro”, come “altri” erano considerati coloro che professavano una religione diversa. Infatti, M. S. Golwalkar, il leader del RSS dal 1940 al 1973, ebbe ad asserire apertamente che << in questa terra gli indù sono stati i proprietari, i parsi e gli ebrei gli ospiti, i musulmani ed i cristiani i “dakaiti” [una banda di ladri armati] >>.

Negli anni Venti, il nazionalismo indù si fuse con il nazionalismo indiano, adottando, per esempio, simboli indù, ma senza esplicitamente dichiarare i musulmani (e gli altri) come estranei. Questa corrente è stata sempre rappresentata nel Congresso Nazionale dagli attivisti indiani, come il primo Vice Ministro, al tempo dell’indipendenza, Sardar Vallabhbhai Patel. Gandhi, mentre pubblicamente affermava che la sua missione era quella di colmare il divario tra indù e musulmani, in realtà lo approfondiva costantemente, in modo particolare emarginando l’élite musulmana. I musulmani constatavano che Gandhi impercettibilmente assimilava il suo induismo con il suo “essere” indiano, indossando l’abito indù e utilizzando nella sua terminologia politica termini dell’idioma religioso indù. Per esempio, usava il termine “ram rajya” (il governo del divino Ram) per indicare che un “ordine” avrebbe prevalso dopo l’indipendenza, alludendo ad una mitica epoca (indù) dell’oro prima dell’avvento dell’Islam in India. Oltre al suo comportamento e alla sua ossessione per la protezione delle mucche, ritenute sacre dagli indù, l’adozione deliberata da parte sua dell’abbigliamento tipico di un uomo santo indù, con il termine “Mahatma”, accentuò la discriminazione verso i musulmani indiani; essi, di conseguenza, sentivano la loro identità minacciata, specialmente perché il Congresso accolse il “Mahtama” come il leader indiscusso del partito e non procedeva a nessun atto senza il suo consenso.

Già dal 1920 Jinnah contrastò vigorosamente l’utilizzo di un linguaggio religioso in campo politico e avvertì Gandhi che << era un crimine mescolare la politica con la religione come aveva fatto lui >>. Infatti, egli era anche fermamente contrario al sostegno di Gandhi al movimento antropomorfo Khilafat, che perseguiva il restauro del califfato ottomano di Costantinopoli dopo la sua sconfitta nel 1924. Gandhi si unì a loro con l’intenzione di guadagnare l’appoggio delle masse musulmane al suo movimento di non-cooperazione, volto a boicottare tutte le istituzioni britanniche create in India, in un unico sforzo per realizzare l’indipendenza del paese. In tal modo, il “Mahatma” contribuì alla polarizzazione comunitaria.

Egli una volta disse: << Voglio bene a Cristo, ma non ai cristiani >>. Questa dichiarazione fomentò non solo la discriminazione interna di un’intera minoranza religiosa ma coinvolse in un giudizio assolutamente negativo tutti i cristiani definiti come gente “non grata”. Questo non vuol dire che egli volesse effettivamente perseguitare i cristiani. Però, dato il suo induismo “puritano” e d il suo razzismo contro le donne – Gandhi pensava che le donne violentate perdessero la loro dignità e sosteneva inoltre che i padri potevano essere giustificati nell’uccidere le figlie che avevano subito una violenza, per il bene della famiglia e l’onore della comunità – si comprende come mai il “Mahatma” sia stato e sia ancora considerato dai nazionalisti indù, il promotore delle successive persecuzioni.