Presentazione degli articoli del mese di ottobre 2019

Ignatius_of_Antiochie,_poss._by_Johann_Apakass_(17th_c.,_Pushkin_museum)Andrea Drigani annota sul recente dono di frammenti delle reliquie di San Pietro che Papa Francesco ha voluto offrire, spiegandone i motivi con un’apposita lettera, al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli e la gioiosa risposta del Patriarca Bartolomeo. Giovanni Campanella illustra il libro di Walter Stahel sul concetto di «Economia circolare» che mira a mantenere il valore e l’utilità degli oggetti e dei materiali il più a lungo possibile. Carlo Nardi con un pensiero di San Giovanni Crisostomo riflette sulla scansione del tempo sia biologico sia umano, nonché sovrumano che si proietta, in alto, nell’eternità. Dario Chiapetti invita alla lettura di una miscellanea di scritti del cardinale Tomaŝ Ŝpidlἰk, nel centenario della nascita, con richiami alla tradizione patristica orientale e alla letteratura religiosa russa.Mario Alexis Portella rammenta i gravi massacri contro i cristiani perpetrati durante la guerra d’Etiopia (1935-1936), nel silenzio dei vescovi italiani, con l’unica ed energica eccezione di Pio XI. Carlo Parenti riporta un intervento dell’economista Jeffrey Sachs che accoglie l’appello delle confessioni cristiane per la tutela del creato, al fine di promuovere la custodia della «rete della vita» di cui tutti facciamo parte. Giovanni Pallanti svolge alcune considerazioni sullo scrittore Georges Simenon, a trent’anni dalla morte, che ha narrato, con una profonda «pietas», le vicende degli uomini, portatori ad un tempo di bene e di male. Stefano Liccioli tenendo conto di alcuni interventi di Papa Francesco riafferma l’esigenza della verità nella comunicazione sociale, con speciale riferimento alla formazione dei giovani, per farli crescere e creare la comunione tra le persone e non l’odio. Gianni Cioli da una formula di congedo del Sacramento della Penitenza scorge un appello alla speranza ed uno stimolo al cammino di conversione che non ci dobbiamo mai stancare di iniziare di nuovo. Francesco Vermigli prende spunto dal novantesimo anniversario della scomparsa del sacerdote e storico francese Pierre Batiffol, per rilevare come la storia della Chiesa può essere compresa solo riandando al suo nucleo identitario, intimo e misterioso. Leonardo Salutati osserva che già nell’Enciclica «Rerum novarum» di Leone XIII si afferma la necessità dell’apporto dei laici come mediazione ad un’offerta di salvezza nei confronti di un’umanità lontana dalla fede. Francesco Romano presenta le Linee Guida della Conferenza Episcopale Italiana e della Conferenza Italiana dei Superiori Maggiori per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, in base alle disposizioni di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, anche in rapporto alla collaborazione con le autorità civili. Antonio Lovascio recensisce il libro di James Bishop che, dall’esperienza della detenzione, ha trovato nella Regola di San Benedetto un modello di vita e un percorso di conversione che lo ha rigenerato. Alessandro Clemenzia col volume del vescovo teologo Erio Castellucci affronta la storia dei modelli delle relazioni tra gli esseri umani e il creato, rilevando l’insufficienza sia dell’«homo faber» che dell’«homo oeconomicus», per arrivare all’«homo sapiens» che con la sua intelligenza mantiene la casa comune. Stefano Tarocchi ritorna sulla figura di Abramo, dopo la Lettera agli Ebrei, con la Lettera di San Paolo ai Romani con la quale si indica in Abramo «saldo nella speranza contro ogni speranza» la base della nostra fede nel Cristo Risorto centro della storia di ciascuno di noi e di tutti gli uomini.




Jeffrey Sachs e l’impegno per la tutela del creato

Sulla lotta alla povertà Sachs ha ricordato come la Chiesa cattolica ne sia maestra nei tempi moderni a partire dall’enciclica di Leone XIII, Rerum Novarum. La Chiesa infatti insegna che un’economia di mercato può essere sia efficiente che promotrice della libertà, ma che il mercato deve operare entro confini morali. I diritti di proprietà non sono inviolabili. Devono rispettare la dignità umana e le esigenze economiche. La ricchezza privata non deve abusare dei poveri o dell’ambiente. La Chiesa indica la dottrina della destinazione universale dei beni: la terra e le sue risorse appartengono a tutti, per soddisfare i bisogni di tutti, non solo i capricci dei ricchi e dei potenti.

Oggi il tema è appassionatamente sostenuto da papa Francesco che Sachs considera “ il leader morale più importante del mondo. Porta su di sé gli insegnamenti sociali della Chiesa, il suo personale splendore e una incredibile ispirazione pastorale. Raggiunge i poveri e loro lo seguono” Non è un caso però, per l’economista americano, che molti ricchi nel mondo e specialmente negli Usa siano critici verso il papa. Oggi occorre quindi ristabilire un quadro morale per l’economia e la politica contrastando quella che Sachs definisce la filosofia de “l’avidità buona” che da decenni ha provocato l’attuale crisi morale. Occorre dunque una nuova filosofia morale e nuovi modi di orientare la vita economica e politica. Solo così gli Obiettivi di sviluppo sostenibili, indicati nel 2015 dall’ ONU e dall’accordo di Parigi, saranno realizzabili e fattibili.agricoltura-sostenibile

Come già sostenuto il 14 settembre in un’intervista condotta da Paolo Conti, nel Corriere della Sera, Jeffrey Sachs ritiene che occorra “costruire istituzioni politiche ed economiche che siano giuste, partecipative e veritiere, invece che società ed economie corrotte da grandi somme di denaro e ideologie dannose: come il nazionalismo estremo e il razzismo. Abbiamo soprattutto bisogno di istituzioni regionali solide, a cominciare da un’Unione europea forte e unita, di una cooperazione globale all’ombra della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione universale dei diritti umani. Sfortunatamente gli Stati Uniti sono caduti in una trappola della corruzione corporativa della politica americana”. Ha aggiunto poi che l’uomo moderno “Dovrà imparare a domare l’ avidità e la brama di potere. Aristotele ci ha già detto questo 2.300 anni fa: aveva ragione e non era un ingenuo. Papa Francesco ce lo ricorda di nuovo[…]Dobbiamo superare la nostra terribile tendenza a odiare “l’altro” per poter cooperare a livello globale. Non sono semplici banalità ma approcci fattibili e pratici per un mondo che condivide bisogni comuni. Come ha scritto Papa Francesco in Laudato Si’: “L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un mondo con un piano comune”.

Si deve quindi ricordare il messaggio di Francesco del 1° settembre per la Giornata Mondiale di Preghiera per la Cura del Creato. Il papa ha ricordato che “Dio, che offre all’uomo il creato come dono prezioso da custodire. Tragicamente, la risposta umana al dono è stata segnata dal peccato, dalla chiusura nella propria autonomia, dalla cupidigia di possedere e di sfruttare. Egoismi e interessi hanno fatto del creato, luogo di incontro e di condivisione, un teatro di rivalità e di scontri. Così si è messo in pericolo lo stesso ambiente, cosa buona agli occhi di Dio divenuta cosa sfruttabile nelle mani dell’uomo. Il degrado si è accentuato negli ultimi decenni”. Francesco ha così continuato: ”Alla radice, abbiamo dimenticato chi siamo: creature a immagine di Dio (cfr Gen 1,27), chiamate ad abitare come fratelli e sorelle la stessa casa comune. Non siamo stati creati per essere individui che spadroneggiano, siamo stati pensati e voluti al centro di una rete della vita costituita da milioni di specie per noi amorevolmente congiunte dal nostro Creatore”.  Ha poi invitato “fortemente i fedeli a dedicarsi alla preghiera in questo tempo, che da un’opportuna iniziativa nata in ambito ecumenico si è configurato come Tempo del creato: un periodo di più intensa orazione e azione a beneficio della casa comune […]È l’occasione per sentirci ancora più uniti ai fratelli e alle sorelle delle varie confessioni cristiane. Penso, in particolare, ai fedeli ortodossi che già da trent’anni celebrano la Giornata odierna. Sentiamoci anche in profonda sintonia con gli uomini e le donne di buona volontà, insieme chiamati a promuovere, nel contesto della crisi ecologica che riguarda ognuno, la custodia della ‘rete della vita’ di cui facciamo parte. È questo il tempo per riabituarci a pregare immersi nella natura[…]Nel silenzio e nella preghiera possiamo ascoltare la voce sinfonica del creato, che ci esorta ad uscire dalle nostre chiusure autoreferenziali per riscoprirci avvolti dalla tenerezza del Padre e lieti nel condividere i doni ricevuti. In questo senso possiamo dire che il creato, rete della vita, luogo di incontro col Signore e tra di noi, è «il social di Dio»”

Importante il richiamo fatto dal papa ai fratelli ortodossi. Infatti sono 30 anni le chiese ortodosse celebrano il 1 settembre. Infatti questa giornata ecumenica è iniziata sotto gli auspici della Chiesa Ortodossa di Costantinopoli e da allora è stata accolta da cattolici, anglicani, luterani, evangelici e altri membri della famiglia cristiana in tutto il mondo. Bartolomeo -il Patriarca di Costantinopoli- è conosciuto nel mondo come il “Patriarca verde”, proprio per il suo impegno ormai decennale a favore dell’ambiente e della protezione dei mari. Quest’anno ha ribadito la necessità di un’azione corale mondiale: “Il problema ecologico rivela che il nostro mondo costituisce una unità, che i nostri problemi sono mondiali e comuni. Per affrontare i pericoli è necessaria una mobilitazione multilaterale, una convergenza, una collaborazione, una cooperazione”.

Ricordo infatti che inondazioni, tempeste, incendi, siccità potrebbero costringere duecento milioni di persone ogni anno a dover far affidamento agli aiuti umanitari per sopravvivere, se non verranno prese contromisure adeguate per combattere il climate change: è la stima elaborata dalla Federazione internazionale della Croce rossa e della Mezzaluna rossa (Ifrc) in un rapporto diffuso il 19 settembre a New York.

«Va e non peccare più…»: riflessioni sul significato di una delle formule di congedo del Sacramento della penitenza

Gesu-ci-dice-Va-e-non-peccare-piu-sapendo-che-invece-lo-faremo-ancora_articleimagedi Gianni Cioli • Qualche tempo fa un lettore del settimanale Toscana Oggi mi poneva la questione del significato di una delle più note formule di congedo del Sacramento della penitenza, ovvero di quella che riprende l’affermazione di Gesù rivolta all’adultera in Gv 8,11: «va’ e d’ora in poi non peccare più». Il lettore coglieva nelle parole del Signore una sorta di paradosso: l’essere umano, in effetti, come affermiamo costantemente nell’atto penitenziale della Messa, appare reiteratamante peccatore a motivo della sua fragilità. Il Signore quindi sembrerebbe chiederci qualcosa che di fatto risulta impossibile. Oltretutto – sottolineava ancora il lettore – se davvero fossimo in grado di non peccare più una volta resi giusti dal perdono del Signore che senso avrebbe il sacramento della riconciliazione a cui la Chiesa raccomanda invece di accedere con frequenza?

Così quando dopo l’assoluzione il confessore dice, citando le parole di Gesù, «Va’ e non peccare più», non pretende che il penitente non commetta più nessun peccato né grave né lieve, ma intende sostenerlo nel proposito sincero di non tornare a commettere il peccato confessato e nella disposizione a portare avanti un cammino autentico di conversione. Non è detto che il penitente riesca poi effettivamente a non commettere più quel determinato peccato, ma il dolore per averlo commesso e il proposito sincero di non commetterlo più sono – è bene ricordarlo – condizioni necessarie per ricevere il perdono.

In verità si deve prendere anche atto che capita non di rado di tornare a commettere gli stessi peccati che si sono confessati, in contraddizione col proposito di non farlo. Anzi molte persone si lamentato del fatto che si ritrovano a confessare proprio sempre gli stessi peccati.

image-5-680x400 peccati ma questo non implica necessariamente una condizione di ipocrisia se sussiste un desiderio sincero di conversione. Il desiderio di conversione, sostenuto dall’attenzione al vissuto e da un esame di coscienza adeguato, non andrebbe tuttavia confuso con l’“ansia di perfezione” […] perché il vangelo non deve essere inteso come un fattore ansiogeno; mi pare più corretto parlare di speranza di guarigione e, magari, di desiderio di perfezione o di santità». Queste considerazioni, ci possono aiutare a rispondere domanda: Dio, di fronte al nostro ripetere gli stessi peccati, continuerà sempre ad avere misericordia? «La risposta è: “sì, purché non trovi in noi l’ostacolo dell’ipocrisia”. Certo, anche dall’ipocrisia ci si può comunque pentire e la si può abbandonare per grazia di Dio. In questo pentimento e cambiamento delle disposizioni interiori consiste propriamente la metánoia, la conversione secondo il vangelo. Dobbiamo essere accorti a non confondere la recidività involontaria con l’ipocrisia, cedendo alla tentazione insidiosa della disperazione; ma non dobbiamo neppure trascurare di prendere le distanze dall’inautenticità che può albergare, più o meno profondamente, nel nostro cuore facendoci scivolare nella tentazione non meno insidiosa della presunzione di una salvezza a buon mercato. In sintesi l’atteggiamento giusto per mettersi di fronte al mistero della misericordia divina è quello della virtù teologale della Speranza che, sostenuta dal dono del timor di Dio, ci tiene a distanza sia dalla deriva della disperazione che da quella della presunzione. Non dobbiamo mai dubitare della misericordia di Dio, né giungere alla conclusione che la salvezza ci sia ormai preclusa per la nostra indegnità; ma non dobbiamo nemmeno illuderci di avere già la salvezza in tasca perché comunque Dio sarà misericordioso, trascurando l’urgenza della conversione a cui il timore filiale di Dio, dono dello Spirito, amorevolmente ci spinge» (Toscana oggi 18/12/2012). L’esortazione del Signore: «va’ e non peccare più» appare dunque un appello prezioso alla speranza ed uno stimolo al cammino, magari graduale, di conversione che non ci dobbiamo mai stancare di iniziare di nuovo.




La fede di Abramo: (2) la Lettera ai Romani

Ora, seguire il pensiero di Paolo non è mai stato semplice: basta dire che egli usa la parola “Legge” con diverse accezioni: può così parlare delle Scritture dell’Antico Testamento («la Legge e i Profeti», o soltanto la «Legge»).

Paolo così continua: «che diremo di Abramo, nostro progenitore secondo la carne? Che cosa ha ottenuto? Se infatti Abramo è stato giustificato per le opere, ha di che gloriarsi, ma non davanti a Dio. Ora, che cosa dice la Scrittura? Abramo credette a Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia» (Rom 4,1-3).

Invece Abramo, secondo Paolo, è l’esponente della fede pura: egli credette in Dio. Scrive ancora l’apostolo: «noi diciamo infatti che la fede fu accreditata ad Abramo come giustizia. Come dunque gli fu accreditata? Quando era circonciso (cf. Gen 17,24) o quando non lo era? Non dopo la circoncisione, ma prima. Infatti, egli ricevette il segno della circoncisione come sigillo della giustizia, derivante dalla fede, già ottenuta quando non era ancora circonciso. In tal modo egli divenne padre di tutti i non circoncisi che credono, cosicché anche a loro venisse accreditata la giustizia ed egli fosse padre anche dei circoncisi, di quelli che non solo provengono dalla circoncisione ma camminano anche sulle orme della fede di nostro padre Abramo prima della sua circoncisione» (Rom 4,9b-12).

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Davanti alla rilettura giudaica, contemporanea a Paolo, circa la fede che diventa paradossalmente un atto che merita ricompensa (così in Filone: 20 a.C. – 45 d.C.) e così mette in secondo piano l’azione totalmente gratuita di Dio («eredi … si diventa in virtù della fede, perché sia secondo la grazia»), l’apostolo afferma con forza che Abramo «credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli, come gli era stato detto: Così sarà la tua discendenza (Gen 15,5)» (Rom 4,18).

Proprio la virtù della speranza («saldo nella speranza contro ogni speranza», principio così caro a Giorgio La Pira) diviene il centro del cammino del popolo di Dio, dall’Israele antico alla comunità dei discepoli del Signore, al di là di una visione esclusivamente centrata sul presente, cara per esempio allo stoicismo.

Per questo da Abramo si passa a ciascuno di noi: se infatti, Abramo «di fronte alla promessa di Dio non esitò per incredulità, ma si rafforzò nella fede e diede gloria a Dio, pienamente convinto che quanto egli aveva promesso era anche capace di portarlo a compimento. Ecco perché gli fu accreditato come giustizia. E non soltanto per lui è stato scritto che gli fu accreditato, ma anche per noi, ai quali deve essere accreditato: a noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione» (Rom 4,20-25).

Abramo è perciò alla base della nostra fede, nella certezza, salda come roccia, della risurrezione del Cristo, centro di tutta la storia come di ciascuno di noi e di tutti gli uomini.




Linee guida CEI – CISM per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili

ceidi Francesco Romano • La Conferenza Episcopale Italiana nell’Assemblea Generale del 20-23 maggio 2019, ha approvato le “Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili”. Il testo, che porta la data del 24 giugno 2019, è entrato in vigore a partire dal 28 giugno 2019, giorno di pubblicazione del testo sul sito della CEI.

Questo strumento operativo offerto alla Chiesa italiana si inserisce in una intensa attività che da quasi un ventennio la Chiesa universale porta progressivamente avanti per la tutela dei più “piccoli” e la salvaguardia della giustizia di fronte all’emergenza degli abusi sessuali perpetrati da chierici.

Infatti, a fronte dell’inefficacia operativa del disposto del can. 1395 §2 nell’affrontare e reprimere i delitti commessi da chierici a danno di minorenni, Giovanni Paolo II promulgava il 30 aprile 2001 il motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela, inserendo tra i delicta graviora l’abuso sessuale commesso da un chierico, innalzando da sedici a diciotto anni l’età della tutela, ed elevando a dieci anni il tempo di prescrizione a contare dal compimento del diciottesimo anno della vittima. La competenza di questi delitti passava dall’Ordinario alla Congregazione per la Dottrina della Fede.

Dopo nove anni, il 21 maggio 2010, Benedetto XVI promulgava la revisione del motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela per incrementare la tutela della vittima innalzando la prescrizione dell’azione criminale a venti anni e includendo nel delictum gravius le fattispecie di “acquisto, detenzione o divulgazione di materiale pedopornografico” di minori sotto ai quattordici anni da parte di un chierico. Inoltre, veniva equiparato al minore la persona che abitualmente ha un uso imperfetto di ragione.

Trascorrono altri nove anni e Papa Francesco promulga il 7 maggio 2019 il motu proprio Vos estis lux mundi di cui abbiamo già riferito su questa Rivista nello scorso mese di giugno. Questo motu proprio amplia la categoria di persone capaci di compiere il delitto o di subirlo. In questo modo, non solo i chierici, ma anche i membri laici di Istituti di vita consacrata e di Società di vita apostolica possono incorrere nel delitto di abuso sessuale ai danni di un minore o di una persona vulnerabile. Altro punto saliente di questo motu proprio, oltre all’obbligo giuridico esteso a chierici e a membri di Istituti di vita consacrata e di Società di vita apostolica di comunicare la notitia criminis all’autorità competente, è la costituzione di un ufficio per segnalare gli abusi da parte di chiunque ne venga a conoscenza.

Dopo la promulgazione del motu proprio del 21 maggio 2010, la Congregazione per la Dottrina della Fede il 3 maggio 2011 aveva emanato una lettera circolare per aiutare le Conferenze Episcopali nel preparare le linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale a danno di minori da parte di chierici, specificando anche la natura giuridica di queste norme da intendersi come complemento alla legislazione universale e non come sostituzione di essa.

A distanza di sette anni dalle prime Linee guida del 2012, poi riviste nel 2014, il 28 giugno 2019 entrano in vigore le Linee guida edite dalla Conferenza Episcopale Italiana congiuntamente alla Conferenza Italiana Superiori Maggiori pubblicate sul sito CEI.

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Le Linee guida si applicano “a tutti coloro che operano, a qualsiasi titolo, individuale o associato, all’interno delle comunità ecclesiali in Italia” e “compatibilmente al diritto proprio e alla normativa canonica, a tutti gli Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica, nella misura in cui questi non dispongano di proprie Linee guida”.

La Chiesa cattolica in Italia intende contrastare e prevenire questo triste fenomeno con assoluta determinazione”, scrivono i Vescovi nella premessa, perché qualsiasi abuso sui fanciulli e sulle persone vulnerabili, “ancor prima di essere un delitto, è un peccato gravissimo, ancor più se coinvolge coloro ai quali è affidata in modo particolare la cura dei più piccoli”.

Il primo principio base è il rinnovamento ecclesiale che conduce tutta la comunità a sentirsi coinvolta nel rispondere alla piaga degli abusi, non perché tutta la comunità sia colpevole, ma perché di tutta la comunità è il prendersi cura dei più piccoli.

Il valore supremo, oltre alla prevenzione degli abusi, è mettere al centro la cura e la protezione dei più piccoli e dei vulnerabili. Passare dal silenzio e dall’indifferenza alla cura, solidarietà e sostegno è la concretizzazione della conversione del rinnovamento comunitario. Ciascuno deve fare la sua parte, come una missione da compiere, affinché tutta la comunità si senta responsabilizzata “nel dare il giusto e dovuto ascolto alle persone che hanno subito un abuso e trovato il coraggio di denunciare”. La vittima va riconosciuta come persona gravemente ferita e ascoltata con empatia, rispettando la sua dignità.

Oltre alla responsabilizzazione comunitaria e alla formazione degli operatori pastorali, il cammino formativo dei seminaristi e candidati alla vita presbiterale e consacrata, richiede una grande prudenza nei criteri di ammissione con “grande attenzione” anche per la formazione permanente.

La protezione e la tutela dei minori e delle persone vulnerabili sono il criterio dirimente delle scelte operate dalle Linee guida e parte integrante della missione della Chiesa che si prende cura dei più piccoli e deboli di cui il primo passo è l’ascolto e l’accompagnamento, facendosi carico di loro, favorendo una cultura di prevenzione con la formazione dei candidati agli ordini sacri e alla vita consacrata, degli operatori pastorali e di quanti in modo diverso hanno contatto con i minori nelle comunità ecclesiali.

Nella ricerca della verità e nel perseguimento della giustizia la Chiesa si serve di tutti i mezzi a sua disposizione. Le procedure canoniche devono essere rigorosamente rispettate senza la pretesa di sostituirsi alle autorità civili, affinché all’interno della comunità ecclesiale possa essere ristabilita la giustizia rispetto a quei casi in cui i comportamenti che non sono considerati reati per lo Stato, lo sono per la normativa canonica.

La trasparenza e la comunicazione devono commisurarsi con l’onere di dare una giusta informazione e il carattere di segretezza, soprattutto nell’indagine preliminare del procedimento, per non compromettere l’azione investigativa e l’obbligo di tutelare la buona fama di tutti i soggetti coinvolti.

Per promuovere la cultura della prevenzione da ogni forma di abuso, la cura e la protezione dei minori e delle persone vulnerabili, la Chiesa si inserisce in collaborazione con le istituzioni civili, nel rispetto della reciproca autonomia canonica, civile e concordataria.

Servizi e strumenti a livello nazionale, interdiocesano e locale vengono individuati a supporto dei Vescovi e dei Superiori Maggiori degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, mettendo a loro disposizione competenze e professionalità in ambito educativo, medico, psicologico, giuridico, pastorale e comunicativo.

La seconda parte delle Linee guida si sofferma sulle indicazioni operative per le comunità ecclesiali italiane e per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica presenti in Italia.

Ascolto, accoglienza e accompagnamento delle vittime di abusi commessi in ambito ecclesiale è un dovere che investe il Vescovo e il Superiore competente per cercare di lenire le sofferenze create da una ferita profonda e non come mezzo per tacitare le vittime. Allo stesso tempo anche le comunità ecclesiali coinvolte più da vicino devono essere accompagnate nell’elaborazione dell’abuso che è stato consumato nel loro contesto.

Un punto innovativo è “il rapporto con le autorità civili”. Viene premesso che l’Autorità ecclesiastica in Italia, benché non abbia l’obbligo giuridico di denunciare all’autorità giudiziaria dello Stato la segnalazione di presunti abusi commessi da un chierico in ambito ecclesiale, deve informare l’autore della segnalazione, il genitore o il tutore della presunta vittima, che quanto appreso potrà essere trasmesso all’autorità giudiziaria dello Stato e per questo chiedergli che venga formalizzata per iscritto la notitia criminis riferita. Se non esiste per l’Autorità ecclesiastica l’obbligo giuridico, esiste però l’obbligo morale di informare l’autorità giudiziaria dello Stato se l’indagine previa riesce ad accertare la presenza del fumus delicti, a meno che si opponga la vittima, divenuta nel frattempo maggiorenne, oppure il genitore o il tutore.

In caso di procedimento penale in atto secondo il diritto dello Stato, il Vescovo è tenuto a dare la massima collaborazione all’autorità civile nel rispetto della normativa canonica e civile. Tuttavia, pur facendo riferimento ad atti del procedimento statale, il Vescovo o il Superiore competente devono pervenire a una propria valutazione secondo la legge canonica.

Nella logica della presunzione d’innocenza, la persona accusata, fino a prova contraria, potrebbe risultare vittima di false accuse e reclamare il diritto di vedere tutelata e ripristinata la sua buona fama e onorabilità. Allo stesso tempo il chierico che risulti colpevole di questi gravi abusi, incluso coloro che sono dimessi dallo stato clericale, deve essere accompagnato in un percorso di responsabilizzazione, richiesta di perdono, riparazione, cura psicologica e spirituale.

Le Linee guida della CEI si soffermano anche sulle procedure canoniche da svolgere in caso di presunto abuso sessuale che rientri nella tipologia del delictum gravius. La fonte di queste norme procedurali sono il recentissimo motu proprio Vos estis lux mundi, il motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela e il Codice di Diritto Canonico.

Tenendo presente la normativa del motu proprio Vos estis lux mundi, le Linee guida CEI-CISM dispongono le modalità della segnalazione di un abuso. La segnalazione può essere presentata all’Ordinario che può avvalersi del SRTM/SITM/RDTM. L’Ordinario che ha ricevuto la segnalazione, se non sia lui stesso l’Ordinario proprio, deve trasmetterla all’Ordinario del luogo dove sarebbe stato commesso il delitto, o all’Ordinario proprio della persona segnalata.

Ricordiamo a questo proposito che se i chierici secolari hanno sempre un Ordinario proprio nella Diocesi o Chiesa particolare d’incardinazione, per gli ascritti a un Istituto di vita consacrata o a una Società di vita apostolica è Ordinario proprio solo il Superiore Maggiore di un Istituto religioso clericale di diritto pontificio o il Moderatore di una Società di vita apostolica clericale di diritto pontificio (cf. can. 134 §1). Quindi, in tutti gli altri Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica che non possiedono questi tre requisiti, l’Ordinario proprio degli ascritti sarà l’Ordinario del luogo dove essi hanno il domicilio canonico (can. 103) e a lui, o al RDTM, dovrà essere fatto riferimento per l’inoltro della notitia criminis.

L’efficacia dei Servizi per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili dipenderà dalla loro presenza puntuale e capillare sul territorio e dalla collaborazione con gli organismi interdiocesani e nazionali.




Batiffol e il modernismo: storia della Chiesa e dogma

A partire dal 1905 e ancora di più dal 1907 (anno di promulgazione prima del decreto del Sant’Uffizio Lamentabili, quindi dell’enciclica Pascendi Dominici Gregis di papa Pio X), alcuni suoi studi a carattere storico-teologico attirarono l’attenzione e – in qualche modo associato a quel movimento di pensiero che va sotto il nome di “modernismo” – dovette abbandonare il rettorato a Tolosa. Morì nel 1929 a Parigi, sua città d’elezione.

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Del resto nella biografia del Batiffol si intravede, almeno in lontananza, anche un rischio non piccolo per la teologia e per tutte le scienze ecclesiastiche: il rischio cioè che la storia del dogma diventi una storia qualsiasi, storia di un’istituzione qualsiasi, per uno scopo meramente conoscitivo del passato di una istituzione qualsiasi. Dogma e storia della Chiesa dicono che nessuna scienza potrà mai attingere completamente il mistero irriducibile ad ogni studio positivo – e in ultima istanza insondabile ad ogni studio – dell’identità profonda (profonda, perché teo-logica) della comunità dei credenti.

Parlare di storia della Chiesa, della sua costituzione gerarchica, delle vicende spesso assai mosse e complesse dei suoi dogmi, in generale parlare della vita della Chiesa che crede, significa alludere ad un nucleo identitario intimo e misterioso. Nella Chiesa intesa come mistero di comunione che trova origine dalla Trinità e alla Trinità ritorna, vale il principio secondo il quale il simile conosce il simile: solo la Chiesa può parlare in pienezza di sé, solo la Chiesa, non una qualsiasi disciplina storica, sarà capace di cogliere la propria identità profonda. La storia della Chiesa, se pensata in questi termini, diventa l’autobiografia che la Chiesa scrive di sé.




Il genocidio etiopico e la chiesa collaborante

soldati italiani che circondano corpi di etiopi uccisi

soldati italiani che circondano corpi di etiopi uccisi

à che il governo turco rifiuta ancora di accettare. Eppure quanti sono consapevoli di un altrettanto orribile sterminio dei cristiani iniziato nell’ottobre 1935 quando l’Italia invase l’Etiopia chiamata anche Abissinia in cui gli italiani sotto Benito Mussolini uccisero, anche con il gas, circa un milione di cristiani ortodossi, donne e bambini, oltre a  distruggere 2.000 chiese, 525.000 case? 

Arcivescovo di Taranto, Ferdinando Bernardi, in un discorso del 23 febbraio 1936 giustificò l’invasione fascista dell’Etiopia dicendo: «La vittoria italiana avrebbe aperto l’Etiopia, un paese di infedeli e scismatici, all’espansione della fede cattolica; perciò la guerra contro l’Etiopia dovrebbe essere considerata come una guerra santa, come una crociata». (Fonte: New Times and Ethiopian News, 3 ottobre 1936).

  • . (Fonte: Daniel Binchy, Church and State in Fascist Italy. London: Oxford University Press, 1970, 678)

  • «Il galante esercito che, impregnata obbedienza al comando della patria, sta aprendo le porte dell’Etiopia alla la fede e la civiltà romana». (Fonte:Il dovere civile dei cattolici. Un’omelia del Card. Schuster, in Annuario Cattolico Italiano, Vol. XV, 605-630). 

  • colmo di folla, e di una partecipazione libera e spontanea. La posizione pro-fascista di Schuster è sostenuta da recenti documenti vaticani desecretati, che mostrano che egli collaborò con il servizio segreto delle S.S. di Adolf Hitler mentre il loro gregge si ribellava contro l’esercito tedesco.

    America sotto il presidente Franklin D. Roosevelt avevano preso le distanze dalla situazione etiope. Infatti, prima dell’invasione, Roosevelt osservò, il 26 luglio 1935, che il conflitto tra Etiopia e Italia non era di alcun interesse per l’America. Affermando di agire in base alla legge sulla neutralità, si rifiutò di aiutare l’Etiopia e di sostenere le sanzioni imposte dalla Società delle Nazioni contro l’Italia. Apparentemente, nella ricerca di un equilibrio di potere, la Germania nazista offrì rifornimenti ai ribelli etiopi al fine di costringere Mussolini a ritirare il suo sostegno a un’Austria indipendente. Il Duce cedette nella sua posizione tre mesi dopo che i tedeschi occuparono l’Austria dopo l’Anschluss del 1938, per il quale acquisì il riconoscimento tedesco della sua conquista etiopica come legittima. E anche se l’Unione Sovietica condannava l’invasione, Stalin fornì all’Italia petrolio, forniture di grano, carbone, avena e legname a sostegno dei fascisti.

    soldati italiani accanto a una delle tante bombe di gas utilizzate per uccidere il popolo etiope

    soldati italiani accanto a una delle tante bombe di gas utilizzate per uccidere il popolo etiope

    é Sellassié tenne un discorso alla Società delle Nazioni, in cui condannava l’uso da parte dell’Italia di armi chimiche contro l’Etiopia. Accusò anche la Società delle Nazioni di aver violato l’articolo 16 del suo Patto, che afferma che qualora qualcuno membro della Società ricorresse alla guerra in violazione delle sue alleanze ai sensi dell’articolo 12, 13 e15, esso di guerra contro tutti gli altri membri della Società. Sellassié criticò anche la Società per aver permesso all’Italia di utilizzare il Canale di Suez per il trasporto di truppe e materiale bellico. Ha dichiarato che sono stati installati spruzzatori a bordo di aerei in modo che potessero vaporizzare su vaste aree di territorio, una pioggia fine e mortale. Gruppi di nove, quindici, diciotto aerei si susseguirono l’un l’altro in modo che, dalla fine di gennaio 1936, soldati, donne, bambini, bestiame, fiumi, laghi e campi fossero costantemente intrisi di questa pioggia mortale.

    é Rodolfo Graziani, massacra fino a 3.000 monaci e pellegrini etiopi a Debre Libanos. Il vescovo ortodosso Abune Petros aveva prima condannato pubblicamente le atrocità commesse dagli italiani, che comprendevano l’uso del gas mostarda, il bombardamento di ospedali e ambulanze della Croce Rossa, l’esecuzione dei prigionieri catturati senza processo, il massacro di Graziani uccisioni al monastero di Debre Libanos, e l’uccisione di ‘stregoni’ accusati di aver profetizzato la fine del dominio fascista. Il 30 luglio 1936 fu giustiziato pubblicamente da 8 carabinieri nel centro di Addis Abeba. Prima della sua esecuzione, prese la croce e tolse il panno blu che era avvolto intorno ad esso e benedisse il popolo ai quattro angoli del mondo e disse le seguenti ultime parole: «I miei connazionali non credono ai fascisti se ti dicono che i patrioti sono banditi; i patrioti sono persone che anelano alla libertà dai terrori del fascismo. I banditi sono i soldati che si trovano di fronte a me e a voi, che veniamo da lontano, terrorizzano e occupano violentemente un paese debole e pacifico: la nostra Etiopia. Che Dio dia al popolo etiope la forza di resistere e non si inchini mai all’esercito fascista e alla sua violenza. Che la terra etiope non accetti mai il dominio dell’esercito invasore».

    à, Ercole Viri, così come alcuni funzionari statali, erano presenti per la sua cerimonia di apertura. Viri esaltò l’importanza del sacrificio che Graziani diede per il suo paese e respinse le sue critiche al Macellaio d’Etiopia come “chiacchiere inattive”.

    La difesa di Pio XI per gli etiopi e gli ebrei, (pubblicato aprile 2016 su questo giornale), l’unica voce libera in Italia nel 1935 era quella di Papa Pio XI che. Egli allinizio della guerra rimane neutro in seguito allart. 24 dei Patti Lateranensi del 1929: “La Santa Sede, in relazione alla sovranità che le compete anche nel campo internazionale, dichiara che Essa vuole rimanere e rimarrà estranea alle competizioni temporali fra gli altri Stati ed ai Congressi internazionali indetti per tale oggetto, a meno che le parti contendenti facciano concorde appello alla sua missione di pace, riservandosi in ogni caso di far valere la sua potestà morale e spirituale.” Il papa, dopodiché ruppe il suo silenzio dicendo che una guerra condotta unicamente per conquistare era una guerra ingiusta: qualcosa di indicibilmente triste ed orrenda. Il 23 ottobre 1938, il papa aveva confidato al portavoce del Vaticano, il padre Pietro Tacchi Venturi: «Mi vergogno d’essere italiano. Tu, Padre, dillo a Mussolini, ti prego! Non come papa, ma come italiano ho vergogna di me stesso! Il popolo italiano è diventato un gregge di stupide pecore. Parlerò apertamente, senza paura. Mi sento spinto dal concordato, ma anche dalla mia coscienza. Sono veramente triste, come papa e come italiano».




    Il ruolo dei laici nella Dottrina sociale della Chiesa

    santita-leone-xiii-36a40b0b-195a-461d-9055-f46715ed49b5di Leonardo Salutati • Anche se non sono mancate voci profetiche come quella di A. Rosmini che sosteneva il principio del sacerdozio comune dei fedeli, in generale si ritiene che laicità sia un frutto della modernità e del processo moderno di secolarizzazione. Il tema è però anche un argomento dei documenti sociali della Chiesa ed esiste una teoria cattolica della laicità. Il tema della laicità è pertanto presente fin dalle origini nei documenti sociali della Chiesa, tanto che, come notava Benedetto XVI nella Caritas in veritate (cf. CV 12), non si può distinguere un dottrina sociale preconciliare da quella postconciliare.

    Alla fine dell’Ottocento nel momento in cui la Chiesa si rende conto che il mondo operaio si stava progressivamente allontanando dalla vita ecclesiale, si sente sollecitata a riconsiderare il ruolo dei laici. Sarà Leone XIII che li inviterà ad un nuovo coinvolgimento e, pur restando i laici un soggetto ecclesialmente dipendente dal clero e dalle sue indicazioni per agire nel mondo, il loro apporto comincerà ad essere ritenuto necessario come mediazione di un’offerta di salvezza ad un’umanità ormai lontana dalla fede.

    La Rerum novarum è spesso proposta come la prima enciclica della “modernità” nel senso che essa sarebbe stata la prima enciclica dopo che, con la modernità, politica e religione si erano separate, aprendo una fase storica di laicità e di secolarizzazione, ma anche perché nell’enciclica ci sarebbe una sostanziale apertura alla laicità moderna che prima non si dava. In realtà le prime parole di Rerum novarum non suonano come una felice apertura alle cose nuove, ma come la riprovazione per l’insensato inseguire le cose nuove che dal piano politico era sceso sul terreno sociale ed economico (cf. RN 1).

    L’enciclica leoniana non accetta la secolarizzazione della modernità e la visione moderna sulla laicità, caratterizzata dal razionalismo, dalla scelta per l’autosufficienza dell’uomo e del suo mondo, dal rifiuto del peccato originale e dello stato decaduto dell’umanità, dalla pur legittima autonomia del mondo umano dalla sfera religiosa che però è accompagnata dal rifiuto della religione e dalla rivendicazione di una completa autosufficienza dell’uomo, dal diffondersi del rifiuto della trascendenza che produce alla fine un’immanenza priva di senso. In questo senso Rerum novarum rimane sulla linea di Pio IX e delle precedenti encicliche leoniane, nella convinzione, ribadita in tutti i documenti sociali del magistero, che non esiste soluzione alla questione sociale fuori del Vangelo (CA 5), ma anche nella consapevolezza dell’urgenza di una risposta adeguata alle esigenze dei tempi.

    L’origine della questione sociale non è denunciata da Leone XIII solo in processi materiali, ma piuttosto nell’allontanamento di leggi ed istituzioni dal fondamento cristiano, che ha lasciato gli operai «soli e indifesi in balia della cupidigia dei padroni e di una sfrenata concorrenza» (RN 2), frutto negativo della secolarizzazione moderna.

    Sotto questo aspetto Rerum novarum pur respingendo l’idea di laicità come assoluta autonomia del mondo umano dalla religione cristiana, accoglie il principio di laicità quando si tratta di considerare adeguatamente la dimensione umana, e non solo religiosa, dei problemi.41e7q-5KFZL._SX362_BO1,204,203,200_

    «Una via nel deserto» di James Bishop

    132641514-1ae9452a-964e-4899-a898-c471a8282571 nascosti della Regola,ma anche come essa possa sostenerti. Ti prego di credere che io non sono un maestro spirituale né un guru; piuttosto considerami un compagno di viaggio. Sei libero di unirti a me in questo percorso e se lo farai speriamo di poter imparare uno dall’altro>. Con pieno merito James Bishop entra, grazie al racconto della sua esperienza di vita legata alla Regola di San Benedetto che lo ha redento dal carcere, nella collana de “I libri della fede” della LEF, riportata da Giannozzo Pucci alle sue migliori tradizioni culturali. Sicuramente ci aiuta a capire perché viviamo da prigionieri in un mondo di prigionieri. Una storia imperniata su una “bussola” più adatta ai nostri tempi e non meno efficace delle letture di Socrate, Shakespeare e Silvio Pellico.




    La tela sfregiata. L’emergenza ambientale

    download (3)di Alessandro Clemenzia • La questione ambientale, e la conseguente responsabilità dell’uomo nella salvaguardia del creato, si presenta oggi come una vera e propria emergenza a livello planetario. L’enciclica Laudato si’ (LS) di Papa Francesco, in questa situazione allarmante, non è una voce fra tante, ma vuole essere una chiara e ufficiale presa di posizione della Chiesa sull’uomo e sulla sua vocazione.

    Ma in quale situazione stiamo realmente vivendo? «In sette mesi, dal primo gennaio al 31 luglio, il pianeta ha esaurito tutte le risorse naturali che è in grado di rinnovare in un anno. Nei successivi mesi del 2018 l’uomo è vissuto “a credito”, consumando ciò che la terra non è riuscita a rigenerare» (p. 7). Con queste parole risponde il vescovo teologo Erio Castellucci, a introduzione del suo nuovo libro, intitolato La tela sfregiata. La responsabilità dell’uomo nel creato (Cittadella Editrice 2019). E la questione si fa ancora più allarmante dal momento che la situazione, di anno in anno, sembra sempre più retrocedere. A quali livelli si potrebbe arrivare nel giro di uno o due decenni?

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    Eppure, anche questa creazione transustanziata sta piano piano facendo sbiadire i colori originali utilizzati dal Creatore: tra le materie che si stanno esaurendo e un inquinamento sempre più devastante, prendono il sopravvento delle forti disuguaglianze sociali. Ma in tutta questa situazione, all’insegna del negativo, da dove si può cominciare per compiere una reale inversione di marcia? In continuità con il magistero precedente, papa Francesco trova nella fraternità la risposta efficace alla crisi ecologica, in quanto nella realtà «tutto è connesso» (LS 16, 117 e 138), «tutto è in relazione» (LS 92). Il degrado ambientale, infatti, è così strettamente legato al degrado umano che il superamento della crisi ecologica si può attuare unicamente oltrepassando quell’individualismo sfrenato, che si manifesta oggi nelle diverse logiche economiche di potere, e che, perdendo sempre più il senso del limite, punta al primato del produrre e dell’avere sull’essere.

    La grande questione, dunque, è di natura antropologica: «L’homo faber, tentato di sfruttare la natura come semplice cava di materiali, e l’homo oeconomicus, tentato di attingervi come ad una cassa continua da esaurire, devono integrarsi nell’homo sapiens, capace di sfruttare la propria intelligenza per vivere e mantenere la casa comune. L’alternativa all’homo sapiens sarà l’homo demens, che distruggendo la propria casa finisce per distruggere se stesso» (pp. 74-75).

    L’unica opzione: il ripartire dalla fraternità!




    Per una comunicazione che crei comunione.

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    I giovani non sono immuni da queste dinamiche, ma ci si immergono, anche con un ruolo attivo, diventando dei cyberbulli, veri e propri aguzzini dei loro coetanei.

    vedi), un decalogo da condividere con tutti, dai bambini in su, per farli crescere nella consapevolezza che la comunicazione serve a creare la comunione tra le persone e non l’odio e la divisione.




    La «pietas» di Georges Simenon

    Georges-Simenon-1di Giovanni Pallanti • Georges Simenon è stato ricordato dall’”Osservatore Romano” nel numero del 2-3 settembre 2019. Era il trentesimo anniversario della scomparsa dello scrittore belga di lingua francese, autore di numerosi romanzi, noto al grande pubblico per aver inventato il personaggio di Jules Maigret commissario della polizia francese. Come mai l’”Osservatore Romano” ha voluto ricordare il grande scrittore che apparentemente poco ha a che fare con i temi trattati dal quotidiano vaticano? Chi non conosce Simenon  si sarà forse meravigliato. Chi lo ha letto sa perfettamente che nei suoi romanzi e nella serie dedicata al commissario Maigret egli sa descrivere in maniera chiara e semplice i comportamenti degli uomini e delle donne fino a percepire i drammi e le gioie dell’anima umana. I racconti polizieschi che hanno come protagonista Maigret sono un caleidoscopio per narrare le vicende umane attraversate da una turbolenzaesistenziale o in un delitto attraverso le indagini di un poliziotto che scopre, alla fine, non solo il dolore della vittima ma anche il dramma dell’assassino. In questa piètas di Simenon c’è la sua matrice cristiana e cattolica. Il senso del peccato, per Lui, non abbandona mai le vicende del mondo. Anche le persone più insospettabili possono essere state influenzate dal male. Anche le persone buone possono, per una qualsiasi ragione, commettere un crimine.  Simenon è stato considerato dal grande scrittore francese Andrè Gide, premio Nobel nel 1947, un maestro della letteratura tant’è che Gide scrive ad un amico di avere letto, in una sola settimana, otto libri di Simenon. La tiratura delle sue opere, tra cui molti romanzi, sono state tradotte in cinquanta lingue e pubblicate in quaranta paesi superando, ad oggi, i settecento milioni di copie. Dopo Jules Verne e Alexandre Dumas (padre) è il terzo scrittore di lingua francese più tradotto al mondo. Nei suoi romanzi, ( vale la pena di ricordare: ”Tre camere a Manhattan”, “l’uomo che guardava passare i treni”, “la neve era sporca”, “ i fantasmi del cappellaio”,”Cargo” e tanti altri ) l’ambientazione è talmente straordinaria che mentre si legge scorrono assieme alle parole le immagini di ambienti , di paesaggi e la vita delle persone come se si guardasse un film. La capacità di contestualizzare ambienti e storie umane è la più grande qualità di arton147376Simenon,soprattutto quando descrive i personaggi femminili, il che lo fa essere uno dei più grandi narratori e romanzieri degli ultimi due secoli. In Lui, come ben si comprende leggendo le storie del commissario Maigret, c’è un impasto di cultura contadina e un’ ispirazione cattolica( in fondo alla sua anima di libertino) che lo fa essere un attento osservatore del reale che non indulge in compassione per il male del mondo ma che vive serenamente e consapevolmente l’essere umano portatore al contempo di bene e di male. La cultura contadina, (Maigret viene immaginato, da Simenon, come figlio di un fattore di una grande tenuta della campagna francese), gli consente di affrontare tutte le situazioni scabrose con rammarico ma senza mai perdere la speranza nel genere umano. Per questo modo di intendere la vita Simenon è superiore anche al grandissimo Balzàc. Lo scrittore siciliano Andrea Camilleri diceva che Simenon aveva scritto vivendo e vivendo scriveva. Esatto. La vita di Georges Simenon (Liegi 13 febbraio 1903- Losanna 4 settembre 1989 ) è stata forse, infatti, il suo più grande romanzo.