«Una canzone per mio padre». Un film per far riflettere soprattutto i più giovani

hqdefaultdi Stefano Liccioli • Nel mese di novembre è uscito nella sale cinematografiche italiane il film “Una canzone per mio padre”, distribuito da Dominus Production, casa di produzione e distribuzione cinematografica italiana da anni impegnata a diffondere opere di alto valore artistico e culturale, con un profondo contenuto etico ed educativo. Il lungometraggio racconta la storia vera del cantante statunitense Bart Millard che dopo un’infanzia ed un’adolescenza difficile, abbandonato dalla madre e in balia di un padre violento e alcolizzato, scopre – per caso – il suo talento canoro che lo porterà, dopo alcuni anni di gavetta, al successo suggellato dalla canzone da lui scritta (I Can Only Imagine) vincitrice del doppio disco di platino. Non offrirò in questa sede una critica del film anche se vale la pena sottolineare la sua apprezzabile fotografia e la regia attenta che conferisce alla pellicola un buon ritmo. Allo stesso tempo è importante precisare che non si tratta del solito racconto di come un uomo sia arrivato al successo. Semmai l’attenzione dello spettatore si concentra maggiormente su qualcosa di più interessante (almeno da punto di vista educativo) e cioé le inevitabili difficoltà ed ostacoli che si devono affrontare quando si cerca di raggiungere un traguardo o si vuole inseguire un sogno.

Siccome, però, l’intento della Dominus Production è di rivolgersi in particolare ai giovani (a tal fine sono state preparate delle schede con i collegamenti disciplinari e le ricadute didattiche del film), mi preme riflettere e cercare di far riflettere su due argomenti (la figura del padre ed il problema dell’alcol) su cui giustamente è importante richiamare l’attenzione delle nuove generazioni.

Sul tema del padre sono significative, a mio avviso, le considerazioni di Massimo Recalcati che ultimamente ha definito il nostro tempo come il “tempo dell’evaporazione del padre”. Oggi i padri, a suo dire, sono stretti tra la paura di non essere amati dai propri figli se li dicono “no” e quella di rincorrere il riconoscimento dei figli, se li dicono sempre sì. Invece, secondo Recalcati, il ruolo del padre è quello di far crescere nei figli la consapevolezza che non tutto è possibile e che ci sono limiti: è errato pensare che si puà ottenere tutto. Egli rappresenta la legge, una legge però che non deve essere applicata in maniera anonima, ma che può prevedere anche delle eccezioni. Ciò che serve, afferma Recalcati, è “il padre-testimone” e la sua testimonianza viene resa mediante la sua vita:«Il padre non deve spiegare il senso della vita, ma deve mostrare attraverso la sua che la vita, con i dovuti limiti, può avere un senso, animando così la vita del figlio con la speranza». Come ogni processo educativo che si rispetti, anche quello della testimonianza non porta degli effetti immediati, si tratta di una semina che necessita del tempo (non si sa quanto) per generare i frutti. Fin qui la diagnosi. In questo contesto così complesso e difficile in cui non è per niente facile essere genitori, oltre alle analisi (l'”evaporzione del padre”) ed ad indicare l’obiettivo da perseguire (“il padre-testimone”), occorre proporre anche degli strumenti per accompagnare padri, ma anche madri, nel loro compito educativo. Sono sempre più convinto che se si vuole educare i ragazzi, bisogna seguire anche i genitori. Mi riferisco, per esempio, al tema dell’uso consapevole dei social media da parte di ragazzi e ragazze: come pensare di formare i giovani senza formare ed informare parallelamente anche i loro genitori che acquistano per loro i dispositivi con cui usano tali social media? In generale credo che sia la scuola che la Chiesa Cattolica, solo per citare due agenzie educative che sono a stretto contatto con le nuove generazioni, debbano preoccuparsi di accompagnare anche i genitori.Bart-Millard-story

L’altro argomento su cui è significativo soffermarsi e far soffermare i giovani è il consumo dell’alcol. In occasione dell’ultimo Alcohol Prevention Day, promosso tra gli altri dall’Istituto Superiore di Sanità lo scorso maggio, è emerso che tra i giovanissimi, anche italiani, è in aumento il Binge drinking, cioé le “abbuffate di alcol”. I rischi sia nell’immediato che a lungo termine di un tale comportamento sono evidenti. Le motivazioni che spingono ragazzi e ragazze a bere alcolici fino a sentirsi male li posso immaginare: voglia di trasgressione, desiderio di rompere la routine e di sentirsi vivi provando “emozioni forti”. Anche in questo campo la repressione non basta. Per avere risultati più duraturi occorrono fin dalla scuola primaria dei percorsi educativi che non si limitino a mettere in luce i rischi dell’assunzione dell’alcol ed in particolari facciano capire che le emozioni non possono essere le uniche e le principali guide della nostra vita. Ma questo potrebbe essere il tema per un’altra riflessione rivolta anche al mondo degli adulti.