L’evento liturgico: il noi ecclesiale nel Noi di Dio

214 300 Alessandro Clemenzia
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imagedi Alessandro Clemenzia • La relazione tra Dio e uomo, nella storia, trova nella Chiesa il suo luogo di inveramento; vi è tuttavia un particolare luogo nel luogo ecclesiale in cui tale relazione conosce la sua piena e fontale consumazione: la liturgia. Al di là di ogni possibile lettura sociologica con cui ci si può approcciare, essa è un vero e proprio “evento” sacramentale d’incontro tra la vita divina e quella umana, anzi: è la realtà in cui il noi di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, rigenera in Sé il noi ecclesiale.

Per tale rigenerazione il banchetto eucaristico è una celebrazione “comunitaria”: non soltanto in quanto vede radunarsi da ogni dove una moltitudine di persone attorno all’unico altare, ma soprattutto perché è nel luogo liturgico che Dio, di molti, fa sacramentalmente “uno”. È questo uno dei molteplici temi che affiora nel volume, recentemente uscito, dell’Opera Omnia di Joseph Ratzinger, L’insegnamento del Concilio Vaticano II (Libreria Editrice Vaticana 2016).

Scrive Benedetto XVI: «La Messa ragionevolmente non può essere un atto privato del sacerdote, che gli altri tentano più o meno di seguire con l’ausilio dei loro libretti, quando magari in quel lasso di tempo non scelgano semplicemente di pregare a loro modo. La Messa, invece, anche nella modalità della sua celebrazione, deve essere una celebrazione comunitaria» (p. 26). C’è un noi ecclesiale che, proprio nell’evento liturgico, viene rigenerato e innervato, dall’interno, dal Noi di Dio: in Lui, infatti, si trova la condizione di possibilità dell’unità intraecclesiale.

Le formulazioni liturgiche “rompono” ogni individualismo spiritualistico, mostrando l’intima relazione del soggetto orante sia con la vita divina, sia con l’intera comunità dei fedeli: «Se si osservano i testi della Messa, si vede molto chiaramente che in primo luogo fa parte della Messa il “tu” di Dio, ma poi anche la comunità dei fedeli che celebra insieme, che sta accanto a me e con me forma il “noi” di coloro che insieme possono dire “Padre nostro”» (p. 27).

Dopo aver sottolineato il rapporto tra la realtà ecclesiale e la vita divina, e in particolare il tu del Padre a cui tutte le preghiere sono rivolte, Ratzinger presenta un’interessante dinamica d’intima interiorità tra il noi del Popolo di Dio e le relazioni intradivine: «Quasi tutte le preghiere che il sacerdote rivolge al “tu” del Padre, prestando la sua bocca a Cristo, sono però preghiere del “noi” e includono ogni volta gli altri, l’essere insieme» (p. 27). Nella liturgia l’inserzione della vita dell’uomo nella vita di Dio avviene proprio in Cristo; attraverso le categorie personologiche si può affermare: l’io del presbitero, portando in sé l’intero noi della Chiesa, si rivolge al tu di Dio Padre, prestando la bocca all’io del Figlio. Ci sono qui due differenti livelli di operazioni comunicative: da una parte, l’io del celebrante che contiene in sé il noi ecclesiale; dall’altro, la relazione tra l’io del Figlio e il tu del Padre. Questi due livelli si toccano nell’inserzione della Chiesa orante nella comunicazione che il Figlio rivolge al Padre.

Senza entrare ulteriormente in questo discorso di innesto della Chiesa nella vita di Dio, Ratzinger rivolge nuovamente lo sguardo sull’identità liturgica di questo noi ecclesiale: «L’esatta collocazione di questo “noi” è chiarita in due gruppi di preghiere: nel Memento e nel Communicantes. I santi, i fedeli defunti e i vivi formano insieme il grande “noi” del corpo di Cristo, il titolare di questa santa celebrazione, alla quale prendono parte anche gli angeli del Cielo» (p. 27).

Egli fa qui riferimento alla prima preghiera eucaristica, e in particolar modo al Memento e al Communicantes. Mentre in quest’ultimo si coglie chiaramente la comunione dei santi, nel primo è presentata la dinamica che ritma il noi ecclesiale nell’atto liturgico; mi riferisco in particolare alle parole: «Ricordati di tutti i presenti, dei quali conosci la fede e la devozione: per loro ti offriamo (pro quibus tibi offerimus) e anch’essi ti offrono (vel qui tibi offerunt) questo sacrificio di lode, innalzano la preghiera a te, Dio eterno, vivo e vero, per ottenere a sé e ai loro cari (pro se suisque omnibus) redenzione, sicurezza di vita e salute». Il celebrante offre Cristo in sacrificio al tu del Padre (tibi) per tutti i fedeli, ma anche questi offrono a loro volta il loro sacrificio di lode a Lui, per sé e per tutti i loro (suisque omnibus). È visibile la ridondanza dell’offerta.

Si può scorgere in questa preghiera eucaristica i prodromi di quell’actuosa participatio, di cui parla la Costituzione dogmatica Sacrosanctum Concilium, e cioè della partecipazione attiva di tutti i fedeli alla celebrazione eucaristica: una condizione ontologica in cui si trova ogni fedele, in virtù dell’unzione battesimale, nel poter offrire al Padre, insieme con Cristo, anche se stesso.

In questa comprensione dell’evento liturgico si incontrano tra loro in perfetta armonia e sintonia le due immagini di Chiesa (“immagine” in senso proprio e non metaforico) che, soprattutto dopo il Vaticano II, non di rado sono state utilizzate in ecclesiologia l’una in opposizione all’altra: Popolo di Dio e Corpo di Cristo. Sempre valido e vero è quanto in più occasioni ha affermato Ratzinger: «La liturgia trae la sua grandezza da ciò che essa è e non da ciò che noi ne facciamo».

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