Abbone

250px-Abbaye_de_Saint-Benoît-sur-Loire_1di Carlo Nardi • Vispo davvero il ragazzo Abbone, che, ormai venerando abate di Fleury (945-1004), si rimembrava giovanetto in una chiesa di Parigi, quando rizzò le orecchie al sentire un predicatore che dal pulpito dava per certo che di lì a poco, allo scoccare dell’anno mille, sarebbe apparso l’anticristo; dopo di che, la fin del mondo. Abbone non sgranò gli occhi per la paura del finimondo e nemmeno per un intenso desiderio di paradiso, ma perché, poco più che ragazzo, le argomentazioni dell’ispirato concionatore non avevano né capo né coda. Pertanto si oppose con tutte le sue forze a quelle idee bislacche. A tale scopo si preparò a rispondere mediante uno studio a fondo della Sacra scrittura, specialmente i Vangeli, l’Apocalisse e il libro del profeta Daniele. E certo ˗ mi vien da dire -, se Gesù ha detto che «non sta» a noi «conoscere tempi e situazioni che il Padre ha posto in suo potere», mi pare che ci sia ben poco margine per immaginare altro (cf. At 1,7. cf. 6-8)

Quel che Abbone ci dice di sé, è il vento che tirava poco prima di mille anni fa, vento peraltro tenue. Difatti il racconto del dotto abate è una delle poche testimonianze di una certa ansia della fine verso il mille, forse per un fraintendimento dell’interpretazione che sant’Agostino dà dei mille anni dell’Apocalisse (cap. 20). Secondo Agostino, i mille anni sono il tempo della Chiesa dall’incarnazione o dalla pasqua in poi fino all’unica venuta del Signore trionfante, idea tutt’altro che evidente e pacifica rispetto alla lettera della specifica pericope apocalittica (Ap 20). Il padre della Chiesa precisava che mille era un numero del tutto simbolico. C’era però chi lo prendeva pari pari come di mille anni computabili. Di conseguenza, verso il mille, una certa trepidazione ci fu, su cui ci ricamò alquanto, eppur con qualche fondamento, il Carducci, spumeggiante futuro nel 1868 alla vetusta Alma mater: «V’immaginate il levar del sole nel primo giorno dell’anno mille?» … E invece, racconta Roberto il Glabro nelle sue Storie che anche nel 1033 vi furono cose così tremende al punto che, addetta di Abbone, si era aggiunta un’altra diceria molto diffusa: quando il venerdì santo fosse capitato il 25 marzo, la solennità dell’Annunciazione, che fa men pensare anche alla primavera, sarebbe invece finito il mondo. Era un qualcosa senza senso, anzi una vana osservanza, e come tale la pensava Abbone, il quale, accorto, non cadde in trappole di spasmodiche attese o di angoscianti paure, neppure se propinate da alte tribune (Abbone, Libro apologetico, in Patrologia latina 139, pp. 471-472).

Che dire del reverendo parigino? “Sbaglia anche il prete all’altare”, dice un proverbio saggio, quanto reale. E il ragazzo Abbone? «Non» consegnò «ad altri il timone dell’intelletto», come aveva scritto con premura il greco san Basilio Magno (329-379) nel suo Discorso ai giovani (1,6). Con un altro proverbio? “Non buttò il cervello all’ammasso”, che non è cosa da poco.

Si attendeva immediato il finimondo. Perché l’anno 1033? Penso alla seconda e ultima venuta di Cristo, di un Gesù memore della sua morte, risurrezione e ascensione. Nella logica che la pasqua è più grande del natale.