«De iure communi Ecclesiae universae»

672 351 Andrea Drigani
  • 0

130px-Estatua_de_Gayo-Tribunal_Supremo_(Madrid)di Andrea Drigani • Il significato storico del «diritto comune», che è stato, peraltro, l’argomento di un mio studio recensito su questa Rivista (F. Romano, «Il senso di un diritto comune. Un libro di Andrea Drigani», ottobre 2016), faceva riferimento ad un sistema giuridico più che ad un apparato normativo, sviluppatosi tra l’XI e il XIV secolo, che ispirandosi al cristianesimo, amalgamava gli ordinamenti canonico, romano-giustinianeo, feudale e mercantile. Insieme al diritto comune esistevano anche i diritti propri, secondo quanto affermava il giurista romano Gaio, per il quale tutti le genti vivevano «partim suo proprio, partim communi omnium hominum iure». Nella Chiesa cattolica con la promulgazione, ad opera di San Giovanni Paolo II, dei due Codici canonici: quello per la Chiesa latina nel 1983 (CIC) e quello per le Chiese orientali nel 1990 (CCEO), si può legittimamente parlare di uno «Ius Ecclesiae latinae» e di uno «Ius Ecclesiarum orientalium», proprio per questo emerge la sussistenza di uno «Ius commune Ecclesiae universae». Durante i lavori del Concilio Vaticano II il vescovo maronita libanese Pierre-Antoine Khoreiche espresse la necessità di una legge fondamentale valida per tutta la Chiesa, sia per quella latina che per quelle orientali. Anche da tale richiesta nacque l’ipotesi e la progettazione di una legge fondamentale della Chiesa («Lex Ecclesiae fundamentalis»), che poi per tutta una serie di vicissitudini non vide mai la luce. Il fatto della presenza dei due Codici ripropone, non più sotto l’aspetto formale di un testo costituzionale, bensì sotto quello sostanziale, un insieme di norme comuni valide per l’intera Chiesa cattolica. Dalla lettura dei testi codiciali si evince la presenza di una serie di canoni identici, a cominciare dagli obblighi e diritti di tutti i fedeli (cann.208-223 CIC; cann.7-26 CCEO) e dal ruolo del Romano Pontefice e del Collegio dei Vescovi (cann.330-341 CIC; cann.42-54 CCEO). Appartengono pertanto al diritto comune dell’intera Chiesa Cattolica il principio dell’uguaglianza, scaturita dal Battesimo, di tutti i «christifedeles», il dovere di osservare sempre la comunione ecclesiale e di esercitare l’obbedienza cristiana, il diritto di esporre ai Pastori le necessità e di manifestare la propria opinione, il diritto di ricevere gli aiuti spirituali, il diritto di associarsi e di riunirsi, il diritto all’azione apostolica, all’educazione cristiana, alla libertà di ricerca e di espressione, alla libertà di scelta dello stato di vita, ad avere un processo «ad normam iuris», il dovere di provvedere alle necessità della Chiesa, nonché alla promozione della giustizia sociale e alla carità; viene altresì riaffermato il compito dell’autorità ecclesiastica di regolare, in vista del bene comune, l’esercizio dei diritti e dei doveri. Circa il ministero del Romano Pontefice, secondo la tradizione e le decisione dei Concili Ecumenici, fa parte del diritto comune della Chiesa Cattolica che il Romano Pontefice è il Capo del Collegio dei Vescovi ed unicamente a lui spetta convocare, presiedere, trasferire, sospendere il Concilio Ecumenico e di confermarne le deliberazioni. Come pure è di diritto comune che per appartenere al Collegio dei Vescovi occorre l’ordinazione episcopale e la comunione gerarchica con il Romano Pontefice e gli altri membri del Collegio. Sono, inoltre, a ritenersi di pertinenza dello «Ius commune Ecclesiae universae» le disposizioni sulla promulgazione, l’applicazione e l’interpretazione delle leggi ecclesiastiche (cann. 7-22 CIC; cann. 1488-1505 CCEO), nonché sulla consuetudine (cann.23-28 CIC; cann. 1506-1509 CCEO). Riguardo a quest’ultima risultano esserne quattro i requisiti: che gli atti simili posti od omessi per un periodo di tempo sufficientemente prolungato, non siano contrari al diritto divino, naturale e positivo; che vi sia l’intenzione di obbligare; che sussista una comunità capace di essere soggetto passivo di legge; che vi sia l’approvazione o il consenso, ancorchè tacito, del legislatore ecclesiastico. Anche le disposizioni sulla potestà di governo e gli uffici ecclesiastici (cann.129-196 CIC; cann.936-995 CCEO) sono «de iure communi». Pure il sistema processuale canonico (cann. 1400-1670 CIC; cann.1055-1356 CCEO) è comune all’intera Chiesa. Tra lo «Ius Ecclesiae latinae» e lo «Ius Ecclesiarum orientalium» vi sono, tuttavia , delle differenze notevoli concernenti la normativa penale, l’obbligo del celibato ecclesiastico, la forma della celebrazione del matrimonio, l’autonomia legislativa delle Chiese particolari. Nella Chiesa cattolica c’è l’unità e la distinzione, e per rimanere uniti e distinti la presenza dello «ius commune Ecclesiae universae» può essere di grande aiuto.

image_pdfimage_print