Un testo inedito di san Francesco o della prima comunità francescana e il senso e l’importanza della predicazione

51WhTvzNzZLdi Dario Chiapetti • Nel 2007 lo studioso Jacques Delarun scoprì cinque frammenti di testo, copiati in cinque manoscritti diversi, che ipotizzò appartenere a una Vita di san Francesco, chiamata dallo studioso Leggenda umbra, avente per autore Tommaso da Celano, anteriore alla Vita seconda, sempre dello stesso autore. Brevemente, essa sarebbe una sintesi della Vita prima, anche questa di Tommaso da Celano, che prenderebbe a prestito materiale della Vita di Giuliano da Spira e della Leggenda del coro e che influenzerebbe la Leggenda dei tre compagni e il Trattato dei miracoli. Il suo tratto peculiare è che presenta una visione positiva della figura di fra Elia da Cortona, controverso successore di Francesco alla guida dell’Ordine. Sulla base di ciò, si ipotizza che il presente testo sia molto primitivo e si spiega il suo essere stato presto dimenticato, si ricordi anche come l’Ordine fece distruggere nel 1266 tutte le Vite anteriori a quelle di Bonaventura.

Nel 2014 si venne a conoscenza di un manoscritto privato, acquistato dalla Biblioteca Nazionale di Francia che, per la scrittura, la messa in pagina e i testi, è stato datato attorno al 1240, ossia molto prossimo al 1226, anno della morte di Francesco. Ebbene, esso contiene una Vita beati patris nostri Francisci, che corrisponde precisamente alla Leggenda umbra e che è preceduta da una lettera dedicatoria indirizzata proprio a fra Elia. Prima e dopo di essa si trovano: la Regola composta da Francesco nel 1223 e inserita nella relativa bolla d’approvazione, Solet annuere di Onorio III; una versione molto antica delle Ammonizioni; e altri scritti, come testimonianze della predicazione di sant’Antonio. Tra la Regola e le Ammonizioni vi è un commento al Padre nostro che il medievista Dominique Poirel ha ricevuto l’incarico di studiare e che ora presenta al pubblico nella presente edizione bilingue, preceduta da un’introduzione: Francesco d’Assisi, Commento al Padre nostro. Un testo finora sconosciuto del Poverello?, D. Poirel (ed.), San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2018, 94 pp., 12 euro.

Poiriel, nel suo studio, osserva, innanzitutto come il testo presenti errori che sono di copiatura, il che fa pensare al fatto che riporti tracce di un testo precedente. Dallo stile vivace e costruito sintatticamente, a volte in modo impreciso, si ipotizza ad una sorta di omelia o un sermone pronunciato oralmente. Oltre agli errori di copiatura, si osserva una consistente pervasività della lingua italiana e una scarsa padronanza del latino, aspetti, questi, attribuibili, nel caso, più all’autore che al copista. Quindi, non si tratta, forse, della produzione di un istruito chierico ma di un semi-letterato e, probabilmente, di un discorso pronunciato oralmente e ricostruito poi sulla base dei ricordi di un ascoltatore e di note prese al volo, come i repentini cambi di argomento lasciano supporre.unnamed

Anche la struttura del testo è significativa. Esso si compone di otto sezioni, una iniziale commenta la formula introduttiva del Pater nel canone della messa, le successive trattano le sette richieste. Ogni sezione è, a sua volta, quadripartita. In ogni partizione vi è la voce di un personaggio: vi è quella del “colto” – probabilmente non l’autore – che offre delle minute spiegazioni; quella del Padre, o, in un caso, di Cristo Crocifisso, che biasima e rimprovera i peccatori per l’incoerenza tra la vita, da un lato, e la fede professata e il culto praticato, dall’altro; quella dei peccatori che sono così portati a riconoscere il loro peccato e a implorare la misericordia divina; infine, quella del predicatore che commenta il dialogo e ne commenta gli aspetti salienti.

Ciò che attira l’attenzione è la grande vivacità del discorso e la struttura dialogale che invita chi ascolta e chi legge a inserirvisi. Tale dialogo risulta intavolato da un Dio che, con profonda passione per l’uomo, mette questi davanti al suo peccato e, con sapiente fare pedagogico, lo conduce a comprendere la sua situazione, pentirsi e mendicare misericordia, la quale prontamente viene concessa. Il testo risulta assai coinvolgente giacché, non da ultimo, dà viva voce alle numerose citazioni scritturistiche che lo costellano, segno di una frequentazione stretta tra il predicatore e la Bibbia.

Ma siamo in presenza di un testo di Francesco? 1- L’autorità data al discorso (trascritto e inserito nel manoscritto dopo la Regola); 2- un certo rapporto intimo tra il suo autore e il Crocifisso (il primo parla a nome del secondo); 3- la vivacità del tono (quasi un’azione teatrale); 4- la spiritualità che esso rivela, non di un chierico ma di un penitente; 5- le accuse agli uomini di blasfemia (frequenti in altri discorsi dell’Assisiate); 6- il rimprovero “cavalleresco” messo in bocca a Cristo di essere stato abbandonato sul campo di battaglia (si pensi ai due fallimentari tentativi di spedizione di Francesco o all’appartenenza nobiliare dei suoi primi compagni); fanno pensare di sì.

Del resto, 1- il fatto che nel manoscritto il testo non riporti il nome di Francesco; 2- che questo testo non compaia nei diversi corpora degli Scritti del Poverello; 3- che il commento al Padre nostro in questi ultimi sia molto diverso dal presente; 4- che il vocabolario usato appare, anch’esso, diverso dagli altri scritti di Francesco, così come le citazioni bibliche; 5- e la presenza di due citazioni di Agostino (quando il Santo non cita mai altrove i Padri della Chiesa); fa pensare di no.

Ad ogni modo – osserva Poirel – è vero che: 1- in molti manoscritti le opere di Francesco non riportano sempre il suo nome; 2- l’idea di raggruppare in un’opera omnia gli scritti di Francesco è molto posteriore al presente testo, e la più antica non riporta i testi più privati; 3- il commento tradizionale al Pater, per la sua prosa artistica, più di un chierico, porta a ritenere che faccia poco fede come termine comparativo; 3- ogni scritto dell’Assisiate contiene una serie di hapax (è noto che Francesco non scriveva da solo); 4- le citazioni bibliche sono innumerevoli e non esistono versetti privilegiati; 5- è verosimile che Francesco conoscesse in qualche modo Agostino, data la presenza di alcuni scritti di quest’ultimo nel breviario francescano derivato da quello di Innocenzo III che egli usava.

Il testo sembra proprio attribuibile a Francesco o ad uno dei suoi primi compagni. Ad ogni modo, aldilà di tale questione, esso riveste grande importanza. Questo commento inedito al Padre nostro fa entrare in contatto con la vitalità spirituale e la passione apostolica della prima comunità francescana tutta intenta alla predicazione, concepita non come «parole, parole, parole», ma come vita che si fa parola e parola che si fa accesso, per l’uomo, alla relazione con Dio e, per Dio, alla relazione con l’uomo; realtà – questa dell’uomo mediatore, nella sua carne e parola, tra Dio e l’uomo – che solo in un con-croce-fisso può verificarsi.

E tutto ciò risulta di grande provocazione anche per i predicatori della Chiesa, anche oggi nuovamente sotto il segno di Francesco.