Il disarmo: un impegno sempre più urgente per conseguire la pace

550 412 Leonardo Salutati
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compendio-dottrina-sociale-della-chiesa-cattolicadi Leonardo Salutati •Nel corso del suo attuale pontificato, Papa Francesco ha denunciato più volte e con insistenza l’immoralità della produzione e del commercio delle armi che fomentano le guerre, dando continuità ad un magistero che, a partire da San Pio X fino all’attuale Pontefice, ha preso posizione netta contro la guerra e, man mano che il problema diveniva sempre più chiaro, ha costantemente segnalato oltre all’immoralità anche i rischi connessi alla produzione, commercio e proliferazione di armi.

Tanto per citare alcuni passaggi, Giovanni XXIII con la Pacem in terris del 1963, avendo ancora vivo il ricordo del dramma della 2° guerra mondiale e della potenza distruttrice delle armi atomiche ha, con estrema chiarezza, sollecitato al disarmo attraverso lo studio approfondito e attento delle modalità per la «ricomposizione pacifica dei rapporti … fondata sulla mutua fiducia, sulla sincerità nelle trattative, sulla fedeltà agli impegni assunti» (PT 63).

Giovanni Paolo II (1985) a tal proposito, ha indicato un possibile itinerario per la riduzione degli armamenti, suggerendo l’attuazione di un «disarmo generale, equilibrato e controllato» degli Stati, sottolineando allo stesso tempo l’urgenza della meta da raggiungere, da contemperare con la prudenza e la gradualità per conseguirla, affinché non si provochi piuttosto la consegna immediata della vittima nelle mani del carnefice.

Il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa afferma esplicitamente che: «Qualsiasi accumulo eccessivo di armi, o il loro commercio generalizzato, non possono essere giustificati moralmente» (n. 508).

Il Catechismo a sua volta dichiara che: «La ricerca di interessi privati o collettivi a breve termine non può legittimare imprese che fomentano la violenza e i conflitti tra le nazioni e che compromettono l’ordine giuridico internazionale» (n. 2316) ed esprime una severa riserva morale nei confronti della strategia della deterrenza nucleare come mezzo di dissuasione dall’intraprendere una guerra e strumento adeguato ad assicurare la pace tra le nazioni, in quanto comporta un accumulo eccessivo di armi (n. 2315).

Sempre Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1999, ha espressamente invocato misure appropriate per il controllo della produzione, della vendita, dell’importazione e dell’esportazione di armi leggere e individuali che facilitano molte manifestazioni di violenza, denunciando che la vendita e il traffico di tali armi costituiscono una seria minaccia per la pace. Infatti esse sono quelle che uccidono di più e sono usate maggiormente nei conflitti non internazionali. La loro disponibilità, inoltre, fa aumentare il rischio di nuovi conflitti e l’intensità di quelli in corso. Egli considera una contraddizione inaccettabile l’atteggiamento degli Stati che applicano severi controlli sul trasferimento internazionale di armi pesanti, mentre non prevedono mai, o solo in rare occasioni, restrizioni sul commercio delle armi leggere e individuali. Nello stesso documento chiedeva con urgenza che i Governi adottassero regole adeguate per controllare la produzione, l’accumulo, la vendita e il traffico di tali armi, così da contrastarne la crescente diffusione, in larga parte tra gruppi di combattenti che non appartengono alle forze militari di uno Stato.

Oggi i dati relativi alla spesa militare per gli armamenti sono imponenti (la spesa militare mondiale del 2014 è stimata essere equivalente al 2,3% del PIL mondiale) e non possono non provocare tutti gli Stati ad una riflessione critica sul commercio internazionale di armi e, più in generale, sulla relazione tra disarmo, sviluppo e pace: sia i paesi sviluppati che aumentano la spesa militare senza riguardo dei paesi in via di sviluppo, sia quelli in via di sviluppo che impongono sacrifici enormi ai loro popoli pur di guadagnare potenza e prestigio sul piano militare.

A tal proposito nella Caritas in veritate, riproponendo la riflessione di Paolo VI in Populorum progressio, non a caso Benedetto XVI ha invitato l’umanità a elaborare un nuovo modello di sviluppo, sottolineando come le situazioni di crisi possono anche essere «occasione di discernimento e di nuova progettualità». È un invito al discernimento che si fonda su imperativi di natura non solo etica ma anche giuridica. Ad esempio, la Carta delle Nazioni Unite impegna gli Stati aderenti e la comunità internazionale a «promuovere lo stabilimento ed il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale col minimo dispendio delle risorse umane ed economiche mondiali per gli armamenti» (art. 26). Purtroppo un impegno ad oggi non ancora assolto, che rende quanto mai attuale l’invito del Concilio Vaticano II il quale, in considerazione del pericoloso progresso nella costruzione di armi, già evidente cinquant’anni fa, invitava a «considerare l’argomento della guerra con mentalità completamente nuova» (GS 80) al fine di poter realmente costruire un sistema di relazioni favorevoli al conseguimento della pace.

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Leonardo Salutati

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