I compiti della teologia nel mondo contemporaneo. Dal discorso di Papa Francesco all’Associazione Teologica Italiana alcuni spunti di riflessione

630 400 Stefano Liccioli
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atidi Stefano Liccioli • Nel discorso che Papa Francesco ha tenuto all’Associazione Teologica Italiana che quest’anno ha compiuto cinquant’anni ho trovato ben chiari e definiti i compiti che il Santo Padre considera importanti per la teologia, in particolare nel mondo contemporaneo.

Innanzitutto il Papa ha sottolineato la necessità che la Chiesa tutta ed i teologi in special modo si pongano sempre in continuità con il Concilio Ecumenico Vaticano II, un evento in cui la Chiesa ha mostrato la sua capacità di «lasciarsi fecondare dalla perenne novità del Vangelo di Cristo». La fedeltà al Concilio che viene richiesta è però una “fedeltà creativa” nella consapevolezza che in questi cinquant’ anni sono avvenuti ulteriori mutamenti. E’ una visione dunque della teologia come di qualcosa di vivo, anche perché il Vangelo continua a toccare gli uomini e le donne di oggi.

Particolarmente significativi i richiami del Pontefice al modo in cui si “fa teologia”. Ebbene, la ricerca teologica non deve essere condotta in maniera individualistica o peggio ancora in una logica di competizione; si tratta, sì, di una ricerca personale, «ma di persone che sono immerse in una comunità teologica la più ampia possibile, di cui si sentono e fanno realmente parte, coinvolte in legami di solidarietà e anche di amicizia autentica». Occorre poi, ha detto Papa Francesco, “fare teologia” nello stupore. Uno stupore che nasce dall’incontro con Cristo ed a cui, aggiungo io, dobbiamo sempre fare riferimento per difenderci dal rischio, nella fede, dell’abitudinarietà. Ed infine l’importanza di “fare teologia in ginocchio”, come i grandi Padri che «pensavano, pregavano, adoravano, lodavano»: la teologia, dunque, non come un mero esercizio intellettuale, ma come espressione dell’integralità della persona che coniuga ragione e fede.

Sui compiti e le sfide che attendono oggi la teologia il Santo Padre ha sottolineato lo sforzo di questa disciplina nel «ripensare i grandi temi della fede cristiana all’interno di una cultura profondamente mutata». Ha infatti affermato:«Nell’epoca della complessità e di uno sviluppo scientifico e tecnico senza precedenti e in una cultura che è stata permeata, nel passato, dal cristianesimo, ma nella quale possono oggi serpeggiare visioni distorte del cuore stesso del Vangelo, rende infatti indispensabile un grande lavoro teologico». I temi su cui i teologi, nel mondo contemporaneo, sono chiamati a riflettere ed ad aiutare i fedeli a riflettere sono, secondo il Papa, la crisi ecologica, lo sviluppo delle neuroscienze o delle tecniche che possono modificare l’uomo, il problema delle sempre più grandi disuguaglianze sociali o delle migrazioni di interi popoli, il relativismo teorico, ma anche quello pratico.

Il discorso di Papa Francesco mi ha fatto pensare al mondo in cui la teologia venga considerata tra i fedeli laici (ma non solo). In alcuni casi viene vista come una disciplina riservata agli addetti ai lavori, in altri come una speculazione fine a se stessa dal momento che esiste già un sensus fidei nel popolo di Dio che ci porta a credere.

Se da una parte è vero, come ha affermato anche il Pontefice, che «per essere autenticamente credenti non è necessario aver svolto dei corsi accademici di teologia. C’è un senso delle realtà della fede che appartiene a tutto il popolo di Dio, anche di quanti non hanno particolari mezzi intellettuali per esprimerlo, e che chiede di essere intercettato e ascoltato», d’altra parte è pur vero quello che sempre il Santo Padre ha detto e cioé che si può pervenire a ciò che si crede in quanto viene compreso: in tal senso la teologia ha una funzione importante, anche in ordine alla comunicazione della fede «perché appaia sempre e dovunque che essa non solo non mutila ciò che è umano, ma si presenta sempre quale appello alla libertà delle persone».

Penso allora ai molti laici che svolgono servizi importanti in ambito ecclesiale, ad esempio per la catechesi e mi domando quale formazione teologica venga data a queste persone che in maniera sicuramente generosa si rendono disponibili nelle comunità parrocchiali. So che i cammini d’iniziazione cristiana non devono essere dei corsi di teologia, ma nella mente di chi forma le nuove generazioni alla fede devono essere posseduti in maniera chiara alcuni concetti. Auspico allora che possa esserci un maggiore accesso da parte dei laici non solo ai percorsi strutturati degli studi teologici, ma anche a varie forme d’introduzione ai grandi temi di teologia siano essi di carattere scritturistico, spirituale o dogmatico.

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Stefano Liccioli

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