L’unione con Dio nella carne dell’altro

codadi Alessandro Clemenzia • Diverse questioni decisive e di grande attualità, più o meno provocanti, continuano a innervare la riflessione ecclesiale in questi ultimi anni. Delle tante, se ne potrebbero enucleare alcune: il rapporto tra ciò che è “pastorale” e ciò che è “teologico”, con particolare riferimento alle asserzioni di Papa Francesco; come concretizzare quella relazione tra doni gerarchici e doni carismatici, riportata in auge dalla Iuvenescit Ecclesia, documento della Congregazione per la Dottrina della Fede, passato per lo più sotto silenzio dall’odierna letteratura ecclesiologica; come coniugare l’unione con Dio e la concretezza della relazione con l’altro. Queste domande, spesso poste anche con toni polemici, sono rimaste tuttavia per lo più insolute. Una possibile risposta ad esse si può trovare in un volume, recentemente uscito, di Piero Coda, intitolato “La Chiesa è il Vangelo”. Alle sorgenti della teologia di Papa Francesco (Libreria Editrice Vaticana, 2017), parte di una Collana teologica che vuole approfondire i punti cardine del suo pensiero e del suo insegnamento.

Tanti sono gli spunti teologici offerti dal presente testo; tuttavia, più che elencarne il contenuto, si è preferito tracciare quel “filo d’oro” che in qualche modo raccolga le provocazioni già esposte, senza volerle racchiudere in risposte chiuse e definitive, ma aprendole all’intelligenza del cuore e della realtà.

Il percorso di Piero Coda inizia proprio dal riferimento carismatico di Papa Francesco; tuttavia, oltre a evidenziare l’indiscutibile vincolo tra Ignazio di Loyola e il Pontefice gesuita, viene colto come nucleo propriamente carismatico dell’azione magisteriale del Papa la formula ignaziana “contemplativi in actione”, che va proprio «a significare il programma e l’impegno di centrare e immergere in Dio […] la propria esistenza, impregnando della sua luce e della sua forza un agire nella storia indirizzato ad maiorem Dei gloriam, e cioè a ricapitolare gratuitamente e liberamente in Cristo ogni realtà» (pp. 22-23).

L’immersione in Dio e l’azione nella concretezza della realtà quotidiana, apparentemente contraddittori tra loro, sono due momenti di un unico movimento, che trova tra l’altro la sua “forma” esistenziale nel grande Santo d’Assisi, Francesco, il cui nome è stato scelto come proprio dal Papa: la forma della povertà di Cristo. Il Magistero odierno è di per sé carismatico: nella persona di Papa Francesco si invera quasi “ipostaticamente” quella relazione co-essenziale tra doni gerarchici e doni carismatici, messa in luce dalla Iuvenescit Ecclesia.

Senza soffermare l’attenzione sulla tradizione teologica, nella quale affonda le radici il pensiero di Papa Francesco (da Agostino d’Ippona a Basilio Magno, da Tommaso d’Aquino a Bonaventura, a Romano Guardini e a Paolo VI), si può continuare il filo del discorso vedendo come questa immersione in Dio nella concretezza della quotidianità chieda di compiere un’operazione molto particolare, che potrebbe essere descritta attraverso le parole di Edgar Morin: “ripensare il pensiero”. Non si tratta, in altre parole, di volgere lo sguardo in particolare su qualcosa di nuovo, ma di rivedere lo stesso modo di vedere, per riuscire a pensare e a comunicare in modo radicalmente nuovo.

Ci si può immergere in Dio nella realtà concreta proprio perché essa è fatta di persone, uomini e donne che hanno tutti in qualche modo a che fare con Cristo, in quanto la sua carne si prolunga in quella dei fratelli; questa certezza di fede «implica non solo imparare da Dio, in Cristo, lo sguardo e l’atteggiamento giusto e vero nei confronti dell’altro, ma essere responsabilmente e creativamente coinvolti nello stare di fronte all’altro come colui al quale Dio s’è unito in Cristo e si comunica nello Spirito» (p. 85). Non si tratta di un atteggiamento spirituale che vuole cogliere il positivo nelle situazioni negative o di conflitto, ma di una vera e propria “transustanziazione” della realtà, in quanto «l’azione libera e misteriosa dello Spirito […] assume la carne delle azioni e dei drammi della storia accettando di “sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo” (EG 227)» (p. 89).

Questa ontologia cristica e trinitaria che sottostà lo sguardo di Papa Francesco chiede alla Chiesa, sia un ripensamento del significato della carne, spesso censurata, in quanto essa, assunta dal Verbo divino, diventa la via di Dio, sia di allargare la propria interiorità. Questa è la nuova mistica che designa, spiega Coda, «lo spazio nel quale la relazione con Dio accade […] attraverso la relazione in Gesù con gli altri nel mondo. Così che l’interiorità si può e deve dire “allargata” – agli altri – e come tale inverata nella sua qualità di luogo d’incontro con Dio e, in Lui, con tutti e con ciascuno» (p. 98).

Si può intravedere in questa nuova mistica la portata sociale del Vangelo: «La mistica quale esperienza del Dio veramente divino nel suo accadere in Gesù non strappa dalla storia per annegare l’io nell’indefinito che resta indefinibile: ma è la linfa che fa scorrere il sangue di Dio nella carne del mondo» (p. 99).