Giustino, la fede cristiana e la filosofia

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San Giustinodi Francesco Vermigli · Il mese di giugno inizia con la memoria di san Giustino martire (n. 100 – m. 163/167). Parlare di Giustino significa riandare a quel periodo in cui la comunità cristiana ha vissuto l’esperienza della persecuzione e del nascondimento. È l’epoca che portò alcuni gruppi di cristiani al martirio; epoca pre-costantiniana, in cui la Chiesa prega per i governanti e l’autorità politica, ma da quella medesima autorità subisce sofferenza e morte. Ma la storia di Giustino non solo reca con sé il segno del martirio. La sua persona rimane legata in maniera indissolubile alle sue opere; opere che attestano dello sforzo di entrare in contatto con la cultura pagana da parte di colui che proveniva da quella stessa cultura. Si tratta delle due Apologie, ma anche del Dialogo con Trifone, che mostrano la sollecitudine di stare davanti alla cultura non cristiana in una modalità che farà scuola.

Il suo pensiero riguardo al rapporto tra la dottrina cristiana e la cultura pagana è espresso da una formula, che è poi divenuta vulgata: la formula, cioè, dei logoi spermatikoi o semina Verbi. Come noto, andando al nocciolo della questione, con tale formula si vuole affermare che la dottrina cristiana si pone come sviluppo delle culture non cristiane, fino a condurle a pienezza; oppure – che è poi dire in altro modo la stessa cosa, ma vedendola in senso inverso – alla luce della dottrina che porta Cristo e che è custodita dalla Chiesa, il sapiente cristiano rintraccia elementi di verità nelle culture e nelle filosofie non cristiane. Eppure non possiamo non notare come questa argomentazione si fondi su basi teologiche molto più solide di quanto ad una prima lettura si potrebbe credere. Proprio queste basi ci aiutano a leggere la sintesi del pensiero di Giustino come occasione per riflettere sul rapporto tra la dottrina cristiana e il pensiero non cristiano anche ai nostri tempi.

La radicalità del riferimento teologico è in realtà radicalità del riferimento cristologico. Si badi, cioè, che Giustino, nel punto apicale della sua riflessione sul rapporto con la cultura antica – nello stesso momento, cioè, in cui usa la formula che abbiamo ricordato sopra – in quel momento esatto non dice solamente che c’è della verità nelle altre culture, ma che, se c’è questa verità, questa si deve a Cristo. In altri termini, quello a cui Giustino allude è il fatto che vi sia una presenza di Cristo prima della venuta di Cristo stesso. E si tratterebbe di una presenza soltanto iniziale, che attende compimento, che attende pienezza; si direbbe, secondo un’altra formula piuttosto famosa e diffusa, sebbene in contesto pienamente cristiano: il Verbo è “già” nelle culture pagane, ma “non ancora” esse godono della presenza piena, che viene portata nel mondo dalla Rivelazione del Figlio eterno incarnato.Raffaello_concilio_degli_dei

Com’è possibile la presenza del Verbo, prima della sua venuta nella carne? Unica soluzione possibile parrebbe quella secondo cui il Verbo è presente in nuce (in seme, appunto…) nelle filosofie antiche, perché è presente nella creazione e nella ragione che con le proprie forze indaga il creato e riflette a partire da esso. In questo senso, apprezziamo l’estrema modernità del pensiero di Giustino se lo confrontiamo con i dibattiti odierni (che poi hanno una radice in ultima istanza paolina…) circa l’ordinazione a Cristo del creato e dell’uomo stesso, considerato in quanto creatura. Così è per le culture e per le filosofie: esse attendono da Cristo la loro pienezza, ed ex post – cioè dopo la rivelazione definitiva – possiamo apprezzare di esse i segni di verità e di bontà e di bellezza che sono i segni della presenza del Verbo.

Resta un solo passo da compiere, un passo interpretativo decisivo: in quale modo si deve porre la dottrina cristiana rispetto ad ogni sapienza non cristiana anche oggi? Si direbbe che essa debba tenere sempre davanti, per così dire, lo stesso modus operandi di Giustino. A seguito della rivelazione di Cristo, la filosofia certo non viene abolita; anzi essa continua a mostrare una forza argomentativa e contenutistica non marginale. Ma la sapienza che reca Cristo agisce come una sorta di criterio di discernimento. Cosa concretamente significa questo?

Significa che appartiene costitutivamente alla dottrina cristiana la possibilità di discernere nel mare magnum delle filosofie e delle sapienze espresse nelle varie culture; avendo come bussola sicura la rivelazione che il Figlio incarnato ha fatto su se stesso, sul Padre che lo ha inviato, sullo Spirito che sarebbe stato poi inviato, sull’uomo, sulla storia e sul cosmo. E significa che ogni dottrina filosofica ed ogni sapienza espressa dalle mille e mille culture comparse sulla faccia della terra non potranno mai esaurire la rivelazione di Cristo. Quando la teologia si trova davanti all’obbiettivo dell’intelligenza del Mistero rivelato, sarà fedele al suo compito se e solo se saprà verificare cum grano salis categorie, concetti, criteri espressi dai sistemi filosofici e dalle culture varie del nostro mondo.

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Francesco Vermigli

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