Rosario Livatino esempio di indipendenza e responsabilità del giudice

281 400 Carlo Parenti
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Giudice_Rosario_Livatinodi Carlo Parenti • L’organo di autogoverno della magistratura (Consiglio Superiore della Magistratura) è al centro di una vicenda che, come è detto (Lucia Annunziata), ha tutti i contorni di un lurido gioco di potere. Un intreccio di arrogante uso della propria influenza e soprattutto abuso della fiducia dei cittadini. Un gioco segreto piantato nel cuore del Csm che dovrebbe garantire al paese uno standard etico superiore per gli uomini che gestiscono la giustizia. Per fortuna Sergio Mattarella, che di questo organo di rilevanza costituzionale è Presidente, sta intervenendo con risolutezza.

Credo che sull’indipendenza e responsabilità, anche morale, dei giudici sia utile citare brani di un discorso de 1984, del giudice Rosario Livatino al Rotary di Canicattì, in uno dei pochissimi interventi pubblici della sua vita. Parole di estrema attualità e un monito al CSM e a tutti i giudici (vedi) Rosario sarà poi assassinato dalla mafia il 21 settembre 1990. Aveva 38 anni. Era una giorno particolare: deve decidere le misure di prevenzione per boss mafiosi di Palma di Montechiaro. Il “giudice ragazzino”, come fu definito, insieme ad altri giovani magistrati, dal Presidente Cossiga, scatenando molte polemiche, era stato per 8 anni Sostituto procuratore della Repubblica alla Procura di Agrigento ed era giudice al Tribunale della città. È un martire della Chiesa cattolica, «martire della giustizia ed indirettamente della fede» ha detto san Giovanni Paolo II.

«Il giudice, oltre che essere, deve anche apparire indipendente […]. L’indipendenza del giudice, infatti”, non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrificio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità a iniziative e ad affari, tuttoché consentiti ma rischiosi, nella rinunzia a ogni desiderio di incarichi e prebende».

Per Livatino i magistrati non devono iscriversi o parteggiare per un partito politico (né per associazioni che vincolano i membri o segrete) pur dovendo ispirarsi a una autonoma “coscienza politica”: “ciò non significa certo sopprimere nell’uomo-giudice la possibilità di formarsi una propria coscienza politica […]: e di ispirarsi, nella valutazione dei fatti e nell’interpretazione di norme , a determinati modelli ideologici, che possono anche coincidere con quelli di gruppi politici”.

Altro delicato aspetto è quello di cariche elettive: “è gravissimo il problema che si pone quando un mandato elettivo cessa: infatti, un parlamentare, anche se nei limiti della legalità, assume inevitabilmente un complesso di vincoli e obblighi verso gli organi del partito, contrae legami ed amicizie che raramente prescindono dallo scambio di reciproche e sia pur consentite cortesie, dall’assunzione di impegni e obblighi che, appunto perché galantuomini, si è tenuti ad onorare, si assoggetta infine ad un’abitudine di disciplina (nei confronti delle varie gerarchie del partito e del gruppo parlamentare) in contrasto con la libertà di giudizio e l’indipendenza di decisione proprie del giudice, abitudine difficile da lasciare anche perché, tranne casi eccezionali, l’abbandono del seggio non rompe i vincoli di gratitudine e non distrugge il legame fiduciario fra il singolo e la struttura”.montenegro94

Per Livatino è del tutto chiara la conseguenza: “..anche ammesso che il Magistrato – parlamentare sappia riacquisire per intera la propria indipendenza dal partito….è inevitabile che l’opinione pubblica[…]incline al sospetto e tutt’altro che propensa a credere alla rescissione di simili vincoli, continua a considerarlo adepto di quel partito“ e sarebbe dunque “sommamente opportuno che i giudici rinunciassero a partecipare alle competizioni elettorali in veste di candidato o, qualora ritengano che il seggio in Parlamento superi di molto in prestigio, potere ed importanza l’ufficio di Giudice, effettuassero una irrevocabile scelta, lasciandosi tutti i vascelli alle spalle con le dimissioni definitive dall’Ordine Giudiziario”.

Con la stessa schiettezza Livatino condanna la allora paventata riforma della responsabilità civile dei magistrati.: “la sua introduzione pare assolutamente inaccettabile per molte ragioni[…] ogni atto giurisdizionale, incide necessariamente su diritti soggettivi; è per sua stessa natura idonea a produrre danno […]Non esiste che possa dirsi indolore. […]Ogni Giudice nel decidere un provvedimento, non potrebbe non domandarsi non gliene possa derivare una causa per danni. E sarebbe quindi inevitabile ch’egli studiasse, più che di fare un provvedimento giusto, di fare un provvedimento innocuo. Come possa dirsi ancora indipendente un Giudice che lavora soprattutto per uscire indenne dalla propria attività non è facile intendere”. Concludendo: “Questo è l’effetto perverso fondamentale che può annidarsi nella proposta di responsabilizzare civilmente il Giudice: essa punisce l’azione e premia l’inazione, l’inerzia, l’indifferenza professionale. Chi ne trarrebbe beneficio sono proprio quelle categorie sociali che, avendo fino a pochi anni or sono goduto dell’omertà di un sistema di ricerca e di denuncia del reato […]recupererebbero attraverso questa forma di intimidazione del Giudice, la garanzia della propria impunità. […]”.

Concludo con le parole dall’arcivescovo di Agrigento, cardinale Francesco Montenegro, che il 19 luglio 2011 aprì il processo di beatificazione ricordando altri laici, Piergiorgio Frassati e Giorgio la Pira, che hanno vissuto la “santità” nella perfezione del lavoro quotidiano.

In Livatino, non ci sono “gesti eclatanti o parole esplicite” ma l’impegno «a portare il Vangelo dentro ciò che era chiamato a vivere ogni giorno, nella ricerca della giustizia e nel rispetto della dignità di ogni persona». E ancora: «Livatino ci può insegnare che per diventare santi non dobbiamo estraniarci dai nostri impegni ma, piuttosto, dobbiamo sporcarci le mani nelle fatiche quotidiane (…) Livatino per noi è espressione di un cristianesimo a tutto tondo fatto di unione con Dio e di servizio all’uomo, di preghiera e di azione, di silenzio contemplativo e di coraggio eroico. Anche questa forma di esempio ci può aiutare a comprendere meglio cosa voglia dire essere cristiani in questo nostro tempo».

Merita proprio leggere spesso l’esortazione apostolica di papa Francesco Gaudete et Exsultate (Rallegratevi ed esultate) sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo.

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