I rifugiati nel mondo sono oggi 79,5 milioni: muoiono e vivono nella disperata ricerca della salvezza

680 365 Carlo Parenti
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13814644_giornata-mondiale-del-rifugiato-680x365di Carlo Parenti · Il 20 giugno scorso è stata La Giornata internazionale del rifugiato, indetta dalle Nazioni Unite per commemorare l’approvazione nel 1951 della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati da parte dell’Assemblea generale ONU.

L’emergenza sanitaria per il Covid-19 ha riguardato purtroppo anche i rifugiati, ma nel più assoluto silenzio dei media. Per l’Alto Commissario delle Nazioni Unite, Filippo Grandi, “la stragrande maggioranza, l′84% dei rifugiati nel mondo è ospitata in regioni povere o in via di sviluppo e il loro accesso a un’assistenza sanitaria di qualità era già molto limitato anche prima della pandemia. In questo momento devastante, con il coronavirus che causa una grande afflizione fisica e mentale, la necessità di investire in servizi sanitari continui, compresa la salute mentale, e garantire la loro accessibilità a tutti è evidente e critica come mai”. È anche il sentimento del nostro Presidente, Sergio Mattarella: “L’impatto della pandemia aggrava ancor di più la critica condizione di quanti, a causa di conflitti o per la violazione di diritti fondamentali, sono costretti a fuggire dal proprio Paese“.

A livello globale il fenomeno dei rifugiati risulta in aumento, secondo i numeri del rapporto annuale Global Trends pubblicato dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unchr). Alla fine del 2019 risultavano 79,5 milioni le persone in fuga nel mondo: il dato più alto registrato finora dall’Agenzia. Complessivamente, l’1% dell’intera umanità – 1 persona ogni 97 – è sfollata o rifugiata. Una cifra senza precedenti che è destinata ad essere superata negli anni a venire, se i governi e la politica internazionale non metteranno in campo azioni concrete e urgenti per debellare le cause di queste migrazioni forzate: conflitti, insicurezza e cambiamenti climatici. Secondo alcuni studi quest’ultimi potrebbero essere la causa nel 2050 di migrazioni di 250 milioni di persone. Addirittura altri ipotizzano cifre che sfiorano addirittura un miliardo.82dbf6cae1772ebce3f61a4b34447ba4_XL

Il citato rapporto Global Trends indica inoltre che di questi 79,5 milioni in fuga alla fine dello scorso anno, 45,7 milioni erano sfollati all’interno dei propri paesi. La cifra restante (33,8 milioni) era composta da persone fuggite oltre confine, 4,2 milioni delle quali in attesa dell’esito della domanda di asilo. Molti i bambini. Unhcr stima siano 30-34 milioni, decine di migliaia dei quali non accompagnati, un numero pari alle intere popolazioni di Australia, Danimarca e Mongolia messe insieme. Come poi non dire di un altro conteggio drammatico. Sono, secondo alcune stime , 40.900 le persone morte, dal 1990 a oggi, nel mare Mediterraneo o nelle altre rotte dell’immigrazione verso l’Europa.

Vorrei ricordare che il segretario generale della Cei, mons. Stefano Russo, nell’omelia della veglia di preghiera “Morire di Speranza” del 18 giugno u.s. nella Basilica di Santa Maria in Trastevere -promossa dalla Fondazione Migrantes, la Caritas Italiana, la Comunità di Sant’Egidio, il Centro Astalli, la Federazione Chiese Evangeliche in Italia, lo Scalabrini Migration International Network, le Acli, l’Associazione Papa Giovanni XXIII, l’Associazione Comboniana Migranti e Profughi- ha invitato a riascoltare le parole di papa Francesco sul sagrato deserto di Piazza S. Pietro nel periodo pasquale.

Parole “rimaste impresse in modo indelebile nel nostro cuore e che hanno raggiunto i confini della terra caratterizzando particolarmente questo nostro tempo che oserei dire ‘fuori del tempo’. Riascoltiamo le sue parole, portando nel cuore non solo le attese personali, ma facendo nostre quelle dei profughi, dei rifugiati, dei migranti che, lungo quest’anno e ancor più nel tempo eccezionale della pandemia, muoiono e vivono nella disperata ricerca della salvezza”.

I venti contrari sono certo forti e chi più ne soffre sono i poveri: nel tempo della pandemia, come non pensare a chi è costretto nei campi profughi sovraffollati, a chi non vede alcuna via di uscita? In Africa, in Asia – pensiamo ai Rohingya -, nel campo di Moira a Lesbo, già Europa, o chi si accalca alle sue frontiere. Lontano da noi, a Tapachula, di fronte al confine con il Messico. O ai siriani, nei campi libanesi”, ha detto il segretario generale della Cei: “luoghi di dolore, dove, più di prima, mancano cibo, vestiti, tende, cure sanitarie. Il lockdown inasprisce condizioni già invivibili, con uomini, donne e bambini impossibilitati al distanziamento fisico e senza accesso all’acqua per lavarsi, con il terrore di essere sterminati dal coronavirus. Quante preghiere salgono dai quasi 50 milioni di sfollati interni che popolano i diversi continenti? Quante dai profughi detenuti in Libia, sottoposti a ogni genere di abusi, e da quelli che fuggendo vengono nuovamente respinti?”. “Di questo tutti abbiamo responsabilità, nessuno può sentirsi dispensato”, ha detto papa Francesco, il 14 giugno u.s. parlando della situazione in Libia al termine della preghiera dell’Angelus. “Se siamo qui è perché non solo non ci sentiamo dispensati, ma perché sappiamo che Gesù non è mai indifferente, anzi: salì sulla barca dei suoi amici e la sua presenza calmò le acque”, ha quindi aggiunto mons. Russo: “è quindi la sua presenza a donarci nuovamente l’audacia e la forza: della preghiera e del gesto. E non dimentichiamo, in questo tempo dopo la Pentecoste, che, non il vento del Mar di Galilea, ma il vento dello Spirito spinse i discepoli frastornati incontro ai popoli allora conosciuti, parlando una lingua nuova che tutti potevano intendere. La lingua dell’amore, che particolarmente nel tempo della pandemia ha visto molti soccorrere i più soli e i più esposti. Fra essi abbiamo presenti i volti di tanti e tante badanti, delle colf, di immigrate e rifugiate che si sono prese cura degli anziani impedendo che fossero abbandonati alla solitudine e preda del contagio negli Istituti. Sono stati tanti quelli che hanno avuto compassione e hanno portato il loro contributo per sfamare chi era senza casa”.

Chiudo con una anticipazione preziosa. Papa Francesco il 13 maggio 2020, Memoria della B.V. Maria di Fatima, per consentire una preventiva e adeguata preparazione, ha fatto pubblicare il MESSAGGIO DEL SANTO PADRE PER LA 106ma GIORNATA MONDIALE DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2020 [che la Chiesa celebra il 27 settembre 2020]: “Come Gesù Cristo, costretti a fuggire Accogliere, proteggere, promuovere e integrare gli sfollati interni”. Si può trovare qui (vedi)

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