La centralità della coscienza

326 500 Gianni Cioli
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confessione_0-largedi Gianni Cioli • Nel discorso inaugurarle dell’Anno Giudiziario del Tribunale della Rota Romana di quest’anno papa Francesco esordisce con queste parole rivolte ai giudici: «Oggi vorrei riflettere con voi su un aspetto qualificante del vostro servizio giudiziale, cioè sulla centralità della coscienza, che è nello stesso tempo quella di ciascuno di voi e quella delle persone dei cui casi vi occupate. Infatti, la vostra attività si esprime anche come ministero della pace delle coscienze e richiede di essere esercitata in tuta conscientia».

Centralità della coscienza significa dunque, in questo contesto, al tempo stesso centralità della coscienza del giudice e centralità della coscienza delle persone la cui vicenda si trova ad essere giudicata. «In ordine alla dichiarazione di nullità o validità del vincolo matrimoniale», infatti, afferma il papa, i giudici sono chiamati a porsi «in certo senso, come esperti della coscienza dei fedeli cristiani […] manifestando così la connessione tra la certezza morale, che il giudice deve raggiungere ex actis et probatis, e l’ambito della sua coscienza, noto unicamente allo Spirito Santo e da Lui assistito».

Posta questa premessa il papa ricorda come la tematica della coscienza, molto cara ai Padri degli ultimi due Sinodi dei Vescovi, sia una tematica centrale anche nell’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia. «Ciò è derivato dalla consapevolezza che il Successore di Pietro e i Padri sinodali hanno maturato circa l’impellente necessità di ascolto, da parte dei Pastori della Chiesa, delle istanze e delle attese di quei fedeli i quali hanno reso la propria coscienza muta e assente per lunghi anni e, in seguito, sono stati aiutati da Dio e dalla vita a ritrovare un po’ di luce, rivolgendosi alla Chiesa per avere la pace della loro coscienza». Questo passaggio è tanto interessante quanto complesso: vi sono fedeli che, avendo reso assente a lungo la loro coscienza, sono andati incontro a dolorosi fallimenti esistenziali. Ma, di fronte all’eventualità, possibile per grazia di Dio, di un risveglio anche flebile della voce coscienza, la Chiesa, in ragione della legge suprema della salus animarum, è chiamata a ricercare le vie per accompagnare questi fedeli a trovare la pace per la coscienza stessa, ovvero la pace di fronte a Dio.

Il discorso si sposta quindi a quello sull’importanza della formazione della coscienza dei fidanzati. Perché, se il trascurare la coscienza può condurre a naufragi esistenziali, ovviamente è meglio prevenire che curare. Nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, ricorda dunque Francesco, «sono stati indicati percorsi pastorali» specifici per la formazione della coscienza, ovvero, «per aiutare i fidanzati ad entrare senza paure nel discernimento e nella scelta conseguente del futuro stato di vita coniugale e familiare». Questo nella consapevolezza che, oggi più che mai, è «necessaria una continua esperienza di fede, speranza e carità, perché i giovani tornino a decidere, con coscienza sicura e serena, che l’unione coniugale aperta al dono dei figli è letizia grande per Dio, per la Chiesa, per l’umanità». Il cammino sinodale e la successiva Esortazione apostolica Amoris laetitia, soggiunge il papa, «hanno avuto un percorso e uno scopo obbligati: come salvare i giovani dal frastuono e rumore assordante dell’effimero, che li porta a rinunciare ad assumere impegni stabili e positivi per il bene individuale e collettivo. Un condizionamento che mette a tacere la voce della loro libertà, di quell’intima cella – la coscienza appunto – che Dio solo illumina e apre alla vita, se gli si permette di entrare». Vi è dunque la necessità di «illuminare, difendere e sostenere la coscienza cristiana della nostra gente».

In funzione di ciò, sottolinea il papa, il Sinodo e l’Amoris laetitia hanno opportunamente fatto appello al «necessario rapporto tra la regula fidei, cioè la fedeltà della Chiesa al magistero intoccabile sul matrimonio, così come sull’Eucaristia, e l’urgente attenzione della Chiesa stessa ai processi psicologici e religiosi di tutte le persone chiamate alla scelta matrimoniale e familiare».

Il papa prospetta quindi la possibilità di un catecumenato matrimoniale, «inteso come itinerario indispensabile dei giovani e delle coppie destinato a far rivivere la loro coscienza cristiana, sostenuta dalla grazia dei due sacramenti, battesimo e matrimonio» e conclude ricordando ancora che la cura delle coscienze è un compito di tutti i battezzati che comporta la fedeltà, appunto, alla regula fidei, cioè alla tradizione viva illuminata dal magistero della Chiesa.

Per illustrare i criteri di questa fedeltà Francesco cita un insegnamento di Paolo VI del 1976: «occorre evitare gli estremismi opposti, sia da parte di chi si appella alla tradizione per giustificare la propria disobbedienza al supremo Magistero e al Concilio ecumenico, sia da parte di quanti si sradicano dall’humus ecclesiale corrompendo la genuina dottrina della Chiesa; entrambi gli atteggiamenti sono segno di indebito e forse inconscio soggettivismo, quando non sia purtroppo di ostinazione, di caparbietà, di squilibrio; posizioni queste che feriscono al cuore la Chiesa, Madre e Maestra».

In conclusione e in sintesi: «Dobbiamo impedire che la coscienza dei fedeli in difficoltà per quanto riguarda il loro matrimonio si chiuda ad un cammino di Grazia. Questo scopo si raggiunge con un accompagnamento pastorale, con il discernimento delle coscienze (cfr. Amoris laetitia, n. 242) e con l’opera dei nostri tribunali. Tale opera deve svolgersi nella sapienza e nella ricerca della verità: solo così la dichiarazione di nullità produce una liberazione delle coscienze».

Se ora consideriamo il ministero del confessore possiamo certamente cogliere delle analogie con le indicazioni del papa ai giudici sulla centralità della coscienza.

Anche per il confessore centralità della coscienza significa da una parte attenzione, rispetto e cura della coscienza delle persone che chiedono di essere assolte e, dall’altra, consapevolezza che la decisione di assolvere o rimandare l’assoluzione non è un equazione matematica ma un atto che deve essere frutto di un discernimento responsabile e coscienzioso.

Anche il confessore si può trovare di fronte a persone che chiedono la pace per la loro coscienza, dopo avere forse sperimentato dolorosi naufragi, magari proprio per aver «reso la propria coscienza muta e assente per lunghi anni». Questo ci conferma la necessità di una formazione della coscienza cristiana, come il papa ha richiamato, formazione oggi effettivamente, per molteplici ragioni, assai carente e nondimeno urgente. E tuttavia l’ovvia considerazione che è necessaria una formazione perché, come si è detto, è meglio prevenire che curare, non elimina drammatica consapevolezza, espressa dalla nota metafora coniata dal papa, che oggi la Chiesa è un ospedale da campo in cui non ci si può esimere dall’urgenza di curare, talora anche in situazioni molto difficili, con grande senso della realtà, senza lasciarsi bloccare né da «idealismi e nominalismi inefficaci» né da «eticismi senza bontà» (Evangelii gaudium nn. 231-232). La coscienza del confessore è dunque chiamata a entrare in un paziente dialogo con quella del penitente per un discernimento nella verità, capace di considerare la realtà dei fatti oggettivi e delle disposizioni soggettive, nelle quali rientrano anche, e non da ultimo, i limiti sperimentati della libertà (Amoris laetitia, n. 37. 301).

L’imprescindibile e urgente formazione della coscienza, d’altronde, non sempre potrà, o potrà solo in parte, avvenire nell’ambito della celebrazione del sacramento della penitenza. Il confessore dovrà perciò richiamarla e incoraggiarla prudentemente, suggerendo possibili percorsi concreti presenti nella Chiesa (analogia con il catecumenato) e lasciando sempre intravvedere, anche nelle situazioni più difficili, la bellezza della libertà cristiana, da riscoprire, anche in via graduale, nell’orizzonte della misericordia instancabile di Dio.

Anche la coscienza del confessore, il quale deve decidere con “coscienza certa” (ovvero con quella “certezza morale” che non è la certezza assoluta dell’equazione matematica), dovrà plasmarsi nella fedeltà alla regula fidei, cioè alla tradizione viva, illuminata dal magistero della Chiesa. Questo significa, come si è detto, «evitare gli estremismi opposti» di chi «si appella alla tradizione per giustificare la propria disobbedienza al supremo Magistero» e di chi si sradica, con improvvide fughe in avanti, «dall’humus ecclesiale corrompendo la genuina dottrina della Chiesa».

In conclusione dobbiamo, con ogni impegno, evitare «che la coscienza dei fedeli in difficoltà […] si chiuda ad un cammino di Grazia»; questo implica un impegno a discernere amorevolmente, in coscienza, il «bene possibile» (Evangelii gaudium nn. 44-45; Amoris laetitia n. 308), ovvero i possibili percorsi d’incontro fra il cuore dei peccatori e l’amore di Cristo, in ogni occasione e situazione, opportuna e non opportuna (cfr. 2Tm 4,2).

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