La forma eucaristica della Chiesa: il contributo del cardinale Betori

600 315 Alessandro Clemenzia
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Giovedi-Santo-Betori-sia-valorizzata-la-sofferenza-dei-credenti-che-rinunciano-all-Eucaristia_opengraphdi Alessandro Clemenzia · In questo tempo di pandemia, la riflessione ecclesiologica si è tutt’altro che ritirata dal suo incessante desiderio di scrutare i segni dei tempi: tutto ciò che gravita attorno all’uomo è la sua materia prima d’indagine. Ogni circostanza diventa il luogo di un gran numero di provocazioni, che spingono l’uomo a cercare il senso più profondo della realtà. È questo il contesto migliore in cui interpretare i numerosi dibattiti che animano l’attuale riflessione teologica, come ad esempio la liceità delle adorazioni eucaristiche per via telematica, o la questione della celebrazione della Messa senza il popolo; o ancora la validità dell’assolvimento dei precetti ecclesiali senza una vera e propria prassi eucaristica, etc.

Tali dibattiti rappresentano in realtà un’occasione rivolta alla Chiesa di approfondire la sua natura e il fondamento su cui poggia l’intera esistenza cristiana. L’omelia del cardinale Giuseppe Betori, in occasione della celebrazione della Messa in coena Domini nella cattedrale fiorentina ha offerto, a tale proposito, preziosissimi elementi su cui discernere. I punti nodali su cui l’Arcivescovo si è soffermato, e che rappresentano i cardini della liturgia eucaristica del giovedì santo nel triduo pasquale, sono due: la lavanda dei piedi e l’istituzione dell’Eucaristia.

Un primo elemento decisivo riguarda la misura del discepolato: «La misura dell’essere discepoli di Gesù è la capacità di porsi l’uno di fronte all’altro non per rivendicare i propri diritti, neanche nella prospettiva di uno scambio alla pari – amare quelli che ci amano –, ma nel sottomettersi agli altri nel servizio». Da queste parole si intravede la dimensione fondamentalmente relazionale dell’identità ecclesiale: una relazionalità tra gli uomini che – seppure fondata sul desiderio del raggiungimento di una sua pienezza, vale a dire la reciprocità – rimane sempre asimmetrica, in quanto non è il risultato di un accordo tra i singoli, ma è la dinamica caratterizzante attraverso cui ciascuno si pone di fronte all’altro nella totale consegna di sé. La lavanda dei piedi, in altre parole, è la visibilità del volto comunionale della Chiesa.

Un secondo elemento evidenziato riguarda la sottolineatura dell’altra azione compiuta da Gesù, vale a dire l’istituzione dell’Eucaristia. Di fronte a un sempre più evidente neo-romanticismo che penetra sempre più silenziosamente all’interno del “sentimento religioso”, riducendo così la fede a una mera ricerca interioristica di appagamento, Betori indica chiaramente il realismo del sacramento: “L’Eucaristia non è sentire Gesù vicino a noi, presente al nostro cuore. L’Eucaristia è una presenza reale”, così oggettiva da essere capace di trasformare in Lui colui che se ne ciba, generando così tra gli uomini nuove forme di relazione.

La sottolineatura di un bene così essenziale, quale la partecipazione eucaristica, sembra quasi entrare in conflitto con la decisione che la Chiesa stessa ha preso nel domandare ai fedeli di vivere questo tempo di pandemia senza riunirsi insieme nelle celebrazioni. Eppure, spiega il Cardinale, questa stessa rinuncia, se accolta con cuore sincero e con il senso di obbedienza alla circostanza, è capace di conformare il cristiano, singolarmente e comunitariamente, a Cristo. E qui emerge un altro elemento essenziale per la riflessione ecclesiologia, vale a dire la forma Christi della Chiesa: come, infatti, il Verbo di Dio si è svuotato della sua natura divina fino alla morte e alla morte di croce, così il cristiano – nel non sottrarsi come cittadino alle disposizioni date dal governo e dalle singole Conferenze Episcopali – è chiamato a svuotarsi di sé, di ciò che appartiene essenzialmente all’identità della Chiesa (e cioè l’Eucarestia), per mettersi come alter Christus a servizio degli altri (in questo caso nel “limitare l’espandersi del contagio virale”).

Un ulteriore contributo offerto dall’omelia di Betori riguarda il modo in cui comprendere la dimensione comunitariaunnamed dell’azione liturgica, il cui fondamento non è la partecipazione dell’assemblea (sempre e comunque essenziale nella celebrazione), ma l’azione di Dio: tali sottolineature «non sono annotazioni marginali, perché ne va della concezione della salvezza, che scaturisce sempre e solo dalla grazia, pur prendendo forma nella vita personale e comunitaria». Ciò che rende “una” la chiesa non è, dunque, una dinamica sociologica, ma il farsi “presenza” di Dio stesso in mezzo al suo popolo.

Un ultimo elemento da sottolineare è quello attraverso cui Betori concentra le implicazioni più profonde di quanto ha affermato, riuscendo a far confluire insieme tre differenti immagini di Chiesa: Popolo di Dio, Corpo di Cristo e Comunione. In virtù dell’incarnazione del Verbo, egli si domanda «se non appartenga proprio alla natura dell’Eucaristia, e quindi ai suoi effetti, riconoscere nella carne del fratello la continuità del Corpo e del Sangue di Cristo che l’Eucarestia ci dona». In questo senso l’adorazione eucaristica dei singoli continua incessantemente attraverso il mettersi a servizio di ciascuno verso gli altri: chi, infatti, serve il corpo dei fratelli, serve il Corpo di Cristo. E ciò, conclude il cardinale, «darà autenticità ai gesti comunitari che faremo quando finalmente potremo tornare a riunirci come assemblea eucaristica».

Questa omelia, oltre a guidare il popolo di Dio nel vivere ecclesialmente ogni gesto quotidiano, si inserisce nella vivacità teologica di questi giorni e offre una risposta chiara ad alcune domande che hanno provocato il cuore di molti fedeli.

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