Le norme penali canoniche e la «salus animarum»

480 360 Andrea Drigani
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imagesdi Andrea Drigani L’incontro che si è tenuto in Vaticano dal 21 al 25 febbraio su «La protezione dei minori nella Chiesa», consente, tra l’altro, di riflettere, di nuovo, sul ruolo delle norme penali canoniche in relazione con la legge suprema della Chiesa che è la «salus animarum». Su quest’ultima rimando ad un mio articolo apparso su questa Rivista (L’eterno richiamo alla «salus animarum», dicembre 2016). Per comprendere il significato del diritto penale canonico desidero rammentare quanto disse San Giovanni Paolo II il 17 febbraio 1979, rivolgendosi agli Uditori della Rota Romana: «Nella visione di una Chiesa che tutela i diritti dei singoli fedeli, ma, altresì, promuove e protegge il bene comune come condizione indispensabile per lo sviluppo integrale della persona umana e cristiana, si inserisce anche la disciplina penale: anche la pena comminata dall’autorità ecclesiastica (ma che in realtà è un riconoscere la situazione in cui il soggetto si è collocato) va vista infatti come strumento di comunione, cioè come mezzo di recupero di quelle carenze di bene individuale e di bene comune che si sono rivelate nel comportamento antiecclesiale, delittuoso e scandaloso, dei membri del popolo di Dio». Le sanzioni penali nell’ordinamento giuridico della Chiesa, in particolare le censure, hanno, secondo un’antica e consolidata tradizione, una funzione «medicinale», poiché la privazione di beni spirituali dovrebbe portare il reo ad abbandonare la «contumacia» (parola che viene dal verbo latino «contemnere» che vuol dire disprezzare con orgoglio, arroganza, ostinazione) da intendersi come la permanenza nello stato di delitto ovvero la mancanza di riparazione del danno causato o dello scandalo. Questo del resto era già contenuto nelle «Regulae iuris» inserite al termine del «Liber Sextus» di Bonifacio VIII promulgato nel 1298. In particolare nella Regula IV: «Peccatum non dimittitur, nisi restituatur ablatum» («Non si perdona il peccato senza la restituzione di ciò che è stato tolto») e nella Regula V: «Peccati venia non datur, nisi correcto» («Il perdono del peccato non si dà senza correzione»). La concezione canonica del delitto oltre alla violazione della norma contiene la considerazione del danno sociale, cioè dello scandalo, che è l’azione che induce altri a compiere un delitto. In tale contesto appare chiarissimo il collegamento con la norma suprema dalla «salus animarum». Infatti qui non è in gioco soltanto l’anima del delinquente, e di colui che è stato danneggiato o vilipeso, ma di tutte anime che sono ingiuriate dalla scandalosa inosservanza della legge. Il delitto di pedofilia, da parte di chierici, era già previsto nel «Codex iuris canonici» del 1917 al can. 2359 § 2 ed è stato reiterato nel «Codex» del 1983 al can. 1395 § 2. Stupisce e rincresce che una norma in vigore da più di cento anni sia stata largamente disattesa; viene in mente la sconsolata osservazione di Dante: «Le leggi son, ma chi pon mano ad esse?» (Purg. XVI,97). In presenza di un delitto l’Ordinario, a tenore del can.1341, deve ottenere in maniera sufficiente la riparazione dello scandalo, il ristabilimento della giustizia e l’emendazione del reo; ciò potrebbe essere fatto, di primo acchito, con l’ammonizione, le riprensione e gli altri mezzi della sollecitudine pastorale, ma se in tal modo non fosse possibile il raggiungimento dei predetti tre obbiettivi, l’Ordinario deve avviare la procedura giudiziaria o amministrativa. Il compito dei processi è quello di acclarare la verità, e la verità rende liberi (cfr. Gv 8,32). Le strade di un patetico e ingiusto occultamento, che speriamo non siano più percorse, ci allontanano dalla verità e dalla libertà. La LXXVI «Regula iuris», del «Liber Sextus» di Bonifacio VIII, afferma: «Delictum personae non debet in detrimentum ecclesiae redundare» («Il delitto di una persona non deve riversarsi in danno della Chiesa»). Questa regola ribadisce che la responsabilità penale è personale, cioè è attribuita soltanto ad una persona fisica, ma la potestà ecclesiastica deve punire, nel proprio ambito, coloro che delinquono per salvare la giustizia ed impedire che la mancata repressione di azioni delittuose ingeneri l’idea che la Chiesa le tolleri o peggio ancora le avvalli, ciò nell’assoluto rispetto del bene supremo ed irrinunciabile della «salus animarum».

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