Il Cantico di san Bernardo. L’amore di Dio, l’amore dell’uomo

699 500 Francesco Vermigli
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di Francesco Vermigli • Chi abbia mai frequentato la biografia e l’opera di Bernardo di Chiaravalle, sa di che pasta fosse questo monaco cisterciense (1090-1153), tra gli autori spirituali più noti dell’intero Medioevo. Chi l’abbia frequentato, l’avrà certo potuto seguire nel suo pellegrinare durante gli anni dell’abbaziato a Clairvaux. Egli era la chimera del suo tempo (chimera saeculi mei, come dirà di se stesso): colui, cioè, che aveva un che di “mostruoso” e di incomprensibile alla sua epoca; lui che pur portando le vesti della religione, percorreva le strade del mondo, come un cavaliere o un soldato qualsiasi. Le strade che percorreva Bernardo, erano quelle dell’Europa del XII secolo: quell’Europa in fermento e fiorente di inaspettate prospettive culturali; l’Europa del monachesimo rinnovato e delle scuole cattedrali nascenti; l’Europa delle crociate e delle città che sempre più crescono e si espandono, tanto nell’autonomia giuridica, quanto nella ricchezza commerciale. Chi conosca Bernardo, conosce un’intera epoca: l’epoca di un Rinascimento, meno celebrato ma non meno rilevante di quello fiorentino; per dirla con le parole del titolo dello studio più noto del grandissimo Charles Homer Haskins (The Renaissance of the Twelfth Century, 1927). Chi conosca Bernardo, soprattutto, ne conosce l’impeto nelle questioni fede, lo zelo riformatore nel monachesimo, l’impegno per la propagazione della cristianità. Ne conosce il carattere forte e persino duro; un carattere rude e risoluto. Questo Bernardo è lo stesso che ha scritto un’opera incomparabile per profondità spirituale e per eleganza stilistica, un’opera che canta dell’amore di Dio per l’uomo e dell’uomo per Dio.

Ci riferiamo agli 85 sermoni sul Cantico dei Cantici (l’86° non concluso, essendo venuto alla morte Bernardo prima della sua redazione definitiva) che hanno avuto nei secoli medievali una fortuna grandissima; come risulta dal numero elevatissimo dei manoscritti che ne tramandano il testo. Ma di cosa parlano questi sermoni, dedicati ad un libro biblico recentemente salito alla ribalta di un festival canoro, ad opera di un regista e comico assai celebre? Perché Bernardo è stato attratto da questo libro?

La risposta parrà banale; ma non ne vediamo altre degne di esser prese in considerazione. Bernardo si preoccupa di commentare questo libro dell’Antico Testamento – attraverso la forma dei sermoni tenuti alla comunità dei monaci e poi rielaborati in vista della loro pubblicazione, grazie all’opera di solerti segretari – perché il Cantico dei Cantici parla dell’amore. Se accade che Bernardo si interessi al Cantico, è perché l’amore pare a Bernardo il modo corretto di descrivere il rapporto che stringe l’anima a Dio; dal momento che Dio in primo luogo si è stretto all’uomo, venendo incontro alla sua solitudine e alla sua desolazione. Dio ama l’uomo, l’uomo ri-ama Dio: e il Cantico dei Cantici diventa l’epopea amorosa dell’anima e del suo Dio.sermoni-sul-cantico-dei-cantici

In questo, non v’è dubbio, Bernardo si fece erede di una tradizione interpretativa del libro biblico che intendeva le parole del Cantico come espressione di un amore umano, che si apre di per sé a raccontare anche l’amore umano-divino. La via precisa, specifica di questa applicazione spirituale del Cantico è la lettura tropologica della sposa e dello sposo, come rappresentanti l’anima e il suo Dio. In particolare, così facendo Bernardo si faceva erede di una tradizione i cui rappresentanti più autorevoli si direbbero Gregorio Magno e Origene. Eppure, in Bernardo questa interpretazione è più che una semplice ripetizione di interpretazioni e di letture spirituali del Cantico che derivava dalla storia. Come accadrà per il suo amico Guglielmo di Saint-Thierry e per il suo segretario Goffredo di Auxerre (entrambi, tra l’altro, agiografi dell’abate di Clairvaux), per Bernardo la lettura che propone del libro biblico è come l’architrave del suo stesso pensiero.

Vale a dire che si sbaglierebbe colui che pensasse che in fondo il nostro abate avrebbe recuperato il commento omiletico al Cantico come semplice emulazione di grandi autori del passato, dal momento che l’interesse per tale libro è il segno di un’intera epoca della mistica cristiana; l’epoca che tematizza Dio come Amore, che si comunica per Amore e come Amore. Ora, parlare di un Dio che si comunica per Amore e che chiede che l’uomo risponda allo stesso modo, significa aver a che fare con un Dio che si appella alla libertà dell’uomo: Dio liberamente ama l’uomo e liberamente chiede che l’uomo lo ri-ami, perché amore e libertà sono della stessa pasta.

Quanto ha influito l’idea di Dio come Amore che si comunica liberamente all’uomo secondo ciò che narra il Cantico interpretato spiritualmente, sull’idea moderna di uomo, segnato dalla libertà e dalla responsabilità? Chi abbia mai frequentato Bernardo e il suo secolo, saprà che vi sono studi che hanno mostrato singolari addentellati tra la mistica cisterciense e l’amor cortese dei trobadori e delle loro mille poesie amorose. A noi, qui, basta aver posto la questione.

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Francesco Vermigli

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