Il sinodo sull’Amazzonia e la Chiesa di sempre

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Sinodo amazzoniadi Mario Alexis Portella G. K. Chesterton una volta disse: “Il cristianesimo è stato dichiarato morto infinite volte. Ma, alla fine, è sempre risorto, perché è fondato sulla fede in un Dio che conosce bene la strada per uscire dal sepolcro”. Ovviamente, l’aforismo dell’anglicano convertito cattolico si riferiva alle persecuzioni e tragedie spinte dall’odio contro il cattolicesimo, nonostante le eresie e gli scismi subiti e superati nella storia dalla Santa Madre Chiesa Cattolica.

Non c’è dubbio che, sia da parte del comunismo sia nel buio morale nella società globale, la Chiesa non è stata mai attaccata tanto quanto in questi periodi, a causa di alcuni membri della gerarchia cattolica durante il Sinodo Speciale dei Vescovi sull’Amazonia convocato da Papa Francesco l’ottobre scorso. Il tema per il suddetto sinodo per la regione Panamazzonica—Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname, Venezuela ed il territorio della Guyana francese—era quello di trovare nuove vie per l’evangelizzazione di quella porzione del popolo di Dio, in particolare le persone indigene, spesso dimenticate e senza la prospettiva di un futuro sereno, anche a causa della crisi della foresta amazzonica, polmone di fondamentale importanza per il nostro pianeta.

Ma quello che i progressisti della Chiesa—il presidente “scadente” della Conferenza dei vescovi tedeschi, il cardinale Reinhard Marx e l’Arcivescovo-Emerito di San Paolo (Brasile), Cláudio Hummes, O.F.M.—scelto da Francesco per guidare il sinodo—volevano sottilmente fare era eliminare il celibato clericale e istituire il Diaconato femminile. Se la Chiesa avesse scelto secondo tali suggerimenti, il ruolo del sacerdote come il mediatore tra Dio e l’uomo sarebbe stato ridotto a un funzionario della “chiesa-aziendale”. Di conseguenza, l’atto redentrice del sacrificio della Messa che il prete celebra sarebbe stato diminuito a una cerimonia socio-culturale.

L’argomento per respingere il celibato clericale, nonostante la sua lunga tradizione, fu suggerito a causa della mancanza di sacerdoti in Amazzonia; i sostenitori hanno sostenuto che il celibato potrebbe essere parzialmente abolito poiché non è un dogma della Chiesa ma una disciplina canonica. Certo, è quella stessa disciplina che aiuta il sacerdote ad apprezzare e vivere il Sacramento degli Ordini Sacri. Marx, Hummes e altri erano convinti che a causa della carenza di vocazioni, tale crisi poteva spingere il sacerdozio nubendusin realtà, non c’è una crisi vocazionale perché Nostro Signore continua a chiamare gli uomini al Suo ministero; il problema è la mancanza di risposta a causa degli insegnamenti tiepidi di pastori e dello scarso discernimento dei superiori del seminario che hanno sottovalutato la necessità di vivere il Vangelo, i sacramenti e di far progredire l’istituzione della famiglia.

"per noi sacerdoti il celibato è un dono"

“per noi sacerdoti il celibato è un dono”

Nella loro illusione, il papa poteva in modo “gesuitico” dare ampio spazio per proporre tale opinione—il Santo Padre sembra avergli dato una corda con cui impiccarsi quando nella sua Esortazione apostolica post-sinodale, Querida Amazonia, ha mantenuto il celibato clericale e il Diaconato maschile: Hummes non si è presentato all’evento della pubblicazione dell’esortazione e Marx si è dimesso come capo dei vescovi tedeschi il giorno dopo.

Papa Bergoglio è stato subito criticato dalla parte progressista della Chiesa. Ciò è dimostrato dal Comitato centrale dei cattolici tedeschi, un gruppo di laici scelti dai vescovi per accompagnarli nel loro “viaggio sinodale”; essi hanno cinicamente dichiarato il loro disagio che a papa Francesco mancasse “il coraggio di attuare vere riforme sulle questioni della consacrazione degli uomini sposati e le capacità liturgiche delle donne”. Loro avrebbero dovuto conoscere a posizione del Pontefice Romano sul celibato quando citò Paolo VI dicendo: «Mi viene alla mente una frase di San Paolo VI: ‘Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato’». E aggiungeva: «Personalmente penso che il celibato sia un dono per la Chiesa. Io non sono d’accordo di permettere il celibato opzionale, no».

Nel documento troviamo la più chiara intuizione della mentalità del Romano Pontefice sulla carenza di vocazioni: Nelle circostanze specifiche dell’Amazzonia, specialmente nelle sue foreste e luoghi più remoti, occorre trovare un modo per assicurare il ministero sacerdotale…. [i popoli dell’Amazzonia] hanno bisogno della celebrazione dell’Eucaristia, perché essa «fa la Chiesa». Questa pressante necessità mi porta ad esortare tutti i Vescovi, in particolare quelli dell’America Latina, non solo a promuovere la preghiera per le vocazioni sacerdotali, ma anche a essere più generosi, orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l’Amazzonia.

Il cardinale Gerhard Müller ha affermato che la Querida Amazzonia di Francesco è una “lettera pastorale di potere profetico”, che potrebbe aver un “effetto riconciliante di riduzione delle fazioni interne della Chiesa, fissazioni ideologiche e pericolo di emigrazioni interiori o una resistenza aperta”. Personalmente credo che nel tempo la Querida Amazzonia sarà vista come l’enciclica Humanae Vitae di San Paolo VI—essa ha riaffermato l’insegnamento della Chiesa cattolica sul matrimonio, la paternità responsabile e l’illiceità dei metodi artificiali per la regolazione della natalità.

La Chiesa, di nuovo, ha corso un pericolo e di nuovo l’ha superato. E questo perché la Chiesa è divina. Non dimentichiamo le parole del Signore come scrisse San Matteo, dopo che San Pietro confessò la divinità di Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa».

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Mario Alexis Portella

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