A proposito dell’Istruzione “Ad resurgendum cum Christo” circa la sepoltura dei defunti e la conservazione delle ceneri in caso di cremazione

istruzione-ad-resurgendum-cum-ch-660x330di Gianni Cioli • L’Istruzione della Congregazione per la Dottrina della Fede “Ad resurgendum cum Christo” circa la sepoltura dei defunti e la conservazione delle ceneri in caso di cremazione è stata probabilmente sollecitata dalla Conferenza episcopale italiana che si è trovata ad affrontare questioni inedite (per il contesto italiano) sollevate dalle nuove prassi funerarie permesse dalla legge civile che, a partire dal 2001, prevede in Italia la possibilità di conservare a casa o di disperdere nell’ambiente le ceneri dei defunti dopo cremazione.

Nel 2011 i vescovi italiani hanno pubblicato una nuova edizione del Rito delle esequie che contiene, tra l’altro, un’articolata appendice dedicata alle esequie in caso di cremazione. Contestualmente all’approvazione del nuovo rito i vescovi avevano affrontato e dibattuto la questione se negare o no le esequie ecclesiastiche in caso di disposta dispersione o conservazione domestica delle ceneri. L’opzione di omettere ogni riferimento (presente invece in un precedente Sussidio) alla privazione delle esequie nella redazione finale del Rito lascia a mio avviso intendere la volontà dei vescovi italiani di evitare ogni automatica e identificazione fra la scelta dello spargimento (o della conservazione in casa) delle ceneri e una deliberata convinzione contraria la fede.

L’odierno intervento della Congregazione intende evidentemente fornire una parola autorevole sulla questione riaffermando «le ragioni dottrinali e pastorali per la preferenza della sepoltura dei corpi» e offrendo alcune «norme per quanto riguarda la conservazione delle ceneri nel caso della cremazione». Il documento contiene, con qualche novità, una sostanziale conferma di quanto la Chiesa ha sostenuto in proposito a partire dall’Istruzione Piam et constantem del 5 luglio 1963.

L’istruzione Ad resurgendum cum Christo riafferma che l’inumazione, ovvero la sepoltura in terra (ma si deve intendere anche la tumulazione, ovvero la collocazione della salma in un sepolcro in muratura) è la forma più idonea per esprimere la fede e la speranza nella risurrezione corporale: «Seppellendo i corpi dei fedeli defunti, la Chiesa conferma la fede nella risurrezione della carne, e intende mettere in rilievo l’alta dignità del corpo umano come parte integrante della persona della quale il corpo condivide la storia. Non può permettere, quindi, atteggiamenti e riti che coinvolgono concezioni errate della morte, ritenuta sia come l’annullamento definitivo della persona, sia come il momento della sua fusione con la Madre natura o con l’universo, sia come una tappa nel processo della re–incarnazione, sia come la liberazione definitiva della “prigione” del corpo». Tuttavia, «laddove ragioni di tipo igienico, economico o sociale portino a scegliere la cremazione, […] la Chiesa non scorge ragioni dottrinali per impedire tale prassi» e quindi la cremazione non è vietata, «a meno che questa non sia stata scelta per ragioni contrarie alla dottrina cristiana».

In continuità con quanto indicato da numerose Conferenze episcopali e dalla Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, (Direttorio su pietà popolare e liturgia. Principi e orientamenti, n. 254, 214-215), l’Istruzione afferma che «la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica non è consentita»; si aggiunge però che «in caso di circostanze gravi ed eccezionali, dipendenti da condizioni culturali di carattere locale, l’Ordinario, in accordo con la Conferenza Episcopale o il Sinodo dei Vescovi delle Chiese Orientali, può concedere il permesso per la conservazione delle ceneri nell’abitazione domestica». Questo può risultare per certi versi una novità, ma per altri può apparire in continuità e analogia con l’usanza, peraltro rara e legata a privilegi o consuetudini, di seppellire in cappelle private collegate ad abitazioni.

Insomma, di norma le ceneri andrebbero conservate al cimitero.

Più assoluto, ma in continuità con le indicazioni di numerose conferenze episcopali, appare il rifiuto della prassi di disperdere le ceneri. L’Istruzione affronta anche, sempre con un netto rifiuto, il caso della possibile trasformazione delle ceneri dei defunti in diamanti tramite particolari tecnologie: «Per evitare ogni tipo di equivoco panteista, naturalista o nichilista, non sia permessa la dispersione delle ceneri nell’aria, in terra o in acqua o in altro modo oppure la conversione delle ceneri cremate in ricordi commemorativi, in pezzi di gioielleria o in altri oggetti, tenendo presente che per tali modi di procedere non possono essere addotte le ragioni igieniche, sociali o economiche che possono motivare la scelta della cremazione».

Nella conclusione il documento afferma che «nel caso che il defunto avesse notoriamente disposto la cremazione e la dispersione in natura delle proprie ceneri per ragioni contrarie alla fede cristiana, si devono negare le esequie, a norma del diritto (CIC, can. 1184; CCEO, can. 876, § 3)». In realtà non s’intende qui affatto sostenere alcuna automatica identificazione fra la scelta dello spargimento delle ceneri e una deliberata convinzione contraria alla fede, ma, in linea con le direttive del diritto canonico, s’invita a discernere e a prendere atto dei casi in cui la scelta della cremazione derivi da un effettivo rifiuto della fede cristiana. L’avverbio “notoriamente”, impiegato dall’Istruzione, implica che se le ragioni non sono palesi, ossia non dichiarate per iscritto o fatte presenti a qualcuno che possa riportarle con certezza, il presumere che la scelta della dispersione delle ceneri sia necessariamente contro la fede cristiana comporta il rischio evidente di operare un “processo alle intenzioni”. Dunque, non in ogni caso di disposta dispersione delle ceneri si dovrà negare la sepoltura ecclesiastica, ma si dovrà invece discernere consapevoli che in dubio pro reo.

Può forse essere di qualche utilità per comprendere meglio il senso dell’ultima affermazione del documento e per la sua applicazione pastorale riportare una considerazione già proposta tempo fa in un mio scritto: «Il rispetto della dignità del defunto, anche se ciò dovesse risultare in contrasto con la richiesta dei congiunti, comporta la necessità di evitare le esequie religiose se questi avesse manifestato e conservato fino al trapasso una chiara opposizione alla fede cristiana. È dunque legittimo chiedersi se un’eventuale richiesta in contrasto con il sentire della chiesa volesse essere effettivamente un rifiuto della visione escatologica cristiana e, in definitiva, della fede. Tuttavia, nel cercare di capire, sarà necessario avere somma cura nell’evitare di dare l’impressione di un atteggiamento inquisitorio, inopportuno e particolarmente odioso in una situazione di lutto, e nel trasmettere invece il senso del massimo rispetto nei confronti della coscienza del defunto. Difatti, se apparisse un palese contrasto fra la celebrazione del funerale in chiesa e le ultime volontà del defunto, o comunque con la coerenza delle convinzioni manifestate in vita, i congiunti andrebbero aiutati ad accettarne la decisione in un dialogo rispettoso del vero e orientato al conforto. Dal colloquio dovrebbe emergere che un rifiuto delle esequie ecclesiastiche non esclude dalla divina misericordia coloro di cui solo Dio ha “conosciuto la fede”, e non ostacola l’impegno a pregare per il defunto anche con celebrazioni eucaristiche successive al funerale» (G. Cioli, Polvere. Cremazione e dispersione delle ceneri negli orientamenti della Chiesa cattolica, Bologna 2014, pp. 27-28)