La protesta per l’omicidio di Kashoggi: una giustizia parziale

560 315 Mario Alexis Portella
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bin-salman-khashoggi-1068862di Mario Alexis Portella • L’omicidio misterioso del giornalista saudita Jamaal Khashoggi all’interno del consolato dell’Arabia Saudita a Istanbul, all’inizio di questo ottobre, è stato classificato come “il reato dell’anno”. Tutti additano il principe Mohammad bin Salman (MBS) — il leader effettivo del regno saudita — quale responsabile di questo atto. Nonostante la sua netta smentita, molti capi di governi hanno affermato che si devono prender provvedimenti severi come contro i sauditi, comprese sanzioni economiche. Essi ritengono che l’assassinio di Khashoggi sia stato una violazione della democrazia. Anzi, la vittima è stata dichiarato “martire” della giustizia.

Ci sono due punti, però, su cui riflettere in questo evento. Primo, Khashoggi, pur avendo il permesso di risiedere in America, non era un fautore della democrazia. Secondo, mentre la reazione da parte di politici e leader mondiali, favorevoli alla rappresaglia contro l’Arabia Saudita, è comprensibile, è incomprensibile e condannabile il loro silenzio sulle decapitazioni pubbliche e sulle violazioni dei diritti umani nel regno saudita, per non parlare dell’indifferenza innanzi alle persecuzioni contro i cristiani e alle violenze cui sono sottoposte le donne.

Ci si chiede perché Khashoggi, a livello internazionale sia visto come un eroe della libertà umana. Forse perché MBS, come suo padre, non tollera nessun critica all’operato del suo governo. Tanti uomini che hanno lottato a viso aperto per realizzare una società aperta in quel regno sono in prigione; anche le donne che hanno lottato per il diritto di guidare le macchine. Khashoggi, infatti, era un critico noto del regime mentre abitava in Arabia Saudita e, per questa sua battaglia, si è trasferito un anno fa negli Stati Uniti dove poteva tranquillamente svolgere la sua attività di denuncia del regime satrapico. Non c’è bisogno di un genio per farci comprendere che il suo omicidio non è stato premeditato dal governo saudita. Ciò detto, si deve osservare che le posizioni di Khasoggi non concordavano con quelle che sono alla base di una società aperta come quella degli Stati Uniti. In un articolo, per esempio, sul Washington Post il 28 agosto di questo anno, lui ha fortemente criticato l’opposizione dell’America all’organizzazione terroristica la Fratellanza Musulmana:<<L’avversione degli Stati Uniti alla Fratellanza Musulmana, che è più evidente nell’attuale amministrazione di Trump, è la radice di tutte le sfortune nel mondo arabo. Lo sradicamento dei Fratelli Musulmani non è altro che un’abolizione della democrazia e una garanzia che gli arabi continueranno a vivere sotto regimi autoritari e corrotti>>.

In altre parole, proprio come Mohammed Morsi dichiarò il 23 giugno 2012 — quando era il candidato della Fratellanza alla presidenza dell’Egitto — davanti agli studenti dell’Università del Cairo: <<Il Corano è la nostra costituzione, il Profeta è il nostro leader, il jihad è la nostra strada e la morte nel nome di Allah è il nostro obiettivo >>. L’appoggio di Khashoggi alla Fratellanza non lo distingue affatto dalla politica draconiana della famiglia reale saudita.

Tutti noi abbiamo il diritto di esprimere le nostre opinioni. Ma, come è stato dimostrato, egli era un gran sostenitore della sharia: la legge islamica che si basa sulla disuguaglianza tra musulmani e non musulmani e tra uomo e donna. Anzi, Khashoggi ha pubblicamente manifestato il suo affetto per i nemici dell’umanità, come Osama bin Laden. Questa non è libertà di espressione, ma piuttosto un abuso di essa.

Tutto questo, però, non giustifica il suo omicidio, e la smentita del principe saudita, con le coperture di cui ha usufruito, è vergognosa, e persino ridicola. Tuttavia, è doveroso domandare: quando s’è levata la protesta pubblica dei nostri politici nei confronti degli atroci abusi del regime dell’Arabia Saudita, come la soppressione della libertà religiosa o la sottomissione delle donne agli uomini? E sorvolo sugli atteggiamenti di altri governi che commettono gli stessi crimini, come quelli perpetrati dal presidente nigeriano Buhari, che massacra i cristiani, pur godendo dell’appoggio del Presidente Trump che gli consente di acquistare armi dall’America. E quali sono le sanzioni contro il Pakistan per aver condannato a morte per blasfemia Asia Bibi, il cui crimine consisteva nel discutere con un gruppo di donne che si rifiutavano di bere l’acqua che lei offriva loro giacché il suo esser cristiana rendeva l’acqua impura? Naturalmente, gli Stati Uniti e l’Ue non possono sorvegliare il mondo, tuttavia tendono a perseguire i loro interessi, i guadagni economici prevalgono sulla difesa delle popolazioni o di parti di popolazioni oppresse. La giustizia dovrebbe essere imparziale, e non selettiva. In modo particolare, l’America ha storicamente dimostrato di aver guadagnato il titolo di Leader del mondo libero. Se gli Stati Uniti non prendono atto di certe situazioni e non intervengono per sanarle, chi lo farà? Indubbiamente, l’Ue pratica la realpolitik — la politica basata su di una concreta pragmaticità, rifuggendo da ogni premessa ideologica o morale — propria del governo statunitense. Proviamo a ricordare ai nostri politici che il diritto alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità è un diritto per tutti e dovrebbe essere salvaguardato prima di qualunque interesse privato.

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Mario Alexis Portella

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