Il dilemma della non-assimilazione degli immigrati e la perdita dell’identità nazionale

050614477-7a9a5671-6a12-4b7f-8128-39ce6c3828d7di Mario Alexis Portella • Quando gli immigrati ed i profughi arrivavano in barca negli Stati Uniti d’America alle fine del ‘800 e all’inizio del ‘900, vedevano, entrando nel porto di New York, la Statua della Libertà che li accoglieva. All’interno del piedistallo c’è una targa con le parole, che ripresenta lo spirito del popolo americano: “Dammi i tuoi stanchi, i tuoi poveri, le tue masse affollate che desiderano respirare liberamente”. Oggi, però, l’atteggiamento degli Usa nei confronti dei nuovi arrivati è cambiato. Anzi, a partire degli anni ‘70, il popolo americano, come anche i popoli europei occidentali, ha manifestato una sempre più viva preoccupazione per l’evidente metamorfosi della natura e dei tipi di immigrazione, che reputano una minaccia all’identità nazionale.

    L’immigrazione su larga scala (combinata con una bassa fertilità nativa) sta trasformando la composizione etnica dell’Occidente. Il cambiamento è drammatico: in Canada, per esempio, i bianchi che componevano l’86% della popolazione, secondo le previsioni, nel 2106 saranno ridotti al 20%. Si prevede che gli Stati Uniti e l’Europa occidentale si troveranno di fronte a trasformazioni simili, anche se meno drammatiche. Naturalmente, c’è il problema dei costi del mantenimento degli immigrati e profughi, che non tutti possono essere accolti —ma questo è un problema a sé. Il dilemma accoglienza – respingimento non è tanto economico quanto sociopolitico, specificamente consiste nella non-assimilazione dei nuovi arrivati nella nostra società.

   Il presidente statunitense Donald Trump, quando propose di costruire un muro attraverso il territorio al confine col Messico per bloccare l’immigrazione illegale, e contestualmente stabilì una restrizione all’emigrazione negli Stati Uniti da diversi paesi islamici mediorientali, fu criticato dalla maggior parte dei governi mondiali e da alcuni alti esponenti della gerarchia cattolica, i quali lo additarono come un nazionalista e un razzista. Altri politici, come Matteo Salvini in Italia e Viktor Orban in Ungheria, hanno perseguito la stessa politica, subendo anch’essi le medesime aspre critiche.

    E’ da ricordare che questa politica iniziò coi presidenti Bill Clinton e Barak Hussein Obama. Anzi, la “chiusura” dei confini agli immigrati e profughi non è una novità; è sempre stata una strategia per difendere la sicurezza e la cultura della società. Già in un passato remoto, ad esempio, l’imperatore romano Adriano, nel 122 d.C., ordinò ai suoi soldati che si trovavano in Bretagna di costruire un muro di confine — il “Vallo di Adriano”, la cui costruzione durò cinque anni —per separare l’attuale Scozia dal “mondo civile”, cioè per proteggere il territorio romano ed impedire ai barbari di entrarvi. Adriano voleva mantenere la pace. Di conseguenza, egli arrivò alla conclusione che gli scozzesi non erano capaci di assimilarsi alla pax romana.

    Il giudice della Corte Suprema Americana, Louis D. Brandeis, figlio di immigrati ebrei, disse in un discorso del 1915 sul “Vero americanismo” che gli immigrati avevano bisogno di fare molto più che imparare l’inglese e le buone maniere. Piuttosto, sosteneva, “devono essere aiutati ad armonizzarsi completamente con i nostri ideali e le nostre aspirazioni”. Questo era un pensiero diffuso. Ma la volontà d’integrarsi manca alla stragrande maggioranza dei nuovi arrivati, particolarmente a coloro che provengono dagli stati islamici.

    Per molti occidentali, l’emigrazione e l’insediamento di musulmani provenienti da oltre settanta nazioni minaccia di rimodellare la composizione etnica e religiosa del loro stato-nazione, la loro tradizione democratico-capitalistica e i loro valori sociali. Indubbiamente, ci sono tanti immigrati che fuggono dalle norme draconiane della sharia nella speranza di crearsi una nuova e dignitosa vita. E costoro abbiamo il dovere di aiutarli. Ma altri emigrano dai loro paesi a causa della dottrina della Hijra (basata sull’emigrazione di Maometto a Medina dalla Mecca nel 622); essi sentono il dovere di lasciare (o sono costretti a lasciare) la loro patria per diffondere il regno di Allah su questa terra anche con la lotta armata. Secondo Aisha, la terza moglie del Profeta, “Quando al messaggero di Allah è stato chiesto sull’immigrazione, egli risponde: << Non c’è più bisogno dopo la conquista della Mecca, ma solo per fare jihad (guerra santa) e con intenzione sincera, quando ti chiedono di emigrare per la causa dell’Islam, va’ >>. (Sahih Muslim, Libro 20, hadith 4599).

    In Europa è stato fatto un sondaggio per conoscere l’entità del sostegno popolare ad una politica restrittiva dell’immigrazione. Con sorpresa di molti, otto dei dieci paesi interessati hanno dimostrato che più della metà dei cittadini è favorevole alla restrizione di un’ulteriore immigrazione musulmana in Europa. I due paesi che non hanno ottenuto la maggioranza a favore di tale politica sono la Spagna e l’Inghilterra, con “solo” il 41% e il 47% rispettivamente (il sondaggio è stato condotto a febbraio 2018, prima che entrambi i paesi fossero devastati dagli ultimi attacchi terroristici islamici, il che può consentirci di supporre che queste percentuali potrebbero subire qualche cambiamento).

  In America ed in Europa la reazione e la ricerca della soluzione al problema immigrazione si configura in quella che Geert Wilders, leader del “Partito per la libertà” (PVV) dell’Olanda, chiama la “Primavera patriottica”, cioè un’ondata di nazionalismo: gli europei chiedono un rallentamento e possibilmente una totale chiusura all’immigrazione e una “de-islamizzazione” del continente, giacché è innegabile il radicamento della religione islamica assieme alla sua influenza in campo politico e sociale, data l’inscindibilità, nell’Islam, di religione e potere politico. Né meno preoccupante appare l’incremento demografico musulmano nell’intero continente. In Germania, il partito della Merkel ha subito una sconfitta imbarazzante a causa, ma non solo, dell’attuazione della “politica delle frontiere aperte”. Ciò ha permesso all’estrema destra politica del paese di essere presente nel Parlamento, per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale. La Polonia ha annunciato nell’ agosto di quest’anno che è disposta ad accogliere i migranti provenienti dall’Europa, ma non dal Medio Oriente o dall’Africa. Witold Waszckkowski del Partito Legge e Ordine della Polonia ha dichiarato: << La Polonia è aperta alle migrazioni dall’Europa, dalla Bielorussia e dai Balcani, semplicemente non vogliamo partecipare al processo obbligatorio di reintegrazione dei migranti dall’Africa e dal Medio Oriente>> .

    Mentre le preoccupazioni dei popoli occidentali sono ben motivate, gli attuali detentori del potere, partiti e uomini, non presentano programmi solidi per affrontare e risolvere il problema dell’immigrazione. Ad esempio, i governanti ed i cittadini non riescono a comprendere che alla base di questo problema ci sono anche aberranti politiche, e mi riferisco a quelle che promuovono aborto, diffusione di mezzi anticoncezionali artificiali, unioni omossessuali, individualismo, ecc., che hanno contribuito a un crollo demografico, fino al punto che non siamo più capaci di difendere i nostri diritti naturali. Anzi, queste scelte politiche dovrebbero indurci a capire il perché del rifiuto dei musulmani di assimilarsi a questa società. Infine è importante notare che, a causa del buio morale in cui è crollato l’Occidente, non soltanto stiamo creando una sempre più profonda dicotomia con coloro che non vogliono integrarsi, ma addirittura ci stiamo passo dopo passo assimilando a loro.