La chiesa ortodossa ucraina e l’autocefalia tra storia, politica e teologia

290 453 Dario Chiapetti
  • 1

downloaddi Dario Chiapetti • Il 7 settembre scorso, la Delegazione Permanente del patriarcato ecumenico presso il Consiglio Ecumenico delle Chiese, mediante una dichiarazione apparsa sul suo sito web, ha dato notizia della nomina da parte del patriarcato di Costantinopoli di due esarchi per il patriarcato di Kiev: Ilarion di Edmonton, trasferito dal Canada, e Daniel di Pamphilon, proveniente dagli Stati Uniti. È questo un atto importante del processo che vuole portare la chiesa ortodossa ucraina alla piena autocefalia. Tale notizia è stata male accolta dal patriarcato di Mosca che in una nota sul sito ufficiale, mospat.ru, denuncia la legittimità del diritto di nominare esarchi nel territorio canonico del patriarcato di Mosca senza un accordo con il suo patriarca Kirill nonché col metropolita Onufry di Kiev.

Tale situazione che rischia di creare, a detta di molti, un vero e proprio scisma non è certo di facile risoluzione. La situazione della chiesa ortodossa ucraina è estremamente complessa soprattutto se si considerano gli intrecci con la realtà politica, sia di casa propria che del patriarcato di Mosca, attore protagonista, insieme anche al patriarcato di Costantinopoli, di questa vicenda.

In queste poche righe cerco di presentare i termini generali della suddetta questione e procedo in questo intento focalizzando questi attraverso tre aspetti: quello storico, quello politico e quello teologico, che ritengo essere primario.

Innanzitutto, qualche dato storico. La vita della chiesa in Ucraina nasce legata al centro di Kiev al tempo del principe Vladimir il Grande (988). Con l’espansione del regno e il rafforzamento di Mosca, una parte della chiesa si staccò da Kiev e si proclamò autocefala come patriarcato di Mosca (1448). La chiesa di Kiev fu presto subordinata a quella di Mosca (1678) e allo Stato russo (1986). La chiesa ucraina tentò più volte di rendersi autonoma, come dopo le due guerre mondiali, ma senza riuscirvi. Sorsero varie chiese ortodosse con la caduta del governo sovietico e la conseguente ricostituzione della repubblica autonoma ucraina. Venendo ai giorni nostri, esistono attualmente tre chiese ortodosse ucraine. La chiesa ortodossa ucraina autocefala nata nel 1921 (dalla storia non facile, rinata sia nel 1942 che nel 1990), la più piccola per numero di fedeli; quella costituita nel 1990 e sotto la giurisdizione ecclesiastica del patriarcato di Mosca ma autonoma, il cui status canonico è riconosciuto da tutta l’Ortodossia e che ha per primate con il metropolita di Kiev Onufry; quella del patriarcato di Kiev, autoproclamata autocefala nel 1992 dopo il rifiuto del patriarcato di Mosca di concedere l’autocefalia alla sua metropolia in Ucraina e con a capo il patriarca di Kiev e di tutta l’Ucraina Filarete, ma non riconosciuta tale dalla comunione delle chiese ortodosse, anzi, ritenuta scismatica da Mosca.

Vengo all’aspetto della commistione tra politica e chiesa. Il patriarcato di Kiev sta sviluppando sempre più la fisionomia di chiesa ortodossa nazionale. Fenomeno, quello della chiesa nazionale – ossia della coincidenza nel carattere identitario di una nazione o di una chiesa dell’aspetto religioso e nazionale in forza della stretta intesa tra la leadership politica e religiosa – conosciuto molto bene già in Russia. Osserva il metropolita russo Hilarion Alfeyev, portavoce del patriarcato di Mosca, in un’intervista on-line a Romfea, agenzia d’informazione ecclesiale, che tre sono i sostenitori del progetto di una chiesa ucraina autocefala, ossia, il patriarcato di Kiev, i greco-cattolici ucraini e il presidente ucraino Petro Poroshenko che, in effetti, nei mesi scorsi ha chiesto al patriarca ecumenico Bartolomeo I di autorizzare l’autocefalia della chiesa ortodossa ucraina. La motivazione addotta da Poroshenko è quella della convinzione che una tale operazione porrebbe termine allo scisma tra chiesa dipendente da Mosca e quella del patriarcato di Kiev e permetterebbe la costituzione di una chiesa che – come ancora lo stesso presidente ucraino ha affermato in un’intervista tv – non deve chiedere «a Putin o a Kirill su come pregare, dove andare e come vivere». Quella della chiesa ortodossa ucraina (ma anche della chiesa cattolica ucraina di rito orientale) verso la chiesa ortodossa russa è un’insofferenza di cui vengono presentate ben precise motivazioni, che consistono nell’appoggio da parte di quest’ultima alla politica nazionale russa: l’annessione della Crimea da parte di Putin nonché l’occupazione di parte dell’Ucraina orientale.

Ad ogni modo – e arrivo all’aspetto della teologia – lo scorso 31 agosto Kirill ha incontrato Bartolomeo a Costantinopoli, colui al quale spetta tradizionalmente ogni concessone di autocefalia. In tale incontro il patriarca ecumenico ha puntato sulla legittimazione di tale intervento per motivi storici – prontamente contestati da Hilarion – secondo cui l’incorporazione della metropolia di Kiev sotto il patriarcato di Mosca – la quale prima dipendeva dal patriarcato di Costantinopoli – quando fu disposta canonicamente (1685) lo fu solo in forma temporanea. Inoltre, nell’ultima sinassi del patriarcato, Bartolomeo avrebbe affermato che spetta al patriarcato ecumenico il compito di ristabilire l’ecclesialità e la canonicità della chiesa ucraina proprio per il servizio alla comunione che il patriarcato di Costantinopoli ha ed è, sulla base dei «principi ecclesiologici e canonici incrollabili della Tradizione dei nostri Padri». Le suddette considerazioni storiche sono attribuite da Hilarion a Ioannis Zizioulas, metropolita di Pergamo nonché teologo autorevolissimo nel patriarcato. Ma anche la visione ecclesiologica generale sottesa alle affermazioni di Bartolomeo è attribuita allo stesso Zizioulas, questa volta dall’arciprete Andrey Novikov, membro della commissione teologica del patriarcato di Mosca, che in un’intervista rilasciata a Interfax, accusa di papismo orientale le affermazioni del patriarca ecumenico. L’influenza ziziouliana nella politica ecclesiastica di Costantinopoli arriverebbe così ad attestarsi sul ben più fondamentale e fondativo piano trinitario che, a partire dalla sua lettura ontologica della monarchia del Padre, basata soprattutto sul pensiero di Gregorio di Nazianzo, è portata all’evidenziazione del valore teologico dell’Uno per i Molti – quale loro principio di unità – in quanto Uno dei Molti – carattere ontologico (e di una primarietà ontologica) dell’alterità –. Il passaggio al piano ecclesiologico porta inevitabilmente alla comprensione e alla sottolineatura del carattere iconico-simbolico, in quanto ontologico-sacramentale, della figura del vescovo, del primate e finanche del papa quali l’Uno di Molti in quanto Uno di Molti.

Quanto ci sia di effettivo dell’influenza ziziouliana nella linea di Costantinopoli e quale sia la sua più corretta lettura richiede riflessioni ben più approfondite. Certamente impariamo dalla vicenda della chiesa ortodossa ucraina e della sua richiesta di autocefalia la complessità del mondo dell’Ortodossia, il quale sta vivendo un momento critico di grandi cambiamenti, curiosamente per certi aspetti simile a quello della chiesa cattolica latina, ma che, se studiato e compreso a fondo, permette di recuperare o raggiungere tesori teoretici-teologici da cui far procedere un rinnovato pensiero e così processi di conversione e indirizzi ecclesiali fino a quell’imprescindibile «che siano una sola cosa» (Gv 17,21).

image_pdfimage_print
Author

Dario Chiapetti

Tutte le storie di: Dario Chiapetti