La scappatoia dell’allegoria. Testi ed esigenze della ragione

419 500 Carlo Nardi
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Allegoria della Fede Jan Vermeer (1671 - 1674)

Allegoria della Fede
Jan Vermeer (1671 – 1674)

di Carlo Nardi • Le origini greche dell’allegoria paiono esprimere il criterio teologico di convenienza, secondo il quale il Padre eterno, a quei tempi alquanto pazzerellone, si trovò in pensamenti degni degli umani; e gli uomini a loro volta pensarono che, riguardo a Dio, si dovesse pensare e dire «ciò che gli si addice»: tò theoprepés, dal greco prépei, che corrisponde al latino decet, «ciò che è degno», in questo caso ovviamente «di Dio». Da quel criterio nacquero, con la filosofia, i presocratici per aprire una lunga storia che raggiunge anche noi.

Perché? Per i greci l’Iliade e l’Odissea, seppur non libri sacri, erano i testi costitutivi della loro identità. Nel sesto secolo a.C. un razionalismo anche morale induceva ad un ripensamento: parevano problematici i comportamenti crudeli e osceni degl’iddei capricciosi d’Omero. Gli esiti del razionalismo furono o l’ateismo – di per sé raro nell’antichità che sembra conoscere un unico ateo, Diagora – ed un enoteismo già implicito nella preminenza esiodea di Zeus riguardo agli altri dei. La filosofia greca sembra tendere – non di più né di meno – al monoteismo. Senofane criticava l’idolatria e il politeismo: «Se bovi, cavalli e leoni avessero le mani e sapessero dipingere e creare come gli uomini, certo si raffigurerebbero immagini di dei a somiglianza del proprio aspetto, ossia di cavalli i cavalli, di bovi i bovi». Invece la divinità, secondo lui, sarebbe puro «intelletto» (Fr. 13).

Eppure i greci non volevano rinunciare a quei canti, ormai fattisi testi. Sui libri omerici ed esiodei, inclusi i miti truculenti, si erano formati i giovani. Pertanto avevano due possibilità. La prima: rifiutare il racconto come tale. Tuttavia neppure Platone arriverà a un rifiuto assoluto. Persino Senofane, che in una elegia conviviale invitava a tralasciare canti di «lotte tra titani, giganti o centauri, tutte favole del tempo che fu, o contese fra città e città», raccomanda invece le tematiche che «rendono migliori» gli uomini (fr.1,19-24).

La seconda possibilità era l’interpretazione allegorica. Intanto miti strani e disumani erano irrinunciabili: per salvare l’affetto ad una tradizione consolidata e insieme rispettare le esigenze della ragione che assumeva il criterio teologico di convenienza (theoprepés), si ricorse all’allegoria. In parole povere Omero dice cose sconcertanti, ma al posto delle parole ‘normali’ se ne devono intendere altre, perché, sotto il senso immediatamente comprensibile, se ne cela uno recondito (hypónoia). Di qui, per esempio, l’interpretazione dell’Odissea, di per sé ritorno alla famiglia e alla patria, diventa una storia dell’anima. Invece di traversie o di un fausto ritorno a casa in carne ed ossa, ci darebbe, per così dire, un approdo a pensieri e intenti, adatti a loro volta per un mondo ulteriore, si direbbe per un aldilà.

I presupposti sono filosofici, quelli di un sistema a due piani. L’allegoria infatti si basa su due livelli, ma il primo è il meno interessante, importante, nobile: il sensibile e corporeo era ritenuto presente anche nella ‘lettera’ del testo così come suona. Il secondo è quello superiore, perché è nell’ambito dell’anima, che si apre alla ‘vera terra’, il mondo celeste e divino da decifrare mediante una interpretazione, detta ‘spirituale’ dei testi. Pertanto i due piani riguardavano l’uomo, il cosmo e il testo. Come l’uomo è corpo ed anima, e il mondo è materia e spirito, il testo è suscettibile di un’interpretazione letterale e di una spirituale. Ora, tra questi due livelli, l’allegoria mirava ad una spiritualità che oltrepassasse la lettera. Non per nulla ‘allegoria’ è appunto un «dire altro» (állo agoreúein), un «altro» rispetto alla lettura ed oltre al testo.

Tra questi è la proposta di Filone di Alessandria. Di formazione platonica, provava sconcerto di fronte a testi dell’Antico Testamento: se ne districava usando proprio quel metodo con cui i filosofi interpretavano i miti, in definitiva l’allegoria. Un esempio. Per Filone la Migrazione di Abramo è il progresso dell’anima. È già un esodo con quella che sarà la pasqua come passaggio, ‘trasferimento’ dal vizio alla virtù. Si capisce che un deciso allegorismo, come quello filoniano, tendeva a sottovalutare alquanto l’importanza del dato storico.

Filone d?Alessandria

Filone d?Alessandria

Invece Marcione – secondo secolo – si scandalizzava di quel che leggeva nell’Antico Testamento. Anche lui mosse dal razionalismo greco. Applicò il criterio di convenienza ai libri santi, ma il Dio del Vecchio Testamento gli risultò passionale, sanguinario, nazionalista. Interpretò il testo come appare. L’Antico Testamento gli risultò indegno del vero Dio, non attivò esegesi allegoriche e levò di mezzo quei libri, secondo lui, non divini: tutto l’Antico Testamento, ma anche quasi tutto il Nuovo. Difatti dalla sua espunzione salvava soltanto san Paolo e san Luca, ovviamente depurato del vangelo dell’infanzia. Figuriamoci se un Dio potesse crescere come tutti i marmocchi!

E mi fa pensare quello che mi raccontava mons. Andrea Drigani di una sua parrocchiana: “Antico Testamento? Ammazzamenti e porcherie!” Mi espressi con un languido sorriso. E invece c’è del vero e non poco. Ancora. Mi ricordo ragazzo. Il priore don Mauro, a Castello, mi chiese di dire insieme un po’ di breviario, quello vecchio. Nel mattutino leggevo sant’Agostino Sulla bugia. L’aulico latino al mysterium non mendacium mi si bloccò. Il mio parroco intervenne: “Bel discorso?” E di quei discorsi ce n’è a iosa. Mi ritrovo nell’assioma Quicquid recipitur, per modum recipientis recipitur «Tutto quello che si riceve, è ricevuto nel modo in cui lo si riceve» (san Tommaso d’Aquino), adatto non solo per l’idraulica, ma anche per l’interpretazione delle sacre Pagine: principio molto fluido, se c’è il padre Iefte uccisore della figlia tra i santi della Lettera agli Ebrei e lo stesso Iefte viene ritenuto folle e omicida. A questo punto però è la consapevolezza di un Vecchio Testamento sconcertante per le sue situazioni truculente, che qualcuno, meno male, ha commentato mediante la verità della ragione e la bontà del cuore: san Tommaso, Dante, Voltaire.

Ma che dico resie? Parce, Domine.

Dante sintetizzerà una lunga storia di interpretazioni, definendo implicitamente l’allegoria Ed anche il detto dantesco «e altro intende» (Paradiso iv,45), mentre tutta la … 

: «Per questo la Scrittura condescende / a vostra facultate e piedi e mano / attribuisce a Dio, e altro intende» (Paradiso iv,43-45); Ripensando su Dante, che parla di “condiscenzenza”, fa pensare a Giovanni Crisostomo, con qualche più che possibilità. Se ne parla perché.

è la decifrazione alessandrina di un senso recondito nella pagina biblica ascoso «sotto il velame de li segni strani», per dirla ancora col poeta (Inferno ix, 63).

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