Da Papa Giovanni XXIII a Papa Francesco l’invito a sperare nell’uomo

di Leonardo Salutati · Il prossimo 11 aprile ricorrerà il 60° anniversario dalla pubblicazione di Pacem in terris, l’enciclica di S.Giovanni XXIII «sulla pace fra tutte le genti», e papa Francesco ha preso spunto da questo anniversario per rivolgere il suo annuale discorso ai membri del Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede.

Alla luce del fatto sempre più evidente di essere in presenza di una «terza guerra mondiale di un mondo globalizzato, dove i conflitti interessano direttamente solo alcune aree del pianeta, ma nella sostanza coinvolgono tutti», Papa Francesco ha ricordato che la pace è possibile alla luce di quattro beni fondamentali: la verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà, capisaldi che regolano sia i rapporti fra i singoli esseri umani che quelli fra le comunità politiche.

Citando espressamente Pacem in terris ha sottolineato che costruire la pace nella verità significa anzitutto rispettare il «diritto all’esistenza e all’integrità fisica» (PT 6) di ogni persona, alla quale va garantita la «libertà nella ricerca del vero, nella manifestazione del pensiero e nella sua diffusione» (PT 7). Tali diritti richiedono che «i poteri pubblici contribuiscano positivamente alla creazione di un ambiente umano nel quale a tutti i membri del corpo sociale sia reso possibile e facilitato l’effettivo esercizio degli accennati diritti, come pure l’adempimento dei rispettivi doveri» (PT 38). Al riguardo Francesco denuncia però, che nonostante gli impegni assunti da tutti gli Stati a rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali di ogni persona, ancora oggi, in molti Paesi questo non succede, in particolare per le donne.

La promozione della giustizia e della libertà richiede che non si consenta «la lesione della libertà, dell’integrità e della sicurezza di altre nazioni, qualunque sia la loro estensione territoriale o la loro capacità di difesa» (PT 66) ma soprattutto, come più volte ribadito da tutti i precedenti Pontefici a cominciare da Pio XII, che si prenda finalmente atto del bisogno di un profondo ripensamento del sistema multilaterale (in particolare l’ONU), che «esige una riforma degli organi che ne consentono il funzionamento, affinché siano realmente rappresentativi delle necessità e delle sensibilità di tutti i popoli, evitando meccanismi che diano ad alcuni maggior peso a scapito di altri» (Francesco).

Già Pacem in terris ricordava che il «bene comune universale pone ora problemi a dimensioni mondiali che non possono essere adeguatamente affrontati e risolti» dai singoli stati, richiedendo strutture, mezzi e poteri pubblici «che siano in grado di operare in modo efficiente su piano mondiale» (PT 71); «dotati di mezzi idonei a perseguire efficacemente gli obiettivi» che ne costituiscono i contenuti concreti, «istituiti di comune accordo e non imposti con la forza», capaci «di operare efficacemente» con un’azione «informata a sincera ed effettiva imparzialità» per non divenire «strumento di interessi particolaristici» (PT 72).

La modalità per riorganizzare la vita internazionale dei singoli Stati proposta dall’enciclica giovannea e riproposta a suo tempo nuovamente da Caritas in veritate di Benedetto XVI (cf n. 57), richiede l’applicazione del principio di sussidiarietà nell’assetto della vita internazionale, in quanto consentirebbe ai «poteri pubblici della comunità mondiale (…) di contribuire alla creazione (…) di un ambiente nel quale i poteri pubblici delle singole comunità politiche (…) possano svolgere i loro compiti, adempiere i loro doveri, esercitare i loro diritti con maggiore sicurezza» (PT 74), senza limitare la loro sfera di azione o sostituirsi ad essi.

Il valore e l’utilità del principio di sussidiarietà diventa ancora più evidente di fronte alla profonda «interconnessione che lega oggi l’umanità», nella «consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri» (Francesco) e dunque dell’esercizio della solidarietà reciproca. Tra l’altro, la profonda interconnessione tra le comunità politiche richiede un’attenzione crescente alle nuove criticità prodotte dalle migrazioni, dalle gravi crisi nel mondo dell’economia e del lavoro, dalla necessità di una cura sempre più attenta e puntuale della nostra casa comune.

Alla luce di tutto questo Papa Francesco, con S.Giovanni XXIII, continua a sperare e invita a «sperare che gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità e abbiano pure a scoprire che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l’amore: il quale tende ad esprimersi nella collaborazione leale, multiforme, apportatrice di molti beni» (PT 67).