Henri de Lubac. Teologia, storia e santità

di Francesco Vermigli · Studiare teologia può far bene all’anima. È la prima impressione che si prende da una notizia passata un po’ in sordina alcune settimane fa. Pochi giorni prima di Pasqua, i vescovi francesi riuniti a Lourdes hanno dichiarato il loro voto favorevole all’apertura del processo di beatificazione di una delle figure più rilevanti del panorama teologico novecentesco: Henri de Lubac (1896-1991). E anche se questo non implica necesse che si giunga un giorno alla sua elevazione agli onori degli altari, questo solo fatto ci rasserena su un punto: che il mestiere del teologo vale ancora qualcosa nel cammino della santificazione. Del resto, questo accadrebbe secondo l’antichissimo esempio che ci viene dalla storia della Chiesa, quando la santità non era pensata malgré la teologia, ma la riflessione credente sul Mistero di Dio andava in simbiosi con una vita di fede autentica e profonda. L’elenco con i nomi dei Padri della Chiesa e dei grandi teologi medievali che hanno unito nella loro vita fede e intelletto, santità e teologia, occuperebbe molto spazio di questo articolo.

Gesuita nato a Cambrai nel nord della Francia, de Lubac visse una vita intensissima e anche piuttosto convulsa. La notizia che giunge dalla Francia, ci offre l’occasione per ripensare al significato che la sua teologia ha rivestito nello scorso secolo.

Un dato sembra opportuno sottolineare: il fatto, cioè, che la teologia di de Lubac appare incredibilmente connotata in chiave storica. Lo si vede in Catholicisme. Les aspects sociaux du dogme, sua prima grande opera. Ma lo si vede ancor di più nella fondazione della collana Sources Chrétiennes, assieme ad un altro grande teologo gesuita Jean Daniélou: questa collana che raccoglie fino ad oggi edizioni critiche degli scritti dei Padri, costituisce – assieme ai saggi che appartengono alla collana parallela Théologie – l’espressione di una scuola teologica tra le più rilevanti dello scorso secolo: quella raccolta attorno allo Scolasticato di Fourvière, sulla collina sopra il Rodano a Lione. Quella scuola, la teologia che quella scuola esprime, quelle pubblicazioni costituiranno il punto più alto di quel fenomeno che va sotto il nome di ressourcement patristico; termine francese difficile da tradurre in italiano se non con una perifrasi: “ritorno alle fonti” patristiche.

L’indole storica della teologia di de Lubac fu all’origine anche di una delle più complicate vicende che lo vide protagonista, ma protagonista umile e obbediente alla volontà dura espressa dalla Chiesa nei suoi confronti. Nel 1946 de Lubac pubblica – ottavo volume della collana Théologie – un’opera che rielabora articoli da lui scritti in precedenza e aggiunge alcune parti nuove, che avranno un effetto dirompente sulla teologia cattolica degli anni immediatamente precedenti al Concilio Vaticano II: si tratta di Surnaturel, opera che volge la propria attenzione al tema del “soprannaturale”, della grazia che giunge da Dio; in modo particolare cercando di capire come essa debba essere pensata in relazione alla natura dell’uomo, a partire da quello che emerge dalla storia della teologia. Sarà questo ultimo punto a scatenare la polemica; una polemica che si addensa in modo particolare nell’articolo scritto di getto dopo la pubblicazione di Surnaturel dal domenicano – teologo fra i più ascoltati a Roma – Réginald Garrigou-Lagrange: La nouvelle théologie où va-t-elle? («Angelicum», 1946). La nouvelle théologie, ai suoi occhi, è quella che pare indifferente al tomismo e ad una teologia dalle idee chiare e distinte. La nuovelle théologie è quella espressa proprio dall’opera maggiore di de Lubac. La nuovelle théologie è da sanzionare al più presto, perché se ci si chiede dove vada questa nuova teologia, la risposta di Garrigou-Lagrange è lapidaria: essa torna al modernismo. E la nuovelle théologie verrà sanzionata nella Humani generis, enciclica promulgata da Pio XII nel 1950 «circa alcune false opinioni che minacciano di sovvertire i fondamenti della fede cattolica», come recita il sottotitolo. E a de Lubac fu imposto il divieto di insegnamento in tutte le Facoltà e Studentati cattolici.

Eppure… eppure la storia non è solo il luogo in cui si elabora il pensiero e si approfondisce la comprensione del Mistero di Dio: la storia è il luogo delle sorprese inattese e degli incredibili ribaltamenti. Così fu anche per de Lubac. Con grande meraviglia nell’agosto del 1960 venne nominato da papa Giovanni XXIII consultore della «Commissione teologica preparatoria» al Vaticano II e in seguito della «Commissione teologica» che svolse il proprio lavoro durante l’assise conciliare. Una riabilitazione che segnerà il Vaticano II, in modo particolare nell’elaborazione della Gaudium et spes, costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo moderno. Infine, Giovanni Paolo II lo creò cardinale il 2 febbraio del 1983, come segno di riconoscimento per il suo servizio nella Chiesa: servizio di pensiero e di fedeltà, servizio di fede e di carità intellettuale.

La teologia di de Lubac – lo abbiamo ripetuto ad satietatem – nasce dalla storia e si nutre della storia come proprio habitat naturale. La storia è il luogo in cui si esprime la libertà dell’uomo, in cui si esprime l’uomo che pensa, che riflette, che approfondisce, che contempla il Mistero santo di Dio. Il luogo infine in cui l’uomo contemplando si santifica. Che arrivi o non arrivi mai agli onori degli altari.