Quando il protagonismo ecclesiale cede il posto all’azione dello Spirito Santo

di Alessandro Clemenzia · I motori erano certamente riscaldati da tempo: il sinodo sulla sinodalità, infatti, non rappresenta l’inizio di un percorso, ma la tappa di un cammino già avviato. Diversi sono i termini-chiave che, in ambito ecclesiologico (e non solo!), caratterizzano le aspettative di coloro che, in un modo o in un altro, partecipano a questo evento ecclesiale: “riforma”, “rinnovamento”, “aggiornamento”. Eppure si asserisce a ciascuno di questi lemmi un significato non univoco, talvolta addirittura contraddittorio. Secondo alcuni, una cosa è certa: la Chiesa ha bisogno di un cambiamento. Ma qual è l’ambito oggetto di tale cambiamento? E soprattutto come attuare il passaggio da un dato affermato a un altro totalmente nuovo? Tutte domande legittime. Eppure, il discorso di Papa Francesco all’apertura della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi (4 ottobre 2023), pone una domanda ancora più urgente: chi è il soggetto della riforma o del rinnovamento della Chiesa (potremmo dire, a prescindere dall’oggetto concreto in questione)?

Quest’ultima domanda potrebbe sembrare scontata ai più, eppure – soprattutto a partire da numerose riflessioni ecclesiologiche contemporanee – non lo è affatto. I sostenitori di un’interpretazione sociologica di Chiesa, totalmente proiettati su cambiamenti strutturali, potrebbero risultare piuttosto annoiati dalle affermazioni del Papa, in quanto in realtà egli non intende offrire – attraverso il concetto di sinodalità – un modello ideale (per quanto concreti possano essere i risvolti) di Chiesa, ma un metodo relazionale per essere realmente ed efficacemente “comunità” credente.

Non si tratta, dunque, di raggiungere una sintesi per accontentare i più, ma di rintracciare nella distinzione colui che è capace di conservare la pluralità e trasformarla (potremmo dire anche “transustanziarla”) in comunione.

Da questo protagonismo dello Spirito scaturisce il protagonismo ecclesiale, in cui ciascuno è chiamato a fare la propria parte: «Insisto su questo: […] anche in questo Sinodo, discernere le voci dello Spirito da quelle che non sono dello Spirito, che sono mondane. A mio avviso, la malattia più brutta che oggi – sempre, ma anche oggi – si vede nella Chiesa è ciò che va contro lo Spirito, cioè la mondanità spirituale. Uno spirito, ma non santo: di mondanità. State attenti a questo: non prendiamo il posto dello Spirito Santo con cose mondane – anche buone – come il buon senso: questo aiuta, ma lo Spirito va oltre».

Queste parole di Francesco andrebbero prese sul serio, in quanto il rischio di voler costruire qualcosa di strutturalmente nuovo nella Chiesa attraverso a una visione riduzionista della realtà (e, perché no, anche “ideologica”), è sempre dietro l’angolo. Per tutti.