di Francesco Vermigli · Hildegard von Bingen (Ildegarda di Bingen o, con traduzione più vicina al latino, Ildegarde) fu monaca e poi badessa di monasteri benedettini e fu autrice prolifica nel XII secolo. La Chiesa la ricorda il 17 di questo mese di settembre: giorno della morte avvenuta a Bingen nell’anno 1179 (era invece nata nel 1098). Le sue opere sono segnate da un carattere mistico e profetico; almeno per quanto attiene a quelle più importanti: Liber Scivias; Liber vitae meritorum; Liber divinorum operum; Symphonia harmoniae caelestium revelationum.
Fra i temi emergenti dalla sua opera vogliamo soffermarci in modo particolare su una questione: l’antropologia che viene riletta in chiave cosmologica da Hildegard. Si tratta, cioè, di quella rappresentazione dell’uomo come microcosmo che raccoglie in sé tutti gli elementi della creazione; e che lo stesso papa Benedetto XVI notava come caratterizzante il pensiero di quella monaca, poco più di dieci anni fa, nell’atto di proclamarla “dottore della Chiesa”: «L’uomo, secondo la cosmologia ildegardiana fondata sulla Bibbia, racchiude tutti gli elementi del mondo, perché l’universo intero si riassume in lui, che è formato della materia stessa della creazione» (Benedetto XVI, Lettera apostolica per la proclamazione di Ildegarde di Bingen a dottore della Chiesa: 7 ottobre 2012).
Diceva Hildegard di non conoscere quello che non vede («Quod autem non video, illud nescio, quia indocta sum»: Epistola CIIIr). Ma di quale vista tratti Hildegard lo si capisce da un passaggio del Prologo del Liber divinorum operum: «tutte le cose che avevo scritto fin dall’inizio delle mie visioni, o che venivo apprendendo in seguito, le ho viste con gli occhi interiori dello spirito e le ho ascoltate con le orecchie interiori mentre intenta ai misteri celesti vegliavo con la mente e con il corpo, non in sogno né in estasi […] e chiamo a testimone la verità che non ho esposto nulla di appreso da senso umano, ma solo quanto ho percepito nei segreti celesti». Quello che Hildegard dice di aver visto, lo ha visto dunque con i sensi spirituali e interiori; non in sogno e non in estasi, precisa: con la seconda precisazione forse vuole intendere che continuava ad essere presente a se stessa, mentre vedeva in maniera misteriosa e interiore.
Ebbene, ella vede qualcosa dell’uomo che gli occhi esterni e naturali non hanno la capacità di vedere. Così scrive nei racconti delle sue visioni, ancora all’interno del Liber divinorum operum: «Dio ha formato il corpo umano a somiglianza del firmamento e delle altre creature come il fonditore utilizza la forma in base a cui fabbrica i suoi vasi. E come Dio ha dato al grande congegno del firmamento misura regolare, così ha ugualmente fornito di misura l’uomo, nella sua piccola e ridotta statura secondo quanto è già stato detto» (Liber divinorum operum, I,IV,97). E ancora, poco più avanti: «Come Dio ha impresso nell’uomo il segno di tutte le creature, così ha posto in lui anche l’ordine delle stagioni. Mostra infatti l’estate nell’uomo in condizione di veglia, l’inverno nell’uomo che dorme; poiché come l’inverno nasconde dentro di sé ciò che l’estate offre gioiosamente in dono, così l’uomo che dorme si ristora nel sono per essere pronto, una volta desto, ad affrontare qualunque azione nella pienezza delle sue forze» (Liber divinorum operum, I,IV,98).
Secondo l’antropologia di Hildegard, la creazione si trova come abbreviata nell’uomo: non si tratta solo degli elementi che la costituiscono, ma anche dell’ordine spaziale (la misura del creato) e della regolazione del tempo a trovare riscontro nell’uomo. L’uomo in questo modo diventa davvero il microcosmo che riflette il macrocosmo: ed è meravigliosamente affine all’Uomo Vitruviano di Leonardo la miniatura che rappresenta l’uomo nel celebre codice Lucca, Biblioteca Statale, 1942 (ma con un’accentuazione cosmologica che manca a Leonardo, a ben vedere).
C’è un ultimo aspetto che vogliamo considerare: un aspetto che esonda dalla presentazione ragionata e certamente rapida dell’uomo secondo la percezione che ne aveva Hildegard nelle sue visioni. Eppure, si tratta di un aspetto che pare dire cose molto importanti alla visione che abbiamo oggi dell’uomo in rapporto al cosmo. La percezione che Hildegard ha dell’uomo (percezione cristiana nell’ispirazione, visionaria nell’origine) come ente che esiste in perfetta armonia con il creato (che si può sintetizzare con la formula: “microcosmo in macrocosmo”) funziona anche come correttivo ad una percezione – talvolta presente anche nel mondo cristiano, che subisce l’influenza di un certo ambientalismo radicale – che tende a vedere l’uomo non tanto come lo stupore di Dio e lo stupore del cosmo (come anche un’antropologia biblicamente radicata dovrebbe affermare); ma come il problema per eccellenza del cosmo, come il cancro del creato.
Hildegard dice piuttosto ai nostri tempi che l’uomo (se rettamente inteso) è lo specchio del creato: copia piccola delle meraviglie dell’universo. Se l’uomo è così, è perché così ha voluto Dio stesso nella sua benevolenza.