di Gianni Cioli · Lo sviluppo di Internet, soprattutto in rapporto all’utilizzo della Intelligenza artificiale pone questioni morali nuove e inedite soprattutto nell’ambito della morale sociale e, segnatamente della morale della vita di comunicazione.
Qui, limiteremo tuttavia lo sguardo solo ad alcune problematiche pertinenti alla confessione dei peccati personali collegati all’uso della rete che può, di conseguenza, profilarsi come occasione prossima di peccato.
L’ambito su cui ci possiamo focalizzare con più pertinenza, per iniziare, è probabilmente quello della intemperanza, vizio dalle molte facce e contrapposto alla virtù cardinale della temperanza.
Ricordiamo che la temperanza è la virtù che rende capaci di modulare e ordinare le pulsioni funzionali alla conservazione della vita e normalmente collegate a una qualche forma di piacere. Si tratta di pulsioni necessarie alla conservazione della vita (come quella che ci spinge ad assumere cibo) ma che possono risultare dannose se non distruttive per la vita stessa quando non siano disciplinate (come quando si eccede nel mangiare). Anche la pulsione sessuale rientra nel novero delle pulsioni necessarie alla conservazione della vita, ma, in questo caso non di quella dell’individuo, bensì di quella della specie.
Per Tommaso una delle parti potenziali della temperanza è la studiositas a cui si contrappone il vizio della curiositas (II-II, 166-167). Studiositas e curiositas significano, rispettivamente, disciplina e indisciplina dell’appetito naturale del conoscere (che costituisce, appunto, una pulsione necessaria alla conservazione della vita, ma che, come tutte le pulsioni del genere, è sempre a rischio di degenerare, se non moderata). Studiositas e curiositas significano, dunque, temperanza e intemperanza prima di tutto nel piacere della percezione sensoriale delle molteplici parvenze del mondo; e, congiuntamente, disciplina e indisciplina della bramosia del conoscere e dello sperimentare. Nella Summa (II-II, 167, 2) c’è un passo, relativo al vizio della curiositas, che contiene in nuce tutti problemi che Internet ha esasperato in maniera esponenziale: «La conoscenza sensitiva è ordinata a due cose. Primo, è ordinata, sia negli animali che nell’uomo, alla conservazione del corpo; poiché con essa si evitano le cose nocive, e si cercano quelle necessarie al sostentamento. Secondo, nell’uomo essa è ordinata alla conoscenza intellettiva, sia speculativa che pratica. Applicarsi quindi a conoscere le cose sensibili può essere peccaminoso per due motivi. Primo, perché la conoscenza sensitiva non è ordinata a cose utili, ma piuttosto a distogliere da qualche utile considerazione. […] Secondo, perché la conoscenza sensitiva viene ordinata al male: così il guardare una donna può essere ordinato alla concupiscenza; e l’interessamento ai fatti degli altri può essere ordinato alla mormorazione. Se invece uno si applica con ordine alla conoscenza sensitiva, o per sovvenire ai bisogni materiali, oppure per conoscere la verità, la sua è una studiosità virtuosa nel campo della conoscenza sensitiva».
Internet favorisce in maniera esasperata questa degenerazione della percezione e della conoscenza ingenerando dipendenza.
L’abbondanza di informazioni su internet ha creato un nuovo disturbo compulsivo, legato alla ricerca sul web attraverso il web surfing o attraverso lo scrolling (due modi passare da un contenuto all’altro senza soluzione di continuità e in modo automatico), così che, le persone affette da questa dipendenza trascorrono una quantità di tempo sempre maggiore nell’attività di ricerca. Particolarmente inquietante è il fenomeno del doomscrolling o doomsurfing. che consiste nel passare molto tempo online in cerca di notizie negative, a prescindere dalla loro utilità. La parola inglese è composta dai sostantivi doom (‘sventura’) e scrolling (‘scorrimento’) o surfing (navigazione). La ricerca del pericolo è insita nel nostro DNA: cerchiamo eventuali fonti di minacce per prepararci ad affrontarle. Il desiderio di informarsi di fronte a un problema è un comportamento responsabile. Tuttavia, quando la ricerca di informazioni diventa prolungata, e compulsiva allora si è di fronte a un comportamento malsano, che distoglie dall’affrontare i problemi.
Il Piacere della percezione sensoriale o dell’acquisizione di nuove nozioni e relazioni, attraverso la rete, tende a ingenerare dipendenza, infatti, all’uso di internet e al contestuale utilizzo dei social media, è legato il rilascio, nel cervello, di dopamina, un neurotrasmettitore associato al piacere e alla gratificazione. Se questo può avvenire già nella navigazione negli ipertesti o nello scrolling, il problema si fa anche più acuto nell’uso dei social. La dipendenza da internet può essere interpretata e gestita come patologia (quando si spinge oltre un certo limite) ma può essere interpretata anche come problema spirituale, senza che necessariamente si sia giunti all’esasperazione patologica. Infatti, le dipendenze ci distolgono da nostri doveri (verso Dio e verso il prossimo). Tommaso, per altro, collega il vizio della curiositas al vizio capitale dell’accidia. «La degenerazione dell’inclinazione naturale al conoscere in curiositas, perciò, può essere qualcosa di più di un semplice e innocuo sconvolgimento della zona superficiale dell’essere umano. Può essere indizio di un totale inaridimento e sradicamento. Può voler dire che un uomo ha completamente perduto la capacità d’inabitare in se stesso», osserva il filosofo Josef Pieper, commentando il pensiero di Tommaso (J. Pierper, Sulla temperanza, Bescia 1957, p. 104).
Compito del confessore è anche quello di fornire consigli spirituali. Di fronte al rischio di dipendenza, si possono consigliare scelte di libertà miranti ad acquisire una capacità di misura nell’uso della tecnologia, anche con periodi di “digiuno” da internet o di “astinenza” da determinati contenuti della rete; o anche suggerendo di abbracciare abitudini alternative: leggere un libro cartaceo, fare attività fisica, socializzare preferibilmente con le persone in presenza anziché privilegiare i canali virtuali. Là dove si fossero sviluppati problemi di dipendenza seria può essere opportuno, raccomandare, nei limiti del possibile di separarsi fisicamente dal computer e dal cellulare, almeno nelle ore notturne collocandoli in ambienti lontani dalla propria camera e conservandoli sottochiave.
Secondo la letteratura clinica sono vari tipi di dipendenza patologica da internet, come ad esempio il sovraccarico cognitivo a cui si è accennato, lo shopping compulsivo online, la dipendenza da videogiochi e la ludopatia oline, la dipendenza cyber-sessuale (in cui rientra l’accesso alla pornografia online, il sexting, l’interazione con altri utenti attraverso webcam, o chat, che se, soggetta a pagamento, entra nel campo della prostituzione online), la dipendenza da social media.
Considerando certi comportamenti che possono essere oggetto di confessione: come l’intemperanza conoscitiva, le spese eccessive, il gioco d’azzardo, l’uso di pornografia, l’intemperanza nelle relazioni, nella prospettiva della dipendenza patologica si pone il seguente problema: se le persone affette da dipendenza patologica non sono pienamente libere, si può presumere che gli atti compiuti in modo compulsivo nell’ambito delle dipendenze che abbiamo elencato, compresa quella cyber-sessuale, possano non essere considerate come peccati, almeno non come peccati gravi? Il Catechismo della Chiesa Cattolica apre a questo tipo di presunzione a proposito del problema della masturbazione: «Al fine di formulare un equo giudizio sulla responsabilità morale dei soggetti e per orientare l’azione pastorale, si terrà conto dell’immaturità affettiva, della forza delle abitudini contratte, dello stato d’angoscia o degli altri fattori psichici o sociali che possono attenuare se non addirittura ridurre al minimo la colpevolezza morale» (CCC 2352).
Questa avvertenza, tuttavia, non deve condurre a semplificazioni banali e a minimizzazioni che potrebbero sfociare, al limite, nella svalutazione dell’opportunità della confessione (se non c’è peccato, non c’è necessità di pentimento, né di sacramento), favorendo, magari, tratti egosintonici nel soggetto dipendente, ma deve indurre il confessore a operare un discernimento articolato volto a prevenire la dipendenza patologica nelle persone ancora in grado di esercitare la libertà, e a sostenere la speranza di ritrovare la libertà in coloro che l’hanno persa a motivo della dipendenza.
«La colpa morale di una persona dipendente può essere attenuata a seconda delle circostanze, ma la situazione è particolarmente grave. Le dipendenze sono molto difficili da superare e è necessario un aiuto per riconquistare la propria libertà», afferma il documento dei Vescovi americani, Create in Me a Pure Heart, (vedi) recentemente riproposto a dieci anni dalla prima edizione, nel quale si richiama il compito della chiesa di essere ospedale da campo, secondo la nota metafora di papa Francesco, di fronte alle devastazioni umane prodotte dalla pornografia a vari livelli. I vescovi, per altro, ricordano che «sono disponibili software per monitorare l’attività online e bloccare materiale pornografico; questi possono essere un mezzo necessario per evitare l’occasione prossima di peccato». Essi puntualizzano anche che, quando la fruizione di pornografia è diventata una dipendenza, è ancora più cruciale che la persona coinvolta si assuma le proprie responsabilità affidandosi anche al supporto di professionisti che possano aiutare a identificare e guarire eventuali ferite emotive che possono essere alla radice dell’uso della pornografia. Uno può non essere sufficientemente libero di resistere alle tentazioni, ma può esserlo abbastanza da cercare l’aiuto per diventare capace resistere.
Si dovrebbe, peraltro aiutare coloro che accedono alla pornografia online a prendere coscienza che la loro non è non è semplicemente una trasgressione contro la virtù della castità, ma è una cooperazione al male, un peccato contro la giustizia, che implementa forme di violenza, talora agghiaccianti e inimmaginabili. L’utente del materiale pornografico è normalmente ripregato su di sé, sul suo piacere, spesso sul suo senso di colpa vissuto autoreferenzialmente, e dimentica che dietro a quel materiale vi sono persone spesso manipolate, se non letteralmente violentate, persone che l’utente contribuisce a ridurre a oggetti.
In sintesi, è necessario che il male sia riconosciuto e inquadrato dal confessore nella sua oggettività; pur con la massima comprensione, compassione e disposizione misericordiosa nei confronti di chi confessa la propria miseria.
Paolo Morocutti in una relazione al Convegno Confessione: virtù, dipendenze e malattie spirituali. Come aiutare le persone?, promosso dalla Penitenzieria apostolica nel 2023, e significativamente intitolata “Fortiter in re, suaviter in modo” (vedi), cioè “energicamente nella sostanza e dolcemente nei modi”, afferma che, in ultima analisi, per affrontare le dipendenze nell’ambito della confessione tre sono le cose importanti: «Un atteggiamento di profonda compassione e pietà, mai di commiserazione, l’indirizzo, laddove è possibile, ad esperti che possono risalire alle cause che scatenano le dipendenze e aiutare a un cammino di consapevolezza e di guarigione della persona, l’invito alla confessione, regolare e fiduciosa, ogni volta che si cade, accompagnato dall’esortazione a confidare sempre nella bontà e nella misericordia di Dio. Nei casi di dipendenza ogni forma di giudizio perentorio può risultare devastante. Le dipendenze sono delle vere e proprie malattie, più o meno gravi, del corpo e dell’anima. Infine, risulta opportuno ricordare che all’interno del sacramento della riconciliazione il sacerdote non ha solamente il dovere di discernere, giudicare e assolvere, ma ha anche il compito di aiutare il penitente ad evitare le occasioni future di peccato e a fare tutto quanto è nelle sue possibilità affinché il penitente trovi soluzione alla condizione di peccato in cui si trova».
L’auspicio di poter contare su un selezionato numero di professionisti della salute mentale a cui poter indirizzare i penitenti con problemi di dipendenza trova un interessante riscontro nel citato documento dei Vescovi americani sul fenomeno della pornografia, in cui si raccomanda ai preti di tenere «un elenco di professionisti della salute mentale, di fiducia» e operativi nella loro zona, in grado di affrontare «clinicamente i problemi della pornografia in modo coerente con l’insegnamento cattolico».