Il papa ai vescovi italiani. Il cammino dell’unità

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di Francesco Vermigli · Il 17 giugno scorso si è tenuto l’incontro tra papa Leone XIV e i vescovi in Italia. Non essendosi svolta la consueta Assemblea generale della CEI nella terza settimana di maggio (rimandata al 17-20 novembre ad Assisi, con una decisione del Consiglio Permanente presa ad inizio aprile), il discorso acquista un significato importante; dal momento che si pone nei fatti come il primo tenuto da papa Leone XIV ai vescovi che sono in Italia.

Rivolgendosi alla plenaria dei vescovi italiani – incontro svoltosi insolitamente nell’Aula della benedizione che precede la Loggia centrale (e il papa stesso ha ricordato cosa significhi per il nuovo papa attraversarla per la prima volta appena eletto e come l’abbia attraversata papa Francesco la mattina di Pasqua, giorno precedente alla sua morte) – il pontefice ha dunque esercitato il suo compito di Primate d’Italia. Lo ha fatto con tratto discreto e sobrio e con profondità di argomenti; indicando, come ha detto lui stesso, «alcune attenzioni pastorali che il Signore pone davanti al nostro cammino e che richiedono riflessione, azione concreta e testimonianza evangelica».

Innanzitutto, l’invito ad uno slancio rinnovato nell’annuncio e nella trasmissione della fede, restituito mediante l’immagine assai evocativa del portare Cristo «nelle vene dell’umanità»; immagine che papa Leone riprende da papa Giovanni XXIII (Humanae salutis, 3). Quindi, si sofferma sull’attenzione pastorale per la pace, che lo sviluppo del discorso del papa mostra chiaramente debba essere considerato come integrato nell’annuncio e nella trasmissione della fede: in altri termini, esso viene inteso dal papa come un dono di Cristo, non come un’opera umana slegata dalla grazia del Regno. Qui la memoria va alle prime parole, cariche di significato pronunciate da papa Prevost dalla loggia delle benedizioni subito dopo l’elezione. Di particolare rilevanza teoretica appare inoltre l’invito che il papa ha rivolto a fare in modo «che il cammino delle Chiese in Italia includa, in coerente simbiosi con la centralità di Gesù, la visione antropologica come strumento essenziale del discernimento pastorale. Senza una riflessione viva sull’umano – nella sua corporeità, nella sua vulnerabilità, nella sua sete d’infinito e capacità di legame – l’etica si riduce a codice e la fede rischia di diventare disincarnata».

Ma c’è un passaggio ulteriore che rivendica una considerazione specifica da parte nostra: a questo passaggio vogliamo dedicare l’ultimo tratto di questo nostro intervento. Tra le esortazioni per il futuro prossimo, il papa invita ad andare avanti «nell’unità, specialmente pensando al Cammino sinodale». Lo fa, rievocando un testo di Agostino che riflette sulle membra del Corpo di Cristo che è la Chiesa. Su questo appello all’unità fatto dentro al riferimento al cammino sinodale volgiamo la nostra attenzione. Si dirà che parlare di cammino sinodale e di unità è cosa scontata; dal momento che non v’è chi non sappia che la parola “sinodo” ha nella sua radice greca il riferimento al cammino condotto assieme. Eppure, non pare davvero inutile questo richiamo del papa all’unità, nell’atto stesso in cui egli viene a trattare del cammino sinodale. Andando un poco oltre il papa, noi potremmo declinare in questi termini l’unità: unità all’origine, unità nel percorso, unità alla fine. Con la considerazione che un cammino sinodale che non abbia percezione che l’unità è il criterio fondativo (all’origine), il criterio operativo (nel percorso) e lo scopo (alla fine) del medesimo cammino, è destinato a diventare un’opera umana, ingrigita e appesantita dalle dinamiche e dalle procedure assembleari.

Unità all’origine. L’unità è all’origine della Chiesa: come uno è il Cristo, una è la comunità di coloro che credono in lui. Vi è dunque un’unità fontale e primaria all’origine di questa comunità; quell’unità che viene illustrata dalla preghiera di Gesù: «perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi» (Gv 17,21). La preghiera di Gesù indica una vocazione all’unità che non è un semplice auspicio o una promessa, ma una realtà che si invoca possa esprimere al massimo grado se stessa: un’unità che si attende possa manifestarsi in pienezza.

Unità nel percorso. L’unità nel percorso è il primo frutto di questa originaria e fontale dimensione unitaria: se unitaria è la fonte, segnato dall’unità dovrà essere il criterio a cui si ispira la prassi ecclesiale. Solo a modo di esempio, unità come criterio significa evitare che la legittima dialettica delle opinioni debordi nei settarismi e nelle fazioni. Significa sapersi accettare, sapere accettare la latitudine della Chiesa, che supera le angustie e la chiusura delle parti.

Unità alla fine. Si tratta dell’unità forse più importante, almeno dal punto di vista della prassi ecclesiale; in particolare le pratiche pastorali. Se il criterio dell’unità ha guidato la prassi ecclesiale, lo si vede alla fine: si vede alla fine se la dialettica delle opinioni ha prodotto un punto di unità più avanzato del semplice compromesso tra le parti. Il cammino guidati dall’unità significa non tanto fare un passo laterale che avvicini le due posizioni diverse: camminare uniti significa fare un passo avanti insieme, cercare un equilibrio nuovo e più avanzato. Soltanto così la Chiesa potrà essere fedele allo spunto iniziale e fontale; l’appello all’unità che nasce e sboccia dalla preghiera di Gesù stesso.

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Francesco Vermigli

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