Una lezione preziosa sulla storia dello studio della Bibbia nel ‘900: p. Lino Randellini, francescano, racconta la sua vita

di Stefano Tarocchi · Nel maggio del 1997, pochi mesi prima che fosse “ricostituita” la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale, invitai il padre Lino Randellini (1904-1993), dei frati minori di Fiesole, eminente figura di studioso delle Sacre Scritture a tenere una lezione al mio corso di Vangeli sinottici. Padre Randellini aveva lasciato l’insegnamento nell’allora Studio Teologico Fiorentino, iniziato nel 1961 e terminato nel 1991.

Fra i tanti corsi che lui aveva tenuto c’era proprio il corso di Sinottici – allora separato dagli Atti, che appartenevano al corso di Lettere paoline. Mi era stato assegnato, dall’allora preside Marconcini che traghettò, il passaggio dallo Studio Teologico alla facoltà. In realtà, l’intuito di un altro esponente della Chiesa Fiorentina, don Valerio Mannucci, aveva sviluppato un processo per cui proprio nel 1975, fece cominciare un percorso virtuoso per cui attraverso un sistema di moduli lo studio dei candidati al presbiterato e quello dei laici confluivano in un unico percorso: un obiettivo oggi desiderato da alcuni quanto temuto da altri.

Qui dovremmo in breve ricostruire come mai lo Studio del seminario fiorentino divenne in Studio Teologico Fiorentino, riallacciandosi alla bolla di papa Clemente VI (Avignone, 31 maggio 1348) che «costituiva lo Studium generale florentinum ossia l’Università degli studi, conferendo in perpetuo all’istituzione il diritto di addottorare in sacra paginain utroque iure e in medicina».

Di quella lezione lontana per lungo tempo è esistito soltanto una trascrizione verbale che era rimasta nelle mie carte, e alla quale sto mettendo le mani per ricostruire, attraverso la testimonianza di p. Lino un percorso più chiaro per la comprensione di fenomeni così complessi. Sarà pubblicato su Vivens Homo.

Randellini raccontò la storia della sua vita, e in particolare la formazione che ha avuto allo Studium Biblicum Franciscanum di Gerusalemme che negli anni in cui lui lo frequentava poteva “permettersi” settimane di archeologia sul territorio, condotti da specialisti di chiara fama, ad esempio in Egitto e Siria (terra, quest’ultima che adesso rimane un sogno), ma non solo.

P. Randellini, che arrivò fino alla soglia dei cent’anni – morì infatti a novantanove inoltrati –, è stato il testimone della diffusione degli studi scientifici sulle Sacre Scritture, Storia delle forme alla storia della tradizione e della storia della redazione, che nella Roma che stava attraversando il Concilio Vaticano II, ma non solo, erano visti come il fumo negli occhi.

«C’è voluto il Concilio. Se non c’era il Concilio eravamo daccapo con il problema del modernismo. Il modernismo in parole povere consisteva in questo: se c’era un prete o un frate che sapeva leggere e scrivere era un modernista», così spiegò p. Randellini.

In realtà, stavamo ritornando a quella concezione che già a fine ‘800 prevedeva uno studio scientifico dei testi della Sacra Scrittura, senza dimenticare che in essa si manifesta la fede dei credenti. Ma c’è voluto un lungo percorso, che ancora forse non è terminato: basta solo pensare al sesto (e ultimo) capitolo della Costituzione sulla Divina Rivelazione Dei Verbum (La parola di Dio nella vita della Chiesa), per capire quanto cammino c’è ancora da fare prima che la parola di Dio venga restituita nella sua pienezza al popolo di Dio, che in essa, sotto la guida dei pastori, vede la sua fede e vi si riconosce.

Ma non si tratta di un cammino fatto da pochi addetti ai lavori rinchiusi come in una torre d’Avorio lontano dalla vita quotidiana, anche perché la Pontificia Commissione biblica pubblicò in materia nel 1993 un importante documento: L’interpretazione della Bibbia nella Chiesa .

«Se andate alla Fiat – allora si poteva dire – vedrete la macchine belle preparate, ognuno ci ha messo un bullone; io sono uno di quelli, un povero operaio, non vorrei che voi aveste un’idea sproporzionata della mia nullità». Così disse di sé allora il padre francescano Lino Randellini, che riportava agli studenti di teologia di quel tempo ormai lontano, una testimonianza in prima persona di come quello che oggi consideriamo acquisito invece era stato ricercato con grande impegno e testimonianza, e talora con la sofferenza di dover essere combattuti da una parte di quella stessa comunità di cui si fa parte.

Un concetto questo di “fuoco amico” che era già descritto da San Paolo ma che non si è mai allontanato del tutto dal cristianesimo: «se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!» (Gal 5,15).